La crisi-truffa e la casa-vita
Parabola
Sulla crisi-truffa e sulla casa
Tante famiglie, per acquistare la casa - che è un bene primario assoluto, che deve essere fuori mercato, come la vita, perché la casa è corpo e cura - si sono rivolte a banche astute come serpenti (dal massimo dirigente fino ai 200.000 operatori finanziari reclutati, tra cui 3.000 pregiudicati per reati finanziari), tutte collegate nell'operazione.
"La tua casa costa 80, noi ti diamo 100 che ci restituirai con gli interessi, tanto la tua casa un bel giorno varrà 150 o 200". Le banche sapevano che i poveri sognatori imbambolati a milioni nel mito della crescita infinita, non avrebbero potuto pagare ed esse si sarebbero presa la casa. Ma quelli firmano, cominciano a pagare più del valore della casa, non ci riescono più, intanto la casa perde valore (bolla edilizia), la banca semplicemente li sfratta: 2,3 milioni di famiglie in Usa, 400.000 famiglie in Spagna, o per strada o accatastate presso parenti buoni.
Le banche (tutte imparentate tra loro da stretti legami) hanno esagerato nel gioco, sono nei guai anche loro. Ma "sono troppo grandi per fallire"; gli stati le salvano con robuste iniezioni di denaro, pagato da tutti (cioè da chi ne ha più bisogno; compresi gli sfrattati), con la riduzione dei servizi ("abbasso lo stato sociale conservatore! viva la libertà di speculare!").
Il fatto è che la casa (all'origine, mi spiegano, di tutta la crisi-supertruffa) è un diritto umano, che deve arrivare, come la vita (in linea di diritto), ad essere non commerciabile. Non si può comprare e vendere schiavi. Così non si può far soldi sul bisogno di casa. La dobbiamo assicurare e pagare tutti a tutti, come l'esercito (più dannoso che utile), come l'acqua e l'elettricità, in proporzione alle possibilità e ai bisogni. Commerciare il tetto della tua vita è come sequestrare i vestiti e rivenderli ai nudi al prezzo che voglio io. Barbarie pura.
Questo lo scrivevamo noi su il foglio, mensile di Torino (www.ilfoglio.info), quando pensare alla giustizia era una cosa ammessa anche da qualcuno dei benpensanti. Io lo penso ancora.
Mi occupo di quel che si pensa prima di quel che si fa, perché questo consegue.
Enrico Peyretti
Sociale.network