Irak chiama Onu
Non essendovi alcuna incertezza sul fatto che l'attacco anglo-statunitense
all'Iraq sia stato del tutto privo di giustificazioni giuridicamente valide,
in base al diritto internazionale le truppe occupanti e le loro alleate dovrebbero
evidentemente andarsene immediatamente dal paese. Per ripristinare il diritto
e un po' di pace, la provvisoria "amministrazione internazionale"
dell'Iraq non potrebbe che essere sostanzialmente affidata all'Onu mediante
l'impiego tassativo di personale civile e militare completamente
estraneo ai paesi che hanno attuato o anche solo appoggiato l'invasione
(1). Nel contempo, le pesanti spese di tale amministrazione andrebbero chiaramente
addebitate, nella loro interezza, agli invasori.
Questi ultimi, in effetti, avendo scatenato col loro assalto del marzo 2003
una vera e propria guerra d'aggressione (e per di più avendolo fatto
accampando presunte motivazioni rivelatesi in pratica inventate ad hoc, allo
scopo di mascherare gli interessi economici delle multinazionali petrolifere
anglo-statunitensi e gli interessi politico-militari di Washington e Londra),
dovrebbero venire sottoposti a un vero e proprio procedimento giudiziario, sulla
base dell'attuale diritto internazionale. Ciò analogamente a quanto dovrebbe
avvenire per Saddam Hussein e il suo regime, ma per certi versi con una responsabilità
ancora maggiore della loro dal momento che si tratta dei governi di due paesi
aventi da tempo una Costituzione basata sul pieno rispetto dei diritti umani.
Come potrebbe essere realizzato dal punto di vista pratico questo percorso,
che mira a svincolare dalle multinazionali e dalla potenza militare la guida
dell'Onu e l'applicazione del diritto?
Pace, equità e diritto alle Nazioni Unite
Nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu (CdS), Washington e Londra - così
come Parigi, Mosca e Pechino - hanno il diritto di veto su ogni decisione non
semplicemente procedurale, con una sola eccezione: quando in base al capitolo
VI della Carta dell'Onu il CdS sta valutando una controversia tra nazioni, tutti
i governi in essa coinvolti non possono prender parte al voto. Tale capitolo
si riferisce a quelle circostanze - controversie internazionali e inoltre situazioni
che potrebbero portare a frizioni internazionali o appunto a controversie -
la cui continuazione potrebbe mettere in pericolo il mantenimento della pace
e della sicurezza nel mondo.
E' evidente che, se non esiste già una tale controversia coinvolgente
qualcuno di questi cinque governi, il CdS non potrà mai prendere una
decisione significativa senza il consenso di ognuno di essi. E' dunque l'Assemblea
Generale dell'Onu (AG) che dovrebbe prendere per prima l'iniziativa, puntualizzando,
in particolare, che nella fattispecie si sta occupando non della situazione
irachena corrente ma degli aspetti giuridici dell'attacco anglo-statunitense
del marzo 2003. Dell'Iraq sta continuando ad occuparsi stabilmente infatti il
CdS e, quando quest'ultimo approva una risoluzione in cui dichiara di occuparsi
in modo continuativo di una questione, in base alla Carta dell'Onu l'AG non
può più occuparsene.
L'AG potrebbe, in particolare, richiedere con urgenza un parere alla Corte internazionale
di giustizia (Cig) sulla legittimità di quell'attacco. La Cig è
un altro organo dell'Onu ed è tenuta a fornire pareri giuridici su richiesta
dell'AG o del CdS. E' indubbio che, se la Cig si baserà sul diritto internazionale
e non sulla "legge del più forte", il suo parere non potrà
che affermare che l'attacco era privo di legittimità ed ha costituito
dunque un'aggressione. Sulla base anche di tale parere e di un'eventuale risoluzione
dell'AG sull'argomento, i governi di una serie di paesi potrebbero richiedere
l'immediato ritiro delle truppe anglo-statunitensi (e dei loro alleati) dall'Iraq,
la loro sostituzione con i "caschi blu" dell'Onu, la cessazione di
ogni pretesa di ingerenza da parte di Washington e Londra (e dei governi che
hanno appoggiato la loro invasione) negli attuali affari iracheni, e il fatto
che tutte le spese dell'Onu connesse a questa vicenda vengano appunto addebitat!
e ai due governi in questione.
Se questi ultimi accetteranno, finalmente si otterrà l'obiettivo primario
di un approccio umanamente sensato e giuridicamente corretto all'attuale vicenda
irachena. Se invece rifiuteranno (come appare estremamente probabile), il CdS
potrebbe decidere di intervenire in questa controversia tra nazioni, sulla base
appunto del cap. VI della Carta dell'Onu. In effetti, il rifiuto di Washington
e Londra di accettare le richieste in questione (fondate tra l'altro sulla semplice
applicazione del diritto vigente) avrebbe la tendenziale conseguenza di rafforzare
e prolungare una serie di tensioni socio-politiche e culturali dalle quali possono
insorgere gravi rischi per lo meno per la sicurezza internazionale, a causa
- in breve - della "minaccia terroristica" che dal settembre 2001
opera da un capo all'altro del mondo in palese connessione con gli effetti economici
e sociali della politica estera statunitense.
Il contenzioso e il ruolo statutario dell'Onu
Il CdS potrebbe così raccomandare una soluzione per la controversia senza
temere il diritto di veto di Washington e Londra, che non potrebbero esercitarlo
in quanto parti in causa in tale controversia. Quando opera in base al cap.
VI, il CdS non può decidere azioni o sanzioni (queste appartengono al
cap. VII); però, una risoluzione in cui il CdS - facendo eventualmente
riferimento anche al parere della Cig - facesse proprie le richieste già
delineate avrebbe un profondo significato politico per l'intero mondo: diventerebbe
chiaro che esiste non un contenzioso tra la popolazione irachena e il diritto
internazionale da un lato e le maggiori multinazionali petrolifere, Washington,
Londra, l'Onu, Madrid, Roma, Varsavia, ecc. dall'altro; ma un contenzioso tra
la popolazione irachena, il diritto internazionale e l'Onu da un lato e quelle
multinazionali, Washington, Londra e gli eventuali alleati rimasti loro dall'altro.
In altre parole, l'Onu potrebbe riprendere di fronte all'inte! ro mondo il suo
originario ruolo statutario di difensore della pace e della giustizia.
Tutto questo avrebbe tendenzialmente, inoltre, due ulteriori effetti di fondo
nella comunità internazionale.
In primo luogo, favorirebbe in essa la diffusione dell'idea - quanto mai fondamentale
per un'adeguata attuazione dei princìpi di giustizia ed equità
del diritto - che in caso di gravi violazioni del diritto internazionale si
possano applicare sanzioni politico-economiche non solo a paesi relativamente
piccoli e poveri come l'Iraq del 1990 ma anche a paesi relativamente grandi
e ricchi come gli Usa del 2003. Tra l'altro, se è vero che l'Onu è
praticamente impossibilitata ad agire in questo senso nei confronti
dei 5 paesi con diritto di veto e dei loro principali alleati (ai quali è
comunemente allargata la protezione fornita da quel diritto di veto), è
altrettanto vero che all'occorrenza - quando cioè con un veto si pretende
di "nascondere" gravi violazioni - la comunità internazionale
potrebbe prendere provvedimenti sanzionatori anche senza ricorrere ad un'Onu
che, appunto, viene tipicamente ingessata e paralizzata dai governi dell'uno
o dell'altro di quei 5 paesi ogni vol! ta che ciò fa loro comodo.
In secondo luogo, aiuterebbe la comunità internazionale ad avvicinarsi
a quella ormai indispensabile rifondazione delle Nazioni Unite basata sull'equità
e sui diritti umani che è invocata già da tempo da tantissime
personalità e che, in pratica, risulta essere l'unica possibilità
per riuscire ad affrontare in modo vitale ed utile all'umanità le contraddizioni
interne che stanno distruggendo l'Onu (2).
Un percorso reale di giustizia
A fianco di questi passi realizzabili nell'ambito dell'Onu, vi è anche
un possibile percorso giudiziario che è del tutto indipendente da essi
benchè essi potrebbero certo facilitarlo. A questo riguardo, va ricordato
che nella Carta di Norimberga - che nel 1945 ha posto le basi per processare
i crimini più gravi commessi dai nazisti - si riconoscono come «*crimini
contro la pace* [...] la pianificazione, la preparazione, l'avvio o l'attuazione
di una guerra di aggressione, o di una guerra in violazione di trattati, accordi
o impegni internazionali, o la partecipazione ad un piano comune o ad una cospirazione
per la realizzazione di qualcuno degli atti succitati». Successivamente,
nel 1950, la stessa Onu ha sancito un valore di attualità e di legge
internazionale ai Princìpi di tale Carta (compresi i punti appena citati),
specificando che chiunque sia autore o complice di uno dei crimini in essa elencati
è internazionalmente soggetto a procedimento giudiziario e, se riconosciu!
to colpevole, a una pena (3).
Ciò significa che qualsiasi tribunale penale del mondo dovrebbe aver
automaticamente giurisdizione sui crimini riconosciuti nei Princìpi di
Norimberga, chiunque li abbia commessi e dovunque abbiano avuto luogo. In Italia,
p. es., questa giurisdizione è riconosciuta addirittura in modo esplicito
dalla Costituzione nel suo art. 10, che precisa che «l'ordinamento giuridico
italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute»
(4).
E' dunque possibile, pressochè in qualsiasi paese del mondo, fare passi
per dare inizio ad un procedimento giudiziario per "crimini contro la pace"
a coloro che hanno gravemente violato i Princìpi di Norimberga nel marzo
2003 in Iraq. Ciò non significa che, nel caso in cui in qualche nazione
un tribunale riconosca colpevoli di ciò un certo numero di esponenti
delle gerarchie politico-militari di Usa e G. Bretagna, questi due Stati siano
tenuti ad estradare verso quella o quelle nazioni le persone in questione. Però,
significa senza ombra di dubbio che tali persone non potrebbero più mettere
piede in tali nazioni senza finire in prigione per "crimini contro la pace"
e, nel contempo, che un tale procedimento giudiziario costituirebbe un significativo
precedente per altri procedimenti in qualsiasi nazione sulla stessa questione
o su ulteriori simili questioni che purtroppo si presentassero in futuro (5).
Perchè mai il diritto deve esistere - come esiste giustamente a tutela
del benessere degli individui - quando si tratta di furti, danneggiamenti alla
proprietà privata, diffamazione, lesioni, ecc., ma non deve esistere
per crimini molto più gravi come una guerra non certo difensiva, con
tutta la sua colossale corona di morti, feriti, devastazioni, pressochè
inevitabili ritorsioni, e così via?
I cittadini e la pace
I percorsi qui delineati hanno come uno dei loro obiettivi quello di mostrare
che nell'ambito della vita diplomatica e giudiziaria internazionale non è
per niente ineluttabile quanto sta succedendo in Iraq dal marzo 2003: al contrario,
vi sono ampi spazi d'azione per affermare l'etica, il diritto, la correttezza
umana e la pace. Se i governi non si addentrano in tali spazi non è perchè
non vi sono possibilità giuridiche o perchè il diritto di veto
di un governo nel CdS può coprire tutto: al contrario, tale veto non
può coprire tutto e le possibilità giuridiche ci sono. Se un governo
in questi mesi non percorre con costanza e decisione la strada della pace e
del difendere il rispetto della legalità internazionale, è solo
perchè preferisce inchinarsi agli interessi delle maggiori multinazionali
petrolifere e dei loro mentori politici e ai crimini contro la pace.
Ma i governi devono anche rendere conto ai cittadini, per lo meno nei paesi
in cui questi ultimi sono riusciti, nel corso dei secoli, a conquistarsi, di
solito faticosamente, un po' di democrazia. Nei mesi che hanno preceduto l'attacco
del marzo 2003, vi è stato un movimento internazionale a favore della
pace sostenuto da miliardi di persone da un capo all'altro del pianeta. Fra
i mezzi per continuare a cercare di difendere la vita, la pace e la giustizia
in campo internazionale vi sono anche quelli qui accennati. E la "società
civile" può fare molto riguardo ad essi: attraverso la discussione
e l'approfondimento sul loro significato e sulle loro possibilità attuative;
attraverso pressioni sulle forze politiche; attraverso le scelte elettorali;
ed eventualmente, nei modi e tempi che risultassero più opportuni, attraverso
specifiche iniziative in campo giudiziario.
Note
(1) Possibilmente, i principali rappresentanti di tale personale dovrebbero
aver già espresso pubblicamente nei mesi scorsi la loro contrarietà
all'assalto anglo-statunitense all'Iraq.
(2) Cfr. p. es. Onu, Onu! Che fare?, su Rocca n.10/2003.
(3) Oltre ai "crimini contro la pace", la Carta e i Princìpi
di Norimberga prendono in esame anche i "crimini di guerra" e i "crimini
contro l'umanità".
(4) Per approfondimenti si veda p. es. Commentario della Costituzione -
Principii fondamentali, a cura di Giuseppe Branca (Zanichelli / Soc. Ed.
del Foro Italiano, 1975).
(5) Naturalmente, nulla impedirebbe che procedimenti simili possano venire aperti
anche in Usa e G. Bretagna, dove oltre tutto vi sarebbero ipotesi di reato ancor
più vaste, per molteplici violazioni della Costituzione e di altre leggi
nazionali.
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