Il “corridoio umanitario” per Kobane, le aspirazioni dei curdi e la doppiezza della Turchia
L’iniziativa lanciata da varie organizzazioni democratiche curde per aprire un “corridoio” tra la Turchia e la Siria settentrionale, dove possa passare una Carovana con aiuti umanitari per la città-martire di Kobane, va senz’altro sostenuta politicamente e anche con raccolte di fondi e materiali.
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L'Onlus “Uiki” e la Rete Kurdistan Italia hanno lanciato un appello: la città di Kobane, nella Siria settentrionale, al confine con la Turchia, è rimasta semidistrutta da quattro mesi di combattimenti, strada per strada, durante i quali le miliziane e i miliziani curdi sono riusciti a respingere l’assalto dei fanatici e mercenari che fanno capo al cosiddetto Stato Islamico (ISIS o Daesh), che semina il terrore in Siria e in Iraq, e non solo.
Kobane va ricostruita e va assicurata una vita sostenibile agli abitanti che sono riaffluiti nella città dopo essere in gran parte fuggiti oltre confine, in Turchia.
Non ci si può nascondere, tuttavia, che il progetto rischia di scontrarsi con i disegni imperiali del governo Turco di Recep Tayyip Erdogan, che, nonostante i rovesci subiti, non sembra voler rinunciare alle sue mire sulle regioni settentrionali confinanti della Siria e dell’Iraq e a “regolare” una volta per tutte la questione dell'indipendenza curda con i vecchi metodi della repressione e della violenza.
La Carovana promossa dalla Rete Kurdistan Italia merita dunque tutta la nostra solidarietà e anche tutti i nostri auguri, per via dei grandi rischi che correranno coloro che vi parteciperanno – rischi di fuoco amico turco tanto quanto rischi di fuoco nemico jihadista. Ma questa è la storia stessa dei curdi, da sempre presi tra fuochi incrociati.
Segue una scheda storica per aiutare il lettore a capire la difficile situazione dei curdi e la loro aspirazione ad avere un proprio stato – o almeno una forte autonomia, con la possibilità di parlare la propria lingua e di gestire la propria economia e la propria cultura – aspirazione che risale ad almeno un secolo fa, quando l’impero Ottomano si disgregò dopo la sconfitta subita nella Prima Guerra Mondiale (1914-18).
Gli accordi del 1915 tra l’Inglese Sykes ed il Francese Picot per spartirsi le spoglie dell’ex Impero Ottomano, ed il successivo accordo di Losanna del 1923, non portarono alla costituzione di uno stato curdo, tutt'altro. I curdi furono spartiti tra il nuovo stato repubblicano Turco (dove vive oltre la metà della popolazione curda complessiva, che abita in tutta la parte orientale e sud-orientale del paese), ed in misura minore tra Iraq nord-orientale, Iran occidentale e Siria settentrionale dove risiede circa il 6% del totale. Piccole minoranze esistono in Armenia e altri paesi. Molti curdi sono emigrati in Germania e in altri paesi europei ed americani.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale vi sono stati importanti rivolte armate indipendentiste curde sia in Iran (duramente repressa dallo Scià), sia in Iraq, repressa dal governo di Saddam Hussein fino all’arrivo dell’esercito statunitense nel 2003, il quale ha permesso poi lo stabilirsi di una zona autonoma curda nel Nord, sotto la direzione di Mas'ud Barzani, leader del PDK-Partito Democratico curdo. Questa zona, nota anche come il “Kurdistan iracheno”, intrattiene buoni rapporti sia con la Turchia, sia con gli USA e con Israele, paesi ai quali esporta il suo petrolio, attraverso la Turchia.
Ma la rivolta più massiccia e drammatica è stata quella dei curdi della Turchia, guidata da un ex studente di Scienze politiche, nato nella zona di Urfa, non lontano dalla frontiera siriana, Abdullah Ocalan. Questi, dopo aver fondato nel 1978 il PKK-Partito dei lavoratori curdi, di tendenze comuniste marxiste-leniniste, iniziò nel 1984 una lotta armata di liberazione che è costata fino ad oggi circa 40.000 morti. Il PKK, partito laico molto attento anche al processo di liberazione della donna, fu osteggiato dalla parte più retriva della stessa comunità curda. Fu invece appoggiato apertamente dall’allora Presidente siriano Hafiz al-Assad (padre dell’odierno Presidente Bashar), che ospitò in Siria Ocalan e permise la costruzione di campi di addestramento di guerriglieri curdi nelle zone del Libano controllate dalla Siria.
Nel 1998, in seguito ad un ultimatum della Turchia alla Siria con minaccia di attacco militare, il governo siriano indusse Ocalan a lasciare il paese. Il seguito è ben noto in Italia. Ocalan, dopo un breve soggiorno in Russia, venne in Italia su invito del responsabile esteri del PRC Ramon Mantovani, e vi rimase 65 giorni senza poter ottenere per tempo il richiesto asilo politico. Su pressione della Turchia e degli USA, il governo D’Alema indusse Ocalan a partire. Egli fu poi catturato dai servizi Turchi a Nairobi, in Kenya, mentre tentava di raggiungere il Sudafrica, processato e condannato a morte. La condanna fu poi tramutata in ergastolo nel 2002.
Durante il periodo di stretto isolamento nella prigione di massima sicurezza sull’isola di Imrali, Ocalan ha maturato una notevole svolta nella sua politica: non più lotta armata e richiesta di indipendenza, ma richiesta di autonomia regionale per le diverse regioni curde (quella in Turchia, quella in Iraq, quella in Iran, quella in Siria), che sarebbero legate tra di loro idealmente da un “confederalismo democratico”, ispirato a forme di partecipazione democratica e anche a programmi ecologici. (Quest'ultimi però confliggono con il vasto programma turco di costruzione di grandi dighe sui fiumi storici Eufrate e Tigri, che nascono entrambi nelle zone curde della Turchia.)
In seguito a questo cambio di linea, il PKK ha proclamato una tregua unilaterale a partire dal 2005-2006.
Il “confederalismo democratico” è stato applicato, nei fatti, non tanto nell’Iraq del nord (il “Kurdistan iracheno”) sotto la direzione di Barzani, quanto nei tre cantoni in cui è divisa la zona curda nella Siria settentrionale, zona che i curdi chiamano Rojava. Infatti, dopo la ritirata dell’esercito siriano da gran parte della Siria settentrionale, per combattere nella guerra civile siriana iniziata nel 2011, le milizie e i funzionari locali curdi della Rojava – rappresentati soprattutto dal PYD-Unione democratica curda, stretto alleato del PKK – avevano colmato il vuoto amministrativo e creato una comunità basata sui principi enunciati da Ocalan.
Questa svolta non poteva certo piacere alla Turchia, che, dopo aver sostenuto apertamente e in ogni modo tutte le formazioni jihadiste che si battono in Siria contro il governo “Bahatista” di Bashar al-Assad, ha finanziato anche l'ascesa dello Stato Islamico nella sua lotta, sia contro il governo siriano, sia contro i curdi della Siria. I finanziamenti sono avvenuti, ad esempio, attraverso l’acquisto di petrolio e di reperti archeologici. In cambio, lunghe file di autocarri e di autotreni turchi portano regolarmente provviste dalla Turchia alle zone controllate dall'ISIS in Siria e nell'Iraq.
Durante la battaglia di Kobane lo scorso inverno, i Turchi hanno ostacolato in ogni maniera il passaggio di combattenti e di aiuti provenienti dal PKK ai “fratelli” curdi siriani, permettendo solo il passaggio di pochi combattenti legati a Barzani e al cosiddetto Esercito Libero Siriano, formazione sostenuta dagli USA e da altri paesi occidentali.
Oggi, per cercare di dimostrare al mondo che non sostiene affatto l'ISIS, il governo di Erdogan dichiara (finalmente) di volerlo combattere e fa alzare in volo i suoi cacciabombardieri. Ma il primo atto di questa presunta svolta è stato il pesante bombardamento delle basi che il PKK aveva stabilito nell’Iraq del Nord, dopo essersi ritirato dalla Turchia in seguito alla tregua. L'ISIS non è stato toccato, o solo simbolicamente. Il PKK ha reagito tendendo imboscate all’Esercito Turco all’interno della Turchia.
Il governo Turco avanza anche il progetto di occupare una zona lunga 90 Km e larga 30 all’interno della Siria, ufficialmente per creare una zona cuscinetto di protezione dall’ISIS. In realtà, basta consultare una carta geografica per rendersi conto dei veri scopi di questa zona, posta a ovest dell’Eufrate e ad est del cantone isolato curdo di Efrin. Il primo scopo è quello di impedire il ricongiungimento finale dei curdi della Siria, i quali, dopo aver liberato Kobane, hanno già ricollegato il cantone centrale di Kobane con tutta la zona nord-orientale curda del paese, infliggendo cocenti sconfitte all’ISIS. Il secondo scopo è quello di continuare ad appoggiare le formazioni jihadiste antigovernative in Siria, dato che Erdogan non ha rinunciato al sogno di rovesciare il governo di Bashar al-Assad.
E’ preoccupante che anche gli Stati Uniti abbiano approvato questo progetto e, anzi, si ripromettano di addestrare in Turchia altri guerriglieri che dovrebbero combattere, in teoria contro lo Stato Islamico, in pratica contro il governo Assad. In ogni caso, i guerriglieri saranno protetti dagli aerei statunitensi che, da questo mese, hanno l'autorizzazione turca a decollare dalla base di Incirlik, a soli 100 km dalla frontiera con la Siria.
In un momento in cui, grazie anche alla diplomazia russa, sembra che siano iniziati colloqui tra i primi finanziatori dei “ribelli” jihadisti (Arabia Saudita e Qatar) e il governo siriano, per por fine alla guerra, non lasciano presagire nulla di buono l’ostinazione e l’estremismo turchi e la preoccupante compartecipazione di Washington.
Chi desidera la pace non può che sperare che gli USA ci ripensino e che il governo Erdogan resti isolato nella sua ossessione anti-curda ed anti-siriana. E che arrivi a Kobane, senza incidenti, la Carovana della "Rete Kurdistan Italia", con i suoi sostegni umanitari per la popolazione curda della Rojava.
http://www.retekurdistan.it/2015/08/appello-internazionale-per-la-carovana-internazionale-per-lapertura-di-un-corridoio-umanitario-a-kobane-nuovo-appello/
Per chi vuole conoscere le altre iniziative in Italia a sostegno del popolo curdo:
http://www.retekurdistan.it/category/iniziative/
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