Nonviolenza: l'amore politico nel tempo del non-amore
Nonviolenza: l'amore politico nel tempo del non-amore
Sul tema richiestomi, nonviolenza come amore, provo a raccogliere qualche riflessione. Potremmo subito ricorrere ai grandi maestri: per Gandhi la nonviolenza è la forza dello stare attaccati alla verità che conosciamo, e la verità, legge della vita, è l'amore per tutti gli esseri nella loro profonda unità, perciò rifiuto della violenza come mezzo di azione, e volontà di servizio al bene di tutti. Per Capitini è un amore materno, di cura, per ogni vita e per ogni cosa. Per Martin Luther King è “la forza di amare”. Eccetera. E per i loro massimi ascendenti morali, Buddha, Gesù, è l'amore come atteggiamento positivo di rispetto, difesa, benevolenza, verso ogni essere.
Nonviolenza è parola che contiene la negazione. Ma poiché la vera negazione è la violenza, la nonviolenza è essenzialmente positiva. Perciò, per indicarne la positività, Capitini ha insegnato a scriverla in una sola parola, senza trattino. Ma è bene che resti il segno del negativo, del male da superare, perché la vita nonviolenta è sempre un cammino in corso dall'errore verso la verità, dalla contrapposizione all'unità.
Amore non è parola e idea facile, non è senza equivoci. C'è anche un amore possessivo, dominativo, concentrato su di sé, che arriva ad essere distruttivo, quando si trova a perdere, o a temere e sospettare di perdere, l'oggetto “amato”. Anche prima di farsi violento a tal punto, è violento nel non rispettare la libertà e l'alterità altrui. C'è anche un amore escludente: il nazionalismo è amore per il proprio popolo, capace di dominare e far guerra ad altri popoli, perciò si contraddice nel mettere insieme riconoscimento ed esclusione, valorizzazione e disprezzo.
Certamente l'amore è concreto, verso esseri reali, e l'universalità è facilmente solo retorica. Ma un amore che non tenda a tutto e tutti, che non sia disponibile a riconoscere lo sconosciuto, anche il nemico, come mio simile, come un appello alla mia umanità, è un amore stretto, asfittico, contraddittorio.
Ora, la nonviolenza come ricerca appassionata di vivere i conflitti della vita, piccoli o grandi, in modo costruttivo e mai distruttivo, è fatta anche di tecniche di azione e di lotta, è fatta di esperienze collettive, politiche, ma in radice è questa disposizione intima personale a farsi favorevoli agli altri, a cercare di sentirli in noi (empatia), a dare la precedenza, a capire ed accogliere ciò che ci è difficile comprendere negli altri, salvo essere inflessibili nella difesa di ogni vittima di violenze, senza servirsi di altra violenza.
Come ogni grande verità, l'amore non deve essere nominato invano, con troppa facilità. Consiste in un sentire profondo, invisibile, che vive nel compiere atti di difesa, ammirazione, servizio per ogni vita e realtà. È venerazione operante per la vita e la realtà: “Rispetto-riverenza per la vita” (Albert Schweitzer). È effettivo, non sempre affettivo. Concretizza sentimenti e volontà in azioni reali. Non pretende di esprimersi in luminosi concetti e definizioni.
Una delle descrizioni sintetiche più ricche è quella di san Paolo (1 Corinti 13, 4-7): “La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto protegge, tutto crede, tutto spera, tutto sostiene”.
In tutte le grandi correnti spirituali della nostra storia umana, chiamato con nomi simili e diversi, in diverse forme culturali e sistemi di esperienze, l'amore è l'atteggiamento donativo e non (o almeno più che) possessivo, captattivo, dominativo. Perciò è una virtù creativa, che orienta l'animo umano alla somiglianza con la creatività divina, il suscitare novità dal nulla o dal negativo.
A mio parere, una alta sintesi del vangelo di Cristo è quel “Date senza far conto sul contraccambio” (Luca 6,35). Chi agisce così è veramente un amante, perché regala vita alla vita, aggiunge nuovo essere a ciò che è, eleva la relazione umana a creazione del nuovo, sostituisce al calcolo restrittivo un respiro largo di libertà e gioia. Ora, la nonviolenza nei conflitti, nella società politica ed economica, soprattutto nella cultura delle relazioni umane, non è solo un rimedio alla violenza e una riduzione delle sofferenze che questa infligge, ma una crescita di umanità, un passo verso il sogno di luce e di felicità che è il nocciolo del nostro cuore umano.
Tutto all'opposto di una rinuncia all'azione, tutto il contrario di un purismo che non vorrebbe sporcarsi le mani, la nonviolenza attiva e positiva è la nostra umanizzazione. Non lo dico in astratto: il Novecento è stato forse il secolo più violento della storia, ma è stato anche il secolo in cui questa nonviolenza ha trovato maestri, guide, cammini popolari per crescere da morale personale a metodo politico, di convivenza e sistema. È solo un cammino, contrastato da mille fatti negativi di enorme violenza, ma è un cammino intravisto, avviato.
Un cenno ancora all'attualità di questi ultimi anni e decenni. Dopo l'epoca dei diritti è venuta ed è in corso l'epoca del calcolo.
Gli anni 1940-1970, dopo la tragedia e la vergogna delle grandi violenze belliche e dittatoriali, hanno riconosciuto e dichiarato i diritti umani a tanti livelli, hanno realizzato in alcune parti del mondo strutture politiche, giuridiche, economiche, culturali, per la realizzazione dei diritti dichiarati, cioè della dignità umana.
Intorno agli anni '80, in reazione e rivincita, è avvenuta la rivoluzione dei ricchi: una filosofia di vita e un sistema imposti con l'astuzia e la corruzione culturale, per cui chi può fa, chi è forte ha diritto, e si fa politica per sé e non per tutti, e l'ambiente della vita si può saccheggiare, e l'economia è profitto a scapito degli ultimi, invece che risposta ai bisogni del vivere umano di tutti.
Questa epoca del calcolo è un tempo miserabile, di non-amore civico e politico. L'umanità è abbassata, nei vincitori e nei vinti. Ma l'amore non è mai vinto. Anche inchiodato sulla croce, l'amore vince sulla morte. La nonviolenza è una forma di amore cercata e almeno un poco sperimentata nelle relazioni umane, proprio nei momenti difficili dei conflitti e della violenza più sottile. Non è una ricetta magica, pronta, ma è comunque, con tutti i nostri limiti, una ricerca ed esperienza incessante. Soprattutto, è una necessità, perché è l'unico “varco attuale della storia” (Aldo Capitini). Ed è possibile, se crediamo, fattivamente, che la vita è amore serio, concreto, oppure muore.
Enrico Peyretti, 21 settembre 2011
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