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PeaceLink e Unimondo - Dal conflitto all'utopia dell'intendersi

Laura Tussi18 maggio 2016

Unimondo Editoriale - Dal conflitto all'utopia dell'intendersi

Conoscere l'altro può aiutare a comprendere se stessi? Forse, ragionare sul concetto del termine “conflitto” sulla base dei rapporti con gli altri, può aiutarci a dare una risposta a questa domanda.

Possiamo dire che il conflitto è un punto d'arrivo: è il confronto che fa scaturire l'intesa, il capirsi. Altro punto di riferimento riguarda l'approfondimento; definendo il conflitto come “incompatibilità irriducibile delle differenze", verificabile e verificata in ogni aspetto della vita privata e pubblica. Il conflitto è strettamente collegato con l'esistenza pratica. Non si può riflettere sul conflitto senza tenere presente che si tratta di una elaborazione, a partire dai fatti concreti. Tutta la realtà è conflittuale in quanto formata ed articolata in miriadi di diversità, in cui la differenza fondamentale della coppia umana originaria è il parametro, la metafora, la cifra di ogni differenza. Che le donne abbiano posto al centro della loro riflessione la conflittualità esistenziale dimostra che vogliono consi­derarsi pienamente inserite nella realtà di ogni ambito (sociopolitico, familiare, ecclesiale, mondiale, planetario) ed allargare la loro progettualità a reinventare criteri diversi di relazione e di giudizio della realtà stessa, a cambiare i processi deteriorati mediante i quali si codifi­cano le istituzioni ed i poteri. Il problema nasce quando si vuole “sanare”, “appianare” il conflitto, perché generalmente esso è inquadrato ed affrontato in termini gerarchici, di inferiorità e di superiorità, di divisione, di esclusione, di dualismo (i due poli della diversità) di aggressività; cose che nella pattualità della vita si traducono in dominio e sopraffazione, razzismo, prevaricazione, guerra, sfruttamento ed abuso dell’altro, del diverso, ma anche omologazione e insabbiamento delle differenze: violenze, sperpero, massacri.Abbiamo sotto gli occhi lo scenario degli orrori che vicini o lontani si consumano e si aizzano ogni giorno respingendo l’umanità a livelli di repressione e di imbarbarimento di cui le parti sociali deboli, in primis donne ebambini, subiscono lo scempio più atroce.

IL RISPETTO DELLE DIFFERENZE 

Il rispetto delle differenze, caricando la parola “rispetto” di tutta l’ampiezza e concretezza di significato: il termine “rispetto” non è una convenzione verbale o un manierismo o un pronunciamento generico, ma è l'effettivo riconoscere con atti concreti, visibili, che il tuo esistere, che il tuo essere donna (o uomo, vecchio, bambino, migrante, malato, escluso) è importante per me e per la società. Rispetto è il prendere sul serio, non solo lasciar parlare, ma ascoltare con attenzione chi ha voce in capitolo per l'esperienza che vive in chiave "donna" in cui vuol dire ad esempio: non attribuire alle donne per concessione ciò che spetta loro di diritto; non intervenire sulle donne senza interpellarle, soprattutto quando sono le dirette interessate; il discorso verte non sull'uguaglianza delle funzioni, ma sulla parità decisionale, sulla parità di trattamento e del riconoscimento effettivo del loro peso nellasocietà civile, a partire dall'essere riconosciute come soggetti capaci di responsabilità, di serietà, di autodeterminazione.

IL RECUPERO O LA FONDAZIONE DI UNA CULTURA DELL'UMANITA'

In questo mondo sempre più planetario e così arroccato nei propri particolarismi, non solo come difesa della specie e come recupero della civiltà, ma come riscoperta della comune matrice umana, occorre recuperare umanità. Il positivo della differenza si valuta anche attraverso il riconoscimento del suo lato oscuro. 

Soprattutto dell'utopia assumiamo e rilanciamo la spinta vitale, lo slancio costruttivo e gratuito, la carica creativa, la responsabilità della speranza, la serietà del lavoratore insieme senza arrenderci, il coraggio e la bellezza di non svendere la nostra identità di donne, il nostro proprio sapere la vita, la morte, il dolore, la fatica, il sorriso ed il pianto come volontà di non lasciare le cose come stanno a partire dalla presa di coscienza del nostro valore e della capacità di trasformare le piccole grandi cose di ogni giorno.

Laura Tussi

Docente, giornalista e scrittrice, si occupa di pedagogia nonviolenta e interculturale. Ha conseguito cinque lauree specialistiche in formazione degli adulti e consulenza pedagogica nell'ambito delle scienze della formazione e dell'educazione. Collabora con diverse riviste telematiche tra cui PresenzaPeacelinkIldialogo ed ha ricevuto il premio per l'impegno civile nel 70esimo Anniversario della Liberazione M.E.I. - Meeting Etichette Indipendenti, Associazione Arci Ponti di Memoria e Comune di Milano. Autrice dei libri: Sacro (EMI 2009), Memorie e Olocausto (Aracne 2009), Il dovere di ricordare (Aracne 2009), Il pensiero delle differenze(Aracne 2011), Educazione e pace (Mimesis 2012), Un racconto di vita partigiana - con Fabrizio Cracolici, presidente ANPI Nova Milanese (Mimesis 2012), Dare senso al tempo-Il Decalogo oggi. Un cammino di libertà (Paoline 2012), Il dialogo per la pace. Pedagogia della Resistenza contro ogni razzismo (Mimesis 2014), Giovanni Pesce. Per non dimenticare (Mimesis 2015) con i contributi di Vittorio Agnoletto, Daniele Biacchessi, Moni Ovadia, Tiziana Pesce, Ketty Carraffa. Collabora con diverse riviste di settore, tra cui: "Scuola e didattica", Editrice La Scuola e "Rivista Anarchica". Promotrice del progetto per non dimenticare delle Città di Nova Milanese e Bolzano www.lageredeportazione.org e del progetto Arci Ponti di memoria www.pontidimemoria.it. Qui il suo canale video.

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