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Il presidente iracheno dal 17 dicembre scorso è ricoverato in gravi condizioni all'ospedale di Baghdad. Era stato operato al cuore negli Usa nel 2008 e il 17 settembre era rientrato in Iraq dopo essere stato tre mesi in cura in Germania.

Jalal Talabani, un uomo d’azione e di pace

In occasione delle ultime elezioni politiche, nella primavera di due anni fa, alle prime ombre della sera Sulaimaniya si trasformava. Nel frastuono dei clacson e delle musiche a tutto volume delle auto, migliaia di giovani si riversavano nel centro cittadino. Una scenografia accattivante, che faceva quei giovani partecipi di un progetto comune. Un coinvolgimento più simile a quello di chi aveva vent’anni nel nostro ultimo dopoguerra che a un giovane dell’Europa attuale, stressata tra spread e default. Ecco, questa è l’altra immagine che mi viene alla mente. La voglia di partecipazione e la scoperta della ritrovata possibilità di scegliere, che univa quei giovani. Protagonisti del proprio futuro.
E’ questo il patrimonio di valori e speranze che Jalal Talabani ha saputo trasmettere al proprio popolo.
21 dicembre 2012
Andrea Misuri

Jalal Talabani

Jalal Talabani è molto più che il Presidente della Repubblica dell’Iraq. E’ il garante e il referente istituzionale che tiene unite, in un equilibrio costantemente instabile, etnie irrimediabilmente divise.

Nasce a Koya, a ovest di Sulaimaniya, vicino al lago di Dokan – oggi località turistica – sulla strada che corre verso Erbil. Siamo in prossimità dell’Iran. Il confine che corre lungo i monti Shinerwe, permeabile a possibili infiltrazioni e potenziale focolaio di tensioni.

Avvocato, partigiano indomito, Jalal Talabani nel 1975 fonda il Puk, il partito unitario curdo. Espropria ai latifondisti le terre – lasciando comunque loro quelle sufficienti per le esigenze familiari - per distribuirle ai contadini. Insieme a Massud Barzani – attualmente Presidente del Governo regionale del Kurdistan – sono i leader carismatici che guidano il sogno dell’autonomia politica della regione.

Jalal Talabani e Hero Khan negli anni '60

Negli anni Sessanta, una scrittrice fiorentina, Joyse Lussu, frequenta il giovane Talabani e i suoi peshmerga. A lei, che ha sposato l’antifascista Emilio Lussu, uno dei fondatori di Giustizia e Libertà, le ricordano i “partigiani della Maiella o del cuneese”. E pensa alle nostre partigiane, quando le raccontano “di Margarete, che aveva comandato una formazione ai confini dell’Iran, ed era morta in combattimento”.

La "First Lady" Hero Ahmed Ibrahim. Alla sua destra Khder Kareem, sindaco di Halabja

E ancora, a Damasco Joyse Lussu incontra Hero Ahmed Ibrahim: “…lei mi si aggrappò stringendomi forte, perché le portavo notizie del suo uomo molto amato che combatteva lontano”.

Ecco, questi sono i flash che mi salgono alla mente, quando arrivano le notizie sulla salute del Presidente e gli amici curdi postano su Facebook frasi auguranti una pronta guarigione.

Jalal Talabani e Hero Khan, un uomo e una donna dai sentimenti e dalla volontà forti. Impegnati, dopo la riconquistata libertà, a radicare, nel comune sentire del popolo iracheno, i conquistati diritti in una società da sempre chiusa. Ad alzarne il livello economico. Oggi, con i venti di guerra relegati alle enclavi di Kirkuk e Mosul, il Kurdistan iracheno in particolare è un gigantesco cantiere in itinere. Con i proventi del petrolio investiti in infrastrutture, in una crescita tumultuosa facilitata dalla mancanza di piani regolatori.

Maiolica illustrante il simbolo del PUK, il partito dell'Unione Patriottica del Kurdistan

In occasione delle ultime elezioni politiche, nella primavera di due anni fa, alle prime ombre della sera Sulaimaniya si trasformava. Nel frastuono dei clacson e delle musiche a tutto volume delle auto, migliaia di giovani si riversavano nel centro cittadino. Intanto il traffico impazziva e i tassisti si allontanavano dall’incipiente caos, deviando per buie strade laterali. La meta di quei ragazzi era la sede del Puk in Salim Street, illuminata a giorno da potenti riflettori. Fasci di luci fluorescenti e fantasmagoriche, verdi come il colore del Partito. Una scenografia accattivante, che faceva quei giovani partecipi di un progetto comune. Cantavano, gridavano slogan, discutevano sotto l’occhio vigile della polizia. Un coinvolgimento più simile a quello di chi aveva vent’anni nel nostro ultimo dopoguerra che a un giovane dell’Europa attuale, stressata tra spread e default.

Ecco, questa è l’altra immagine che mi viene alla mente. La voglia di partecipazione e la scoperta della ritrovata possibilità di scegliere, che univa quei giovani. Protagonisti del proprio futuro. E’ questo il patrimonio di valori e speranze che Jalal Talabani ha saputo trasmettere al proprio popolo.

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