I primi commenti sulla manifestazione per la pace di Firenze del 21/9 e sul resoconto di Patrick Boylan, “Prime impressioni”
Sono arrivati i primi commenti all'intervista di Patrick Boylan (su “La manifestazione per la pace di Firenze: prime impressioni”), pubblicata da PeaceLink il 25.9.2014. La manifestazione, intitolata “Facciamo insieme un passo di pace”, si era tenuta quattro giorni prima nel capoluogo toscano. Malgrado un discreto successo di pubblico, l'evento ha attirato più di una critica – tra cui quelle di Boylan.
Il primo commento giunto in redazione, in ordine di tempo, è stato quello di Gianmarco Pisa dell'Istituto Italiano di Ricerca sulla Pace. Inoltrato il 28 settembre, il testo contiene giudizi in parte positivi sull'intervista rilasciata da Boylan, e in parte critici. Verrà discusso in questo articolo mentre gli altri commenti da noi ricevuti saranno oggetto di un articolo successivo.
Gianmarco Pisa ci ha inviato, dunque, come contributo al nostro dibattito, una riflessione da lui scritta per il sito Sibialiria in data 18.9.2014, in cui parla dei preparativi per la manifestazione di Firenze. Egli critica l'impostazione troppo generica data all'evento, evidente sin da allora. Infatti, scrive Pisa, gli organizzatori facevano già capire a tutti che, nel parlare dal palco, non bisognava “scavalcare le differenze” bensì “mantenere sul generico le prese di posizione e di giudizio, con l'obiettivo di offrire un ambiente accogliente per il numero più ampio di soggetti”. Tuttavia, questo orientamento, se “evita … la fatica di confrontarsi nel merito”, impedisce ai partecipanti di raggiungere “la chiarezza delle posizioni da assumere e da proporre pubblicamente” rispetto ai conflitti armati in corso nel mondo.
Ma questa è proprio la critica principale che Boylan, nell'intervista da lui rilasciata a PeaceLink, ha mosso alla manifestazione del 21 settembre, da partecipante!
Inoltre, prosegue Pisa nel suo contributo, visto gli orientamenti politici degli organizzatori, era anche evidente, ben prima dell'evento, che le poche prese di posizione che sarebbero proclamate dal palco il 21 settembre, avrebbero inevitabilmente riprodotto il “doppio standard della politica euro-atlantica”.
E difatti, ha poi asserito Boylan nella sua intervista, dal palco c'è stato un intervento favorevole alla fornitura di armi e consiglieri militari ai rivoltosi siriani, seguito però da un intervento che ha condannato la Russia per le sue forniture di armi e di consiglieri militari ai rivoltosi ucraini. Due pesi e due misure, dunque. Non solo, ma c'è stato, da una parte, il silenzio-assenso verso il governo di Kiev che continua a bombardare i civili delle città ucraine in rivolta e, dall'altra parte, una condanna esplicita del governo siriano per aver fatto la stessa cosa. In fin dei conti – ha concluso Boylan – a Firenze si è fatto politica, altro che! Ma, con l'eccezione degli interventi sulla Palestina e sugli F35, solo la politica del nostro governo, intrisa di equivoci e acriticamente filo-atlantica.
Pisa, dunque, avrebbe visto giusto – almeno stando al resoconto della manifestazione fornito da Boylan.
Dobbiamo allora concludere che l'articolo che Pisa ci ha inviato, come contributo al dibattito, debba considerarsi un'adesione incondizionata alle valutazioni espresse da Boylan nella sua intervista?
Per quanto riguarda i concetti da lui espressi, certamente sì, come abbiamo appena visto. Per quanto riguarda invece la forma utilizzata da Boylan, sicuramente no.
Infatti, Boylan ha parlato “senza peli sulla lingua” mentre il linguaggio che usa Pisa, nel suo articolo, è diplomatico e rispettosissimo delle varie posizioni. Boylan denuncia; Pisa allude. Il primo sbatte in faccia; il secondo accenna soltanto e quindi lascia ai suoi lettori la libertà di non intendere ciò che essi potrebbero non voler capire – e nemmeno sentire. Sarebbe da fariseo, il linguaggio forbito usato da Pisa? In realtà, ci sembra invece solo un voler evitare lo scontro frontale. Mentre Boylan, nel dire pane al pane e vino al vino, sembra accettare di correre quel rischio.
Pertanto nell'inviarci il suo contributo linguisticamente molto attento, Pisa ha forse voluto dirci che c'è modo e modo per esprimere le cose e forse la maniera da lui adottata, a lungo andare, è quella che ottiene i migliori risultati – in ambienti pacifisti e non solo.
Certo, le differenze tra i due stili hanno anche risvolti culturali. Gli anglosassoni, quali Boylan è, tendono ad andare subito al punto (straight to the point), mentre gli italiani tradizionalmente si esprimono in modo più soft, quasi attenuando le differenze, pur di evitare lo scontro. Riteniamo però che sia opportuno riflettere anche sull'efficacia del modo in cui le critiche alla manifestazione di Firenze sono state avanzate. Cioè, a parere di questa redazione, le debolezze dei movimenti pacifisti italiani in un contesto allarmante di guerre che generano in tutti noi ansia, unita a frustrazione per l’inutilità delle soluzioni fin qui adottate, siano tali che esse vadano analizzate e descritte in modo esplicito, nella speranza di individuare un percorso nuovo e adatto ai conflitti in corso.
Sarà il lettore a giudicare. L'intervista di Boylan appare qui. Il contributo di Pisa segue qui sotto.
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La quantità di appelli e documenti che si stanno moltiplicando sin dalle prime settimane di settembre, appena alla ripresa dell'ordinaria attività politica, sulle questioni della guerra e della pace, colpisce per molti motivi. Innanzitutto, la reciproca auto-referenzialità: una tale quantità di prese di posizione corrisponde ad una analoga mole di sigle, reti e tavoli, che lasciano l'impressione di una fatica ad incontrarsi davvero, sul terreno dell'analisi e della sintesi e di conseguenza a confrontare le reciproche differenze, di orientamenti e proposte, e tentare una efficace convergenza. Poi, non secondaria per importanza, la ricerca della via breve: il tentativo cioè di scavalcare le differenze mantenendo sul generico le prese di posizione e di giudizio, con l'obiettivo di offrire un ambiente accogliente per il numero più ampio di soggetti, evitando però, al tempo stesso, la fatica di confrontarsi nel merito e la chiarezza delle posizioni da assumere e da proporre pubblicamente.
Queste contraddizioni possono certo essere il prodotto dell'ambizione di conciliare le differenze e di costruire reti inclusive, con l'obiettivo di ricomporre ad unità, quanto più larga e rappresentativa possibile, le forze, ampiamente divise e frammentate, di quello che una volta chiamavamo “movimento per la pace e contro la guerra” o, più chiaramente, “contro la guerra senza se e senza ma”. Obiettivo giusto e necessario, per una ricomposizione strategica ed inderogabile. L'interrogativo che nasce è piuttosto se questa strada, oltreché percorribile, sia anche efficace: se serva cioè evitare il confronto nel merito, la fatica dell'approfondire e dell'argomentare, e mettere tra parentesi differenze talvolta sostanziali, per conseguire lo scopo del “tutti in piazza, tutti insieme”. Gli esempi, d'altro canto, non mancano. Ha sollevato molta discussione, all'interno del movimento per la pace, l'appello che promuove la prossima “Marcia della Pace” Perugia-Assisi (19 ottobre) che, pur ponendo alcuni obiettivi chiari (il riconoscimento del diritto umano alla pace, la risoluzione pacifica dei conflitti, il rafforzamento democratico delle istituzioni internazionali), non menziona nessuno degli scenari di guerra in corso e non esprime nessuna valutazione sul ruolo delle potenze occidentali, non ultima l'Italia, nei fronti di guerra aperti.
La manifestazione di Firenze “Un Passo di Pace” (21 settembre), nel suo appello, ha il merito di segnalare il no alla guerra e la difesa delle vittime come prioritari, insieme con gli obiettivi storici delle campagne nonviolente (soluzione politica dei conflitti, disarmo e difesa civile non armata e nonviolenta), ma basta scorrere l'elenco dei soggetti animatori per intravedere differenze non da poco sulla valutazione della situazione nei diversi fronti della nuova guerra mondiale, dalla Siria all'Ucraina.
A sinistra, sul versante politico, si riflettono tutte queste incertezze e contraddizioni. Il documento del gruppo di lavoro «Mediterraneo, Pace, Migranti, Relazioni Europee» de “L'Altra Europa” verso la manifestazione del 21 settembre, da una parte riconosce il ruolo nefasto delle potenze imperialiste e delle petro-monarchie del Golfo nell'addestrare e finanziare, in Siria e in ogni dove, ogni sorta di banda, dall'altra, si attarda nel rammarico per il «mancato appoggio ai democratici in Siria», senza specificare in cosa sarebbe dovuto consistere questo appoggio e quali forze democratiche si sarebbe dovuto appoggiare. Non di rado, anche le forze reputate “moderate” nell'opposizione al governo siriano hanno invocato l'intervento armato per scalzare l'odiato Assad, mentre oggi sembrano del tutto ai margini, specie all'indomani della saldatura tra diversi fronti jihadisti e dello sfaldamento della Coalizione Nazionale Siriana, eterogenea galassia, ben poco non-violenta, finanziata dagli Stati Uniti e dagli “Amici della Siria”, che come afferma, addirittura, “Repubblica” «si è rivelata incapace di rappresentare un'alternativa al governo di Damasco, anche soltanto dall’esilio».
Il doppio standard della politica euro-atlantica impedisce, purtroppo, di riconoscere che, in Siria, alle ultime elezioni parlamentari (maggio 2012) ha votato il 51% degli aventi diritto, mentre alle ultime elezioni presidenziali (giugno 2014) ha votato il 73%, di cui l'89% per il presidente uscente. Tutti “al soldo del regime”?
Occorrerebbe forse un minimo di attenzione e un minimo di coraggio in più, nell'approfondire le questioni collegandosi ai popoli che resistono all'aggressione dell'imperialismo, e nel sottrarsi ad un giudizio mainstreaming che, seppure comodo e confortante, quasi mai centra il punto e riesce a cogliere nel segno.
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Gianmarco Pisa è presidente degli “Operatori di Pace – Campania” e segretario nazionale dell'Istituto Italiano di Ricerca per la Pace.
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