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GIORNALISMO DI PACE

Mosaico di Pace - Un uomo, un testimone di pace e di ricerca: Nanni Salio

Recensione di Daniele Barbieri e Laura Tussi
Laura Tussi10 febbraio 2017

GIORNALISMO DI PACE

Mosaico di Pace - Un Progetto collettivo, un libro ma non solo. Un uomo, un testimone di pace e di ricerca: Nanni Salio

Recensione di Daniele Barbieri e Laura Tussi

MOSAICO DI PACE per NANNI SALIO

Ce la ritroviamo quasi ogni giorno fra le mani, ci buttiamo un'aria distratta, ma il 90 per cento di noi non sa chi era. Sulle monete da 2 euro c'è Bertha Von Suttner, premio Nobel per la Pace del 1905.  E infatti nel volume  «Giornalismo di pace» si legge: «le conquiste dell'eroina austriaca Berha Von Suttner, che dedicò la propria vita alla risoluzione nonviolenta dei conflitti e al disarmo, sono stati resi virtualmente inesistenti». I due euro girano molto, le idee di Bertha purtroppo no.

Il progetto collettivo «Giornalismo di pace» è un libro postumo di Giovanni - ma per tutte/i era Nanni - Salio che fra l’altro fu presidente del Centro Studi Sereno Regis di Torino, fondato nel 1982. Esponente del Movimento Nonviolento e autore di numerosi scritti e saggi, Salio rappresenta una pietra miliare dell’antimilitarismo italiano e degli approcci nonviolenti, teorici ma anche  pratici, nella gestione dei conflitti. Ha collaborato a lungo con Johan Galtung, il quale occupa molte, preziose pagine di questo libro, e con la Rete Transcend International.

Il libro - impostato da Salio con Silvia De Michelis - presenta i contributi di Stuart Allan, Birgit Brock-Utne, Johan Galtung, Jake Lynch, Dov Shinar, Elissa Tivona, per analizzare i contesti di guerra, le situazioni di violenza, cercando una prospettiva di pace, in un’ottica di trasformazione nonviolenta dei conflitti. Come scrive Salio, riprendendo Galtung: «Punto 1: non temere il dialogo (..) Punto 2: non temere mai il conflitto, è un'opportunità piuttosto che un pericolo». E qui già alzeranno un sopracciglio i molti che confondono conflitti e guerre: i primi è giusto che siano evidenziati anziché celati, ma si possono risolvere con la nonviolenza, mentre le seconde sono cosa ben diversa e quando esplodono richiedono una de-escalation per tornare verso la pace. «Nel linguaggio abitualmente usato dai media, il conflitto è considerato sinonimo di guerra e questa ambiguità semantica contribuisce a creare confusione, frustrazione e senso di impotenza». La guerra non è sinonimo di conflitto, ma l’esito più drammatico di una conflittualità irrisolta.

Le guerre dominano la scena dell’informazione per interesse, per scelta politica, per superficialità. I media vengono usati dalle nazioni, dalle élites, ma anche dalle multinazionali come “armi di disinformazione di massa”. A questa prassi si può cercare di opporre il modello attivo del «giornalismo di pace», elaborato soprattutto da Johan Galtung, che legge e descrive in profondità i conflitti, indagandone ragioni e dinamiche primarie, ricercando gli obiettivi reali delle parti in causa, le loro contraddizioni e le vie possibili per superarle, evitando le semplificazioni di chi racconta guerre e violenze come fenomeni normali e inevitabili. Non si tratta dunque di minimizzare e nascondere gli aspetti più drammatici ma di contribuire, fornendo una ricca documentazione teorica e interessanti casi di studio a mettersi in cammino verso una trasformazione nonviolenta dei conflitti.

Nel libro troviamo una panoramica internazionale delle azioni giornalistiche nei vari scenari di guerra; si identificano poi le modalità del «Giornalismo di pace»; si espongono i racconti femminili in un’ottica di «globalizzazione della compassione» (ma qui si pone un piccolo problema di traduzione: forse le parole empatia e compassione in italiano non sono sinonimi) sempre cercando i contesti e le realtà che “potenziano” situazioni creative e di armonia tra le parti.

Il ruolo della «pace positiva» - che non è semplice tregua fra una guerra e l'altra, ma progetto, istruzioni, bussola - è aumentare il ben/essere degli umani e dell’ambiente naturale, dell’ecosistema, andando oltre la semplice, egoistica soddisfazione dei bisogni. Il punto di vista di un ricercatore e di un giornalista per la pace consta appunto nel rafforzare la realtà positiva e indebolire le fonti di violenza. La pace si crea attraverso l’equità nella cooperazione, l’armonia tramite l’empatia per comprendere gli obiettivi legittimi delle parti; la conciliazione può superare i traumi e ridurre la rivincita e la vendetta; la soluzione dei conflitti riduce la volontà di aggressione. Come ricorda Nanni Salio «la commissione “Verità e riconciliazione” promossa in Sudafrica da Tutu e Mandela è un formidabile esempio positivo che dovrà essere seguito e perfezionato in tutti quei casi (…) in cui la violenza ha provocato odii laceranti, sete di vendetta, incapacità di convivere».

Ma il mondo intero, nella congiuntura attuale, è ostaggio della politica estera aggressiva degli Stati Uniti. Il paragrafo intitolato «L'impero colpisce ancora» - scritto da Galtung nel 2011 – è impressionante per lucidità e “profezia”. Nella parte finale del libro spiccano alcuni brevi scritti di Galtung, in particolare «11 settembre: 10 tesi su 10 anni persi», scritto il 12 settembre 2011; «Iraq:10 anni di stupidità; e «Cinque tesi su Assange, Manning e Snowden». Bisogna essere pessottimisti - rubiamo la definizione a Emil Habibi - cioè tener conto della dura realtà mentre si continua a lavorare per migliorarla. Così alla domanda se oggi «il giornalismo di pace funziona?» Galtung risponde «in breve: no». Però non si ferma qui: ragiona su cosa occorre fare, guardando indietro... e avanti.

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