L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Essa ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile un grande programma d’azione per un totale di 169 ‘target’ o traguardi. L’avvio ufficiale degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (qui la versione pdf e la presentazione in ppt) ha coinciso con l’inizio del 2016, guidando il mondo sulla strada da percorrere nell’arco dei prossimi 15 anni: i Paesi, infatti, si sono impegnati a raggiungerli entro il 2030 (leggi alcuni commenti al tema). Gli Obiettivi per lo Sviluppo danno seguito ai risultati degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals) che li hanno preceduti, e rappresentano obiettivi comuni su un insieme di questioni importanti per lo sviluppo: la lotta alla povertà, l’eliminazione della fame e il contrasto al cambiamento climatico, per citarne solo alcuni. ‘Obiettivi comuni’ significa che essi riguardano tutti i Paesi e tutti gli individui: nessuno ne è escluso, né deve essere lasciato indietro lungo il cammino necessario per portare il mondo sulla strada della sostenibilità. Questi articoli nascono in questo contesto educativo.
Un'adeguata politica interculturale deve porsi l'obiettivo di aprire la scuola ai migranti, tramite percorsi di accoglienza, perché l'istituzione formativa è intesa come luogo educativo di accettazione, interazione e dialogo interculturale. La scuola che apre ai migranti consegna valori di arricchimento tra culture a tutte le generazioni presenti e operative nel contesto formativo. L'umanità nelle diverse latitudini e longitudini spaziali e temporali è sempre stata nomade e itinerante.
Ogni popolazione ha concepito il viaggio di transumanza, erranza e il nomadismo, oltre che come esigenza prettamente esistenziale, come un'esperienza conoscitiva di arricchimento culturale per tutte le civiltà. In questa prospettiva l'istituzione scolastica è chiamata ad aprirsi allo straniero, al Rom, al nomade, per concepire il concetto dell'erranza come avventura esistenziale di valorizzazione reciproca, di ampliamento delle prospettive culturali ed interculturali, nei vari contesti formativi ed educativi, dove la differenza è sempre apportatrice di novità, di cambiamento, in una prospettiva positivamente rivoluzionaria, nell'ambito del contesto quotidiano dell'educazione. Il migrante apporta sempre un bagaglio di nozioni, lingue e di esperienze molto ricco e variegato, e nell'incontro con la comunità e la scuola di accoglienza, bambini e genitori di tutte le nazionalità si devono sentire reciprocamente coinvolti in processi di cambiamento, in percorsi dialogici caratterizzati da un'osmosi educativa tra diversi, dove l'altro, il più umile, il differente è sempre apportatore di arricchimento valoriale, in esperienze esistenziali remote e recenti, di traumi, sofferenze, cesure e discontinuità della propria storia di vita. Nel viaggio di migrazione, lo straniero ha conosciuto il disagio, la povertà di paesi lontani, di costumi, lingue e tradizioni originarie, che nel luogo di accoglienza, come la scuola possono costituire fattori di interesse reciproco tra allievi.
Purtroppo si assiste spesso ad episodi di intolleranza all'interno delle comunità, a tensioni, liti, conflitti, dove l'altro viene messo da parte, escluso, non accettato, perché anche la società stessa discrimina le differenze sotto varie forme ed aspetti, a livello macrosociale. Risulta difficile riflettere se stessi nell'altro, attivando meccanismi comportamentali pacifici e non violenti di comprensione ed empatia, dove prevale invece l'aggressività e la presunzione di appartenere al gruppo dominante e ritenuto migliore. La scuola, gli insegnanti, i genitori, devono porsi all'ascolto, all'accoglienza, con la responsabilità molto importante di incentivare alla convivenza pacifica e al dialogo interculturale, ponendosi in atteggiamenti di ascolto delle storie di vita intrise di traumi, frustrazioni, insuccessi che il viaggio di migrazione comporta con lo sradicamento da un altrove remoto di tradizioni, lingue e costumi differenti. Occorre estirpare il pregiudizio, sradicare lo stereotipo per prevenire la ghettizzazione, la discriminazione degli immigrati che tendono a isolarsi dal contesto educativo dei paesi d'accoglienza, cercando invece ambiti di interazione tra simili e affini, evitando il confronto e il dialogo con l'altro. Una scuola orientata ad un futuro di pace deve aprirsi al rispetto, all'interazione, all'inserimento, incentivando il racconto e la narrazione reciproca delle storie di vita, raccogliendo e annotando esperienze esistenziali, facendo riemergere difficoltà e frustrazioni, analizzando situazioni e circostanze.
L’insegnante è chiamato a trasformare gli atteggiamenti aggressivi e violenti in stimoli relazionali positivi, per far comprendere l'importanza di situazioni di confronto e interazione, in prospettive di dialogo pacifico e rispettoso dell'altro. L'inserimento dell'allievo migrante nella classe deve avvenire gradatamente, tramite un'interrelazione reciproca orientata a situazioni non violente e di accoglienza, in ambiti di discussione e dialogo, dove il conflitto non venga assolutamente concepito come negativo, ma si cominci proprio da esso per approdare a situazioni di interrelazione ed interscambio, perché i comportamenti microsociali riflettono sempre prospettive macrosociali. Dunque, una società votata al razzismo e alla discriminazione produce sempre elementi di discontinuità, di intolleranza nell'ambito sociale più circoscritto, come può essere la scuola, la comunità, la famiglia. Dalla scuola deve propagarsi il monito universale della pace e dell'antirazzismo, contro ogni intolleranza, ogni omofobia e discriminazione, nell'accoglienza reciproca di tutti e di ciascuno, nel rispetto dei problemi psicologici e comportamentali, nella valorizzazione delle diversità, dall'omosessualità alle differenze di genere e a tutte le prerogative interreligiose e le caratteristiche culturali, dove è necessario recuperare riconoscere una personale identità, per poi riparteciparla con la personalità altrui, per incontri vicendevoli che conducano alla comprensione, in un mondo che necessita di pace a livello sociale ed istituzionale, locale e globale.
Laura Tussi
Docente, giornalista e scrittrice, si occupa di pedagogia nonviolenta e interculturale. Ha conseguito cinque lauree specialistiche in formazione degli adulti e consulenza pedagogica nell'ambito delle scienze della formazione e dell'educazione. Collabora con diverse riviste telematiche tra cui Pressenza, Peacelink, Ildialogo, Unimondo, AgoraVox ed ha ricevuto il premio per l'impegno civile nel 70esimo Anniversario della Liberazione M.E.I. - Meeting Etichette Indipendenti, Associazione Arci Ponti di Memoria e Comune di Milano. Autrice dei libri: Sacro (EMI 2009), Memorie e Olocausto (Aracne 2009), Il dovere di ricordare (Aracne 2009), Il pensiero delle differenze(Aracne 2011), Educazione e pace (Mimesis 2012), Un racconto di vita partigiana - con Fabrizio Cracolici, presidente ANPI Nova Milanese (Mimesis 2012), Dare senso al tempo-Il Decalogo oggi. Un cammino di libertà (Paoline 2012), Il dialogo per la pace. Pedagogia della Resistenza contro ogni razzismo (Mimesis 2014), Giovanni Pesce. Per non dimenticare (Mimesis 2015) con i contributi di Vittorio Agnoletto, Daniele Biacchessi, Moni Ovadia, Tiziana Pesce, Ketty Carraffa. Collabora con diverse riviste di settore, tra cui: "Scuola e didattica" - Editrice La Scuola, "Mosaico di Pace", "GAIA" - Ecoistituto del Veneto Alex Langer, "Rivista Anarchica". Promotrice del progetto per non dimenticare delle Città di Nova Milanese e Bolzano www.lageredeportazione.org e del progetto Arci Ponti di memoria www.pontidimemoria.it. Qui il suo canale video.
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