Cari Italiani, aiutateci a combattere la tortura in Usa
Quasi diecimila americani hanno già inviato i loro ringraziamenti all'Ambasciata italiana a Washington in seguito alle condanne definitive inflitte in Italia dalla Cassazione, lo scorso 19 settembre, ai 23 agenti della Cia rei di aver rapito l'ex imam di Milano il 17 febbraio, 2003, e di averlo mandato in Egitto per essere interrogato sotto tortura. Noi di RootsAction.org, movimento di cittadinanza tra i più attivi negli USA, abbiamo promosso la raccolta di ringraziamenti per dire al governo italiano che esiste un'America felice della sentenza della Cassazione e che ora vuole l'estradizione in Italia dei 23 condannati che altrimenti continuerebbero a vivere liberi e impuniti negli Stati Uniti.
Nella foto che ritrae i giudici della Cassazione che hanno emesso la sentenza si intravede, sulla parete alle loro spalle, la frase: “La legge è uguale per tutti”. E la loro sentenza ne è la prova.
Ma sarà davvero “uguale per tutti” anche l'esecuzione della sentenza?
Infatti, se la legge è davvero uguale per tutti, il ministro della Giustizia dovrà avviare senza indugi o rinvii le pratiche di estradizione. Paola Severino potrebbe addirittura disporre il trasferimento coatto in Italia dei 23 condannati, tramite i Servizi segreti italiani operanti negli Stati Uniti, precisando alla Casa Bianca che si tratta di una “extraordinary rendition”...
Anzi, se la legge è davvero uguale per tutti, non ci sarà nemmeno bisogno di estradizioni o trasferimenti. Lo stesso governo statunitense manderà in galera i 23 condannati, per non affollare le prigioni di un Paese amico. Non solo, ma arresterà e processerà anche i loro mandanti, ivi compresi un certo ex capo di stato, ora latitante nel suo rifugio texano.
E non è finita, poiché se la legge è davvero uguale per tutti, gli Stati Uniti smetteranno di ordire piani per sequestrare Julian Assange. Riconosceranno che non esistono le basi legali per la sua estradizione negli Stati Uniti, e nemmeno in Svezia, perché egli non è mai stato condannato (e neppure accusato formalmente) per reati commessi nei due Paesi in questione.
Ma forse è troppo sperare. Forse bisogna ritornare con i piedi per terra, dato che la realtà ci racconta ben altro. Ad esempio...
Un giorno, mentre Abu Omar cammina tranquillamente per strada a Milano, lo fermano due poliziotti, lo interrogano per qualche minuto, poi si apre con fragore lo sportello di un furgone parcheggiato alle sue spalle e due gorilla lo trascinano dentro. Richiuso lo sportello con altrettanto fragore, il veicolo riparte a tutta velocità. Durata dell'operazione: tre secondi. Dentro, al buio, Omar viene pestato: botte e calci nello stomaco, nelle gambe, nel petto, in testa. Poi viene imbavagliato e incappucciato, i polsi e le caviglie glieli stringono con delle corde. Trascorrono alcune ore. Il furgone si ferma. Omar viene trascinato in un secondo veicolo. Poi un'altra ora di viaggio nel buio e nel terrore. Qualcuno lo fa scendere, lo spoglia, gli infila brutalmente un tampone nell'ano, gli avvolge le parti basse in un pannolino e la testa con del nastro da imballo. Poi egli viene scaraventato, mezzo stordito, sul sedile di un aereo. Destinazione: Egitto.
Il resto è indescrivibile. Quando finalmente Omar esce dal carcere di Tura, è invecchiato, riesce a malapena a camminare. Aveva subito torture raccapriccianti. E non erano torture egiziane, tranne che per l'esecuzione materiale. Erano torture a stelle e strisce.
Questo famigerato sequestro è stato il lavoro di una ventina di agenti della Cia i quali, mentre preparavano il colpo, si godevano la bella vita milanese negli alberghi più lussuosi. Incredibile a dirsi, gli inquirenti hanno potuto identificarli perché usavano normali schede telefoniche e carte di credito, tutte rintracciabili, e adottavano pseudonimi simili ai loro nomi reali. Perché tanta leggerezza? Perché si ritenevano al di sopra della legge.
Pertanto il grande merito del sistema giudiziario italiano è stato quello di aver dimostrato a questi delinquenti che non erano affatto al di sopra della legge. Perché “la legge è uguale per tutti.”
Perciò, grazie, Italia. Nessun altro Paese ha finora fatto altrettanto. E questa è la ragione per la quale i governi degli Stati Uniti vivono nella convinzione di potersi permettere di operare secondo regole diverse da quelle osservate dal resto dell'umanità. Convinzione che diventa intollerabile sfacciataggine quando George W. Bush e Richard B. Cheney raccontano le loro nefandezze in libri che portano la loro firma, o nelle loro conferenze pubbliche, senza essere chiamati a risponderne davanti a un tribunale. Ma il Presidente Obama ha dato ordini al Ministro USA della Giustizia di non incriminare la Cia per le sue pratiche di tortura né chi, dalla Casa Bianca, le ordinava. Obama si giustifica asserendo: “Bisogna guardare al futuro, non al passato.” Un futuro, dunque, di presidenti e di Servizi segreti fuorilegge e impuniti. C'è da aver paura.
Sotto l'amministrazione Obama gli abusi di Bush si sono dunque formalizzati, per diventare “normative di politica esecutiva”. Grazie ad esse, il presidente ha ormai il potere di spiare qualsiasi cittadino senza un regolare mandato; può incarcerare chiunque senza processo e per un tempo illimitato; può rapire qualsiasi cittadino di qualsiasi Paese e farlo torturare nelle prigioni di Paesi terzi; può assassinare segretamente chiunque – bambini, donne, uomini, di qualsiasi nazionalità – usando velivoli robot (droni) in grado di invadere qualsiasi spazio aereo senza autorizzazione.
Inoltre, grazie alle normative introdotte da Obama, il presidente può dar inizio a guerre senza chiedere l'approvazione del Parlamento: viene aggirata la legge che imporrebbe tale vincolo. Bush, meno furbo, ha dovuto ricorrere alle menzogne per ottenere dal Parlamento l'autorizzazione d'iniziare le guerre che ha fatto.
E' pur vero che Obama ha vietato, sotto la sua amministrazione, la pratica delle forme estreme di tortura introdotte illegalmente da Bush. Ma soltanto sotto la sua amministrazione. Infatti Mitt Romney, candidato Repubblicano alla presidenza, ha ipotizzato il ripristino di quelle pratiche estreme – e dal momento che una “normativa interpretativa” di Obama ha insabbiato la legislazione che le proibisce, il Presidente Romney (o qualsiasi altro futuro presidente) avrà via libera. Ormai nelle prigioni americane può accadere di tutto con il beneplacito della Casa Bianca: basta che il torturato non muoia e non riporti cicatrici. In sostanza la tortura, da crimine contro l'umanità, è diventata un optional della politica del presidente di turno. Pertanto non è facile capire quali strumenti legali siano ancora rimasti per opporsi alla discrezionalità senza controllo dei presidenti statunitensi, e alla loro impunibilità.
Ed è per questo che noi statunitensi, oggi come oggi, abbiamo bisogno di tutta la rinomata saggezza giuridica italiana. Stiamo annaspando e cerchiamo una mano amica per venirne fuori. Ci serve l'integrità e la risolutezza del sistema giudiziario italiano, che opera per far valere il diritto senza guardare in faccia nessuno, nemmeno il presidente della Repubblica.
Dal canto nostro, noi non ci tireremo indietro. Non abbiamo paura di riconoscere ad alta voce i nostri torti – non c'è patriottismo che tenga. L'ho detto qualche anno fa in Italia, ad una manifestazione contro la costruzione della mega base militare USA a Vicenza: “Cari amici italiani, sappiamo che vi stiamo facendo un torto; lo ammettiamo; ce ne scusiamo. Aiutateci a porvi rimedio!”
Badate bene, non sto chiedendo il commissariamento del mio Paese. Sto chiedendo l'applicazione della giurisdizione universale precisamente per quei casi in cui va applicata: laddove una determinata popolazione non riesce a far rispettare il diritto dal proprio governo. Pertanto chiedo che il sistema giudiziario italiano s'incarichi anche della questione delle torture praticate istituzionalmente da determinati funzionari degli Stati Uniti, come ha appena fatto nel caso di Abu Omar. Quest'ultimo caso è stato indubbiamente più facile da affrontare perché i fatti sono avvenuti in Italia, e pur tuttavia il principio di giurisdizione universale consentirebbe alla magistratura italiano di incriminare i funzionari statunitensi anche per i crimini contro l'umanità da loro commessi sul suolo americano: tortura psicologica (caso Bradley Manning), sequestro finalizzato alla tortura (caso Maher Arar), ecc.
E in ogni caso, sarebbe già un grande passo avanti se l'Italia, nella propria giurisdizione naturale, facesse – finalmente! – capire all'amministrazione USA che intende far valere il diritto senza fare sconti a nessuno. A nessuno! L'Iraq lo ha già fatto. Ha informato, senza mezzi termini, le autorità militari USA che i loro mercenari e paramilitari non potranno più agire impunemente sul suolo iracheno. Risultato: gli Stati Uniti hanno ritirato i mercenari e i paramilitari dall'Iraq.
Se gli agenti della Cia che operano in Italia sapessero di doversi sottoporre alla legge del Paese, una legge davvero “uguale per tutti”, magari, come i mercenari americani in Iraq, fuggirebbero dal Bel Paese tutti quanti. Ve la immaginate, un'Italia senza agenti della Cia? Credo che saprebbe sopravvivere benissimo. E rifiorire.
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