Le origini dell’identità di genere, ossia l’identità nucleare di genere si costituiscono nella prima infanzia, sono addirittura precedenti alla consapevolezza della differenza anatomica fra i sessi. E’ un qualcosa che riguarda uno stato soggettivo del sentirsi maschio o femmina che si costruisce a partire dal fatto che i genitori pensano di avere un neonato sessuato. E’ qualcosa che riguarda l’immagine di sé che si costruisce attraverso il rispecchiamento nelle relazioni di base con i genitori. Sussiste un nucleo dell’identità di genere che si fonda sostanzialmente nella prima infanzia e che intanto per i maschi e per le femmine comporta una differenza di base.
Il primo oggetto d’amore e d’identificazione per entrambi i sessi è la madre, significando che il bambino maschio ha come primo oggetto di identificazione “un’altra”, appunto di altro sesso da cui deve disidentificarsi e separarsi per rivolgersi altrove, ma che ritroverà in altri aspetti e sembianze nel futuro come nuovo oggetto d’amore. Mentre la bambina ha come primo “altro da sé” un altro uguale a sé e da cui non dovrà quindi disidentificarsi nelle stesse modalità maschili. Però la bambina dovrà fare uno spostamento per l’oggetto d’amore verso un altro di un altro sesso. Questa differenza di base determina discrepanze e diversità importanti per quello che riguarda la costruzione differenziata e sessuata dell’identità di genere.
La paternità nel processo di individualizzazione e di crescita.
Per l’adolescenza maschile, in quanto l’oggetto d’amore primario è la base, la problematica fondamentale è la separazione della disidentificazione, di doversi staccare da quello che rimane un nucleo d’attrazione primaria, in quanto comporta problematiche di dipendenza e passività. Risulta necessaria la figura paterna che sostenga il processo identificatorio. La presenza del padre è un elemento fondamentale per consentire la costruzione dell’identità di genere nell’adolescente maschio, in quanto “altro” valorizzato da sé e dalla madre.
Non è il padre di freudiana memoria con le sue valenze limitanti e castranti, ma è un padre che fornisce modelli, sistemi di valori, norme di comportamento, che accompagna la funzione di tutore della crescita, in una funzione maschile essenziale per la costruzione del sistema di valori che governano l’identità di genere maschile e di cui sentiamo una forte carenza nell’attuale sistema sociale, per esempio considerando il processo di femminilizzazione della scuola, come una delle istituzioni per cui forse i preadolescenti maschi si trovano più a disagio nel percorso di scolarizzazione, per cui la dimensione femminile preclude l’identificazione con la componente maschile.
Nel momento in cui viene meno il ruolo maschile adulto, come ruolo ostetrico rispetto al fare emergere i valori maschili, si presenta il rischio che questi ultimi agiti nell’ambito del gruppo dei pari assumano, proprio per effetto d’attrazione degli aspetti infantili come la passività e la dipendenza, forme di radicalizzazione e vengano estremizzati, nella difficoltà di integrazione dell’aggressività quale istanza virile. Quindi l’elemento virile propositivo, costruttivo, attivo, si trasforma purtroppo in violenza che deriva dalla mancata presenza di una funzione adulta come potenziale contenitore e integratore di un preciso sistema di valori.
L’adolescenza femminile rispetto al ruolo materno
Problematiche diverse si riscontrano nel percorso adolescenziale femminile. Al momento della scoperta anatomica e della differenziazione sociale tra maschile e femminile subentra una sorta di delusione narcisistica da parte della bambina per la propria identità che nasce da una ferita, secondo Freud l’invidia del pene, quale trauma complesso riguardante l’immagine di sé, del proprio valore in quanto donna, maturando un senso d’inferiorità viscerale. Si tratta comunque di una ferita che facilita lo spostamento della simbolizzazione verso il padre, verso il maschile, decentrando l’oggetto d’amore, ma che rende il percorso di costruzione dell’identità di genere un’istanza da ricostruire rispetto ad una delusione primaria, attraverso processi di identificazione e controidentificazione con individui dello stesso sesso.
Integrare le caratteristiche della costruzione dell’identità di genere così come viene proposta e suggerita dalla società contemporanea con quello che concerne lo specifico dei valori della femminilità e del materno, in aree che riguardano la realizzazione della femminilità e dell’area materna, della seduttività, in una società così complessa, risulta essere un’operazione molto complicata.
Riconoscere la soggettività della donna corrisponde a riconoscere anche la differenza: la pari dignità non viene stabilita sulla base di una omogeneizzazione dei due sessi, ma sulla identificazione della differenza come valore. Non si vuole fare l’elogio del pensiero della differenza sessuale, (che è comunque un momento alto della partecipazione femminile all’elaborazione culturale) ma sottolineare ancora una volta che la rilevazione della differenza sessuale come positività attribuisce diritto di cittadinanza culturale a tutte le altre differenze (etnica, razziale,culturale appunto, ma anche di età, di salute, di stato sociale eccetera). Ciò sembra importante soprattutto in un momento in cui le differenze etniche e culturali spaccano nazioni e interventi politici, anche da lungo tempo costruiti sull’unione di etnie diverse.
Dobbiamo innanzitutto riuscire ad utilizzare le forze positive che si liberano nell’inevitabile conflitto tra i “diversi”, per sesso, per età, per cultura, come stimoli a cambiare, a crescere, neutralizzando la parte negativa del conflitto che si esprime in prevaricazione, ricerca di possesso dell’altro, tentativo di omologazione dell’altrui diversità ad un modello costruito a nostra immagine e somiglianza o per nostro tornaconto.
Il conflitto sessuale non è a se stante, ma partecipa di una conflittualità che permea tutto il reale, perché è un atto creazionale.
Laura Tussi da da PeaceLink.it
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