“Non adoperate le armi!”
Uniamo i popoli per spegnere subito i fuochi atomici!
La coscienza planetaria è la strada per il disarmo, la pace, la giustizia!
“Non adoperate le armi!”
Non gettate benzina sul fuoco dei conflitti!
Uniamo i popoli per spegnere subito i fuochi atomici!
La coscienza planetaria è la strada per il disarmo, la pace, la giustizia!
(al posto del solito e deviante “Giù le mani” da questo o da quello Stato)
Da parte di Alfonso Navarra
“Giù le mani dall’Iran”? Ho il timore che prestissimo, per le notizie che circolano, specialmente sulla stampa internazionale, con questo slogan, in virtù della mentalità corrente di molti pacifisti che non condivido, dovremo farci i conti.
Non serve però, questa è la mia convinzione base, alla lotta per il disarmo e per la pace, usare e propagandare argomenti che tagliano strategicamente le gambe ad un mondo di pace.
Faccio fatica a propugnare il senso di una “comune umanità” che oggi dovrebbe riconoscersi, direbbero Hessel e Morin, in una “Terra-Patria” (o “Madre-Terra”, secondo i popoli indigeni): e dovrei invece andare dietro al “diritto di autodeterminazione statale” di tutte le “lotte di liberazione nazionale” che insanguinano i cinque continenti?
(...)
Da praticamente 40 anni cerco di convincermi e di convincere che non esiste un nucleare “buono”, “pacifico”, che tutta la tecnologia da fissione per collisione neutronica è intrinsecamente distruttiva ed incontrollabile, quindi adatta essenzialmente a scopi militari.
Dopodiché qualcuno, in alto o in basso, non importa, vorrebbe farmi sottoscrivere che esiste un “diritto” di questo o di quello a sviluppare il nucleare “civile”.
No, per salvare il mondo in corsa verso l’autodistruzione – ed in questo caso lo dico in senso fortissimo - bisogna battersi proprio perché questo “diritto” non venga riconosciuto a nessuno. A nessuno, senza eccezioni.
(...)
Con forza affermo: l’Iran, come Stato, ha “diritto” a non essere bombardato, anche se sviluppa piani nucleari.
Ma la proposizione “L’Iran non deve essere bombardato” può e deve essere tenuta separata dall’altra “L’Iran ha diritto al suo nucleare pacifico”.
(...)
Le “mani”, come popoli, come società civile internazionale, secondo me, dobbiamo poterle mettere dappertutto. Ma devono essere mani disarmate, mani che si tendono per soccorrere ed accarezzare, non mani che si stringono a pugno per colpire.
(…)
Lo slogan giusto, allora, non è “Giù le mani dall’Iran”, bensì “Giù le mani dalle armi”: non adoperate i fucili, non tirate fuori i bombardieri, togliete le dita dai grilletti, non accendete fuochi che possono far deflagrare la santabarbara in cui viviamo stipati!
(...)
A me sembra che l’appello che abbiamo lanciato insieme rifletta non so se bene ma sicuramente questi ragionamenti: infatti lo abbiamo intitolato “No ai venti di guerra” e non “Giù le mani dall’Iran”.
Chiediamo a tutti di non imbracciare le armi, anzi di deporle. Non evochiamo il “diritto al nucleare pacifico”, ma invitiamo tutti ad agire insieme per spegnere, per l’intanto, il fuoco atomico.
Invochiamo l’ONU perché attui la sua decisione di procedere al disarmo atomico dell’intera area.
Sollecitiamo la società civile internazionale ad unirsi per ottenere, dal basso la denuclearizzazione civile e militare.
(...)
L’attacco di Israele agli impianti nucleari di Teheran sembra veramente imminente ed avrà – è la analisi che porto avanti da tempo – tre scopi:
1- disorganizzare i piani nucleari degli Ayatollah (la possibilità di fare
2- la “sceneggiata” della guerra tra Israele ed Iran (per la quale Ahmadinejad potrà proclamarsi vincitore in quanto sopravvivente, sia pure tra qualche maceria radioattiva, allo stesso modo in cui Hezbollah sostenne di aver vinto nel
3- intervenire nella campagna elettorale USA (che si tratta di “incastrare” nella vicenda) per impedire la rielezione di Obama sottraendogli il voto ebraico negli Stati-chiave: deve tornare centrale, rispetto a Wall Street, il complesso militare-industriale-energetico, rappresentato da Romney, quindi la strategia della “guerra permanente” anche come risposta alla crisi finanziaria globale. Il presupposto di quanto asserisco è che potere finanziario e potere militarista, in America, ma non solo, siano intrecciati ed interdipendenti, ma – rifiutando schemi economicismi - non coincidano.
Parlo di “sceneggiata di guerra” non perché sottovaluti il sangue che scorrerà e le devastazioni ambientali: la radioattività sparsa è sempre una bruttissima bestia, per i prossimi e per i lontani.
Non credo però alla deflagrazione immediata di tutta la regione, ed ho la sensazione che i razzi che sparecchieranno in risposta (e spesso a casaccio) le formazioni alleate dell’Iran in Libano, Iraq, Palestina saranno più una timbrata di cartellino che altro.
Al Qaeda e similari coglieranno l’occasione per nuovi attentati terroristici qui e la, ma anche questo, purtroppo, rientra nell’ordinaria amministrazione del nostro mondo disordinato e violento.
Ovviamente i “giacimenti di odio” che vengono in questo modo scavati ed alimentati rendono più probabile questa grave deflagrazione generale nel medio termine, quando a confrontarsi saranno, purtroppo, tutte potenze “nuclearizzate”.
Un punto delicatissimo riguarda la chiusura da parte dell’Iran dello stretto di Hormuz, il conseguente rialzo del prezzo del petrolio, la spinta alla recessione per l’economia globale.
Molti analisti che seguo sostengono che il blocco navale dovrebbe rimanere contenuto, anche se lo shock dovrebbe comunque bastare, nell’immediato, per chi ha interesse a scatenarlo, a far sfumare le speranze di ripresa economica promesse da Obama: anche per questa via verrebbe così boicottato un suo secondo mandato presidenziale. Gli “Stranamore” rimetterebbero, loro, non i vari “Occupy”, le briglie a Wall Street…
Torniamo però da dove eravamo partiti. Anche per l’analisi finora sommariamente e frettolosamente esposta dovrebbe essere più chiaro perché a me non sta bene che si propongano gli slogan, che sempre a suo tempo Forattini metteva alla berlina, tipo “Giù le mani dal valoroso popolo iraniano”.
Ma qualche elemento nuovo nel discorso va introdotto. Cerco di spiegarmi, sperando di essere compreso, nel modo più chiaro, semplice e netto che mi riesce.
Non serve, questa è la mia convinzione base, alla lotta per il disarmo e per la pace, usare e propagandare argomenti che tagliano strategicamente le gambe ad un mondo di pace.
Faccio fatica a propugnare il senso di una “comune umanità” che oggi dovrebbe riconoscersi, direbbero Hessel e Morin, in una “Terra-Patria” (o “Madre-Terra”, secondo i popoli indigeni): e dovrei invece andare dietro al “diritto di autodeterminazione statale” di tutte le “lotte di liberazione nazionale” che insanguinano i cinque continenti?
Magari adottando la bussola rotta di privilegiare quelle che se la prendono contro il più grosso “imperialismo” (al momento) operante nel gioco della potenza internazionale?
Prima viene il “federalismo mondiale”, comunque lo vogliamo declinare, e solo poi l’indipendenza tibetana, per fare un esempio.
Questo esempio non lo tiro fuori a caso perché mi permette di esaltare la saggezza del Dalai Lama: per il Tibet “Sua Santità” chiede oggi l’autonomia, non l’indipendenza!
Ha capito, lui, il cielo glie ne renda merito, che la lotta per salvaguardare la cultura tibetana va portata avanti tenendo conto del contesto mondiale attuale che è una vera polveriera, grazie alla potenza tecnologica ed alle interconnessioni ed interdipendenze in cui siamo globalmente immersi.
Ho le mie ragioni nazionali e culturali, forse sacrosante, ma non devo sostenerle agitando una fiaccola (di lotta armata) contro il mio “nemico”: qui, nel mondo reale di oggi, qualsiasi scintilla può fare saltare tutto e tutti!
Che me ne faccio del “Tibet libero” in una terra desertificata, in cui non ci saranno cinesi, ma nemmeno tibetani; in cui non ci sarà proprio nessuno?
200 e rotti Stati ONU oggi bastano ed avanzano. C’è forse bisogno di ancora nuove bandiere ufficializzate o, al contrario, di progressi sostanziali nel disarmo e nei diritti umani e sociali?
Prima viene la federazione europea e solo, eventualmente, poi la nazione basca, catalana, scozzese, padana (?) e quanto altro.
Quindi parliamo di Europa unita nella democrazia (non sotto la dittatura finanziaria che denuncia Stephane Hessel), parliamo di riforma democratica dell’ONU, parliamo di disarmo globale, parliamo di diritti umani da far valere ovunque (con metodi nonviolenti), e su questo intendo concentrare tutte le mie energie. Battiamoci insieme per queste cose, non venitemi invece a rompere le scatole per “solidarizzare” con l’ennesimo “popolo oppresso” in lotta per l’indipendenza e di riconoscergli la sua “autodeterminazione nazionale”.
Ci mancherebbe che – e pure la cosa una qualche plausibilità l’avrebbe - mi mettessi anche io in testa che esiste un “popolo siciliano” oppresso e colonizzato dall’Italia. Organizzo una banda armata contro lo Stato italiano e chiedo l’”indipendenza”.
Voglio il referendum popolare per la separazione, la secessione: e nel frattempo sparo. Magari chiedo il bombardamento chirurgico del Palazzo della Regione ad una potenza straniera “amica”. Come se questo fosse il modo di “liberarmi dalla mafia e dal sottosviluppo”. Come se in questo modo onorassi la memoria dei miei amici “martiri” Peppino Impastato e Libero Grassi. Ma va là!
No, per dire che oggi esiste un “diritto all’autodeterminazione statale” mi dovete proprio torturare!
Ogni comunità che liberamente si riconosce come tale ha diritto alla sua autonoma espressione culturale: a comunicare nella sua lingua, ad organizzarsi le sue scuole, a celebrare i suoi riti religiosi, eccetera.
Su queste cose potete venirmi a chiedere la “solidarietà”.
Ma se oggi qualcuno mi viene a parlare, che so, di “Stato Kurdo” per spaccare Turchia, Iraq, Armenia, Siria e Iran io gli rispondo. “Mi dispiace, ripassi dopo. Per i prossimi 100 anni ho da fare. Devo dare una mano a chi lavora perché non scoppi una guerra nucleare per errore. Devo fermare l’inquinamento per evitare la catastrofe climatica globale. Devo mettere le briglie alla speculazione internazionale se no l’iper-inflazione mi riporta al potere i fascismi”.
(Per
Vado avanti con l’additare un’altra frase fatta che mi fa veramente incavolare e che c’entra con gli slogan sbagliati, tipo il “Giù le mani dall’Iran”. Da praticamente 40 anni cerco di convincermi e di convincere che non esiste un nucleare “buono”, “pacifico”, che tutta la tecnologia da fissione per collisione neutronica è intrinsecamente distruttiva ed incontrollabile, quindi adatta essenzialmente a scopi militari.
Dopodiché qualcuno, in alto o in basso, non importa, vorrebbe farmi sottoscrivere che esiste un “diritto” di questo o di quello a sviluppare il nucleare “civile”.
No, per salvare il mondo in corsa verso l’autodistruzione – ed in questo caso lo dico in senso fortissimo - bisogna battersi proprio perché questo “diritto” non venga riconosciuto a nessuno. A nessuno, senza eccezioni.
E che, ovviamente, sia cancellato dove è stato codificato!
Gli italiani, per fortuna, con i referendum del 1987 e del 2011, non hanno riconosciuto al nostro governo il “diritto” a sviluppare l’”atomo di pace”.
Il mio contributo alle campagne referendarie l’ho dato proprio andando in giro a spiegare il nucleare “civile” non esiste, che tutto il nucleare ha finalità militari, che l’energia da impianti nucleari è solo un “sotto-prodotto” dei piani atomici.
Sono sempre andato sulle piazze (fisiche) a gridare: l’Italia non ha diritto al nucleare, qualsiasi nucleare, gli USA non hanno diritto al nucleare, non ne ha diritto l’URSS (oggi Russia), non ne ha diritto
Non ha diritto al nucleare Israele. Eccetera, eccetera, eccetera.
Ed ora dovrei battermi per il diritto al nucleare “pacifico” (che non esiste) da parte dell’Iran?
L’Iran non ha “diritto” al nucleare sedicente pacifico!
Questo lo affermo con forza. Così come con altrettanta forza affermo: l’Iran, come Stato, ha “diritto” a non essere bombardato, anche se sviluppa piani nucleari.
La proposizione “L’Iran non deve essere bombardato” può e deve essere tenuta separata dall’altra “L’Iran ha diritto al suo nucleare pacifico”.
Tutti gli Stati hanno diritto a non essere bombardati da altri Stati. Se stanno facendo qualcosa di malvagio, sono i popoli che devono fermarli, non con le bombe ma con la potenza dei mezzi democratici e dell’unità delle società civili internazionali.
Nessuno Stato ha diritto al nucleare. Nessuno stato ha diritto a estinguere la specie umana con l’incontrollabile inquinamento radioattivo.
Questa azione malvagia delle potenze nucleari deve essere fermata dall’unità dei popoli, con la potenza dei mezzi democratici.
E’ questa, oggi, la “battaglia” nonviolenta più importante per l’intera, unica, comunità umana.
Le “mani”, come popoli, come società civile internazionale, secondo me, dobbiamo perciò poterle mettere dappertutto. Ma devono essere mani disarmate, mani che si tendono per soccorrere ed accarezzare, non mani che si stringono a pugno per colpire.
Lo slogan giusto, allora, secondo me, non è “Giù le mani dall’Iran”, bensì “Giù le mani dalle armi”: non adoperate i fucili, non tirate fuori i bombardieri, togliete le dita dai grilletti, non accendete fuochi che possono far deflagrare la santabarbara in cui viviamo stipati!
Il “diritto al nucleare” non c’entra proprio nulla, anzi il fuoco atomico è il primo che dobbiamo spegnere, dovunque sia stato appiccato, e con la massima urgenza.
E qui devo “ingerirmi”, dal basso, scavalcando le frontiere nazionali: perché se ho una centrale nucleare che mi può esplodere in Francia, magari a pochi Km da casa mia, non è che non mi riguarda perché io sono “italiano”.
E se mi batto contro il nucleare di Malville non lo faccio perché “solidarizzo con i francesi”: è per me stesso che mi sto battendo cioè per una speranza di vita che voglio lasciare a me stesso, ai miei simili ed ai miei figli.
E lo stesso vale quando mi do da fare perché in Medio Oriente non si spari: in Israele, in Palestina, in Siria, in Libano, eccetera.
Voglio che deponiate tutti le armi perché, cari signori della guerra, quali che siano le ragioni e i torti di ciascuno, ebrei, cristiani, musulmani e quanti altri, non ci dovete trascinare nella china che ci precipiterà nella guerra atomica.
Ecco il discorso che mi sento di fare, che da tempo faccio e che continuerò a fare, improntando ad esso la mia azione. Lasciando a Fidel Castro e ai “Non Allineati” le sciocchezze sul “diritto al nucleare pacifico” (che, ripeto, non esiste e non può esistere).
E’ un discorso che, scusate se è poco, mi sintonizza più con l’intelligenza che non con la coscienza: non mi mette in contraddizione con quello che penso, che sono, che ho fatto e che farò da antimilitarista nonviolento, da ecologista, da attivista dei diritti umani.
Se io voglio la denuclearizzazione totale, quindi l’avvio del più importante (anche se non definitivo) disarmo, devo parlare ed agire con discorsi omogenei al fine, e non darmi la zappa sui piedi con argomenti che finiranno alla lunga per essere usati contro di me.
A me sembra che l’appello che abbiamo lanciato insieme, il sottoscritto con Giuseppe Bruzzone e Laura Tussi (vai su www.denuclearizzazione.org) rifletta non so se bene ma sicuramente questi ragionamenti: infatti lo abbiamo intitolato “No ai venti di guerra” e non “Giù le mani dall’Iran”.
Chiediamo a tutti di non imbracciare le armi, anzi di deporle. Non evochiamo il “diritto al nucleare pacifico”, ma invitiamo tutti ad agire insieme per spegnere, per l’intanto, il fuoco atomico.
Invochiamo l’ONU perché attui la sua decisione di procedere al disarmo atomico dell’intera area.
Sollecitiamo la società civile internazionale ad unirsi per ottenere, dal basso la denuclearizzazione civile e militare.
Se qualcuno poi pone mano alla fondina e spara, servirà magari condannare l’atto, ma fino ad un certo punto: servirà molto di più ripetere gli stessi inviti dell’appello (deponete le armi, uniamoci per disarmare) e ribadire con più forza i medesimi impegni.
Certo, sarebbe meglio riuscire a prevenire i blitz e a calmare le guerriglie.
Ma temo che il pacifismo internazionale abbia ormai perso buona parte della sua credibilità rispetto all’opinione pubblica internazionale.
La corrente dell’ingerenza umanitaria e per i diritti umani, se non ho capito male, imputa ciò all’influenza degli anti-imperialisti.
La corrente anti-imperialista se la prende invece con i compromessi verso le potenze occidentali compiuti dalla corrente più moderata.
Avendo mezza ragione l’una e mezza ragione l’altra il risultato, mi pare, è che abbiano torto entrambe.
Occorrerebbe, è la mia convinzione, una terza via, una nuova cultura, la coscienza che condividiamo davvero un destino planetario.
Una cultura della “comune umanità” non solo “occidentale”; e nemmeno fatta di quel rivendicazionismo “sudista” che insegue l’Occidente nei suoi stessi difetti (male intesa potenza e male intesa e male immaginata “ricchezza” monetaria).
Come scrivono Stephane Hessel e Edgard Morin ne “Il cammino della speranza” (riassumo non citando letteralmente):
“Abbiamo il dovere di essere cittadini che partecipano al destino planetario promuovendo i principi universali che hanno animato
Possiamo tracciare la lunga e difficile strada verso la nascita di una Terra-Patria che inglobi e rispetti tutte le patrie, compresa la nostra.
Alle nazioni si deve proporre una governance mondiale che non soltanto riformi e rifondi l’ONU, ma prenda in carico istanze planetarie deputate alla risoluzione di problemi vitali come la proliferazione delle armi di sterminio di massa, il degrado della biosfera, il ritorno delle carestie ed il persistere della malnutrizione, oltre ad una vera e propria regolazione economica che combatta i crimini della speculazione finanziaria”.
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