Nel mondo di Trump dove comanda il denaro, l'Arabia Saudita commette crimini e rimane impunita
Le restrizioni di viaggio per sette paesi a maggioranza musulmana sono state giustificate come mezzo necessario per impedire l'entrata negli Stati Uniti a potenziali terroristi; Trump, infatti, ha motivato il suo ordine esecutivo citando la tragedia dell'11 settembre 2001 e la sparatoria di San Bernardino. Tuttavia, bisogna riconoscere che nessun cittadino proveniente dai sette paesi messi al bando si è mai reso responsabile di una uccisione sul suolo degli Stati Uniti. Invece, risalta in maniera macroscopica l’ omissione dalla lista dell’Arabia Saudita, paese di provenienza di quindici dei diciannove dirottatori dell'11 settembre.
Tutelare ciecamente l'Arabia Saudita in questo modo non è una novità; è stata la politica degli Stati Uniti fin dagli anni '30, con la scoperta del petrolio nella nazione del deserto. Nonostante la rivelazione scottante che il governo saudita sia un sostenitore dell'ISIS e degli affiliati di Al Qaeda, il presidente Obama ha mantenuto il suo intimo rapporto con i sauditi, vendendo loro enormi quantitativi di armamenti [finiti dove, poi? --n.d.t].
Anche se i rapporti tra i due paesi hanno cominciato a sfilacciarsi quando Obama ha firmato l'accordo nucleare con l'Iran, il rivale più temuto dell'Arabia Saudita, oggi si ha l'impressione che Donald Trump intenda sostenere – con ancora maggiore convinzione – il regime saudita, per quanto egli l'abbia severamente criticato durante la sua campagna elettorale.
Trump, infatti, è chiaramente ben consapevole dei collegamenti dei sauditi con il terrorismo e quindi di quanto sia incongruo mantenere relazioni amichevoli nei loro confronti. Nel 2011 egli denunciò il regime saudita come il più grande finanziatore del mondo del terrorismo, affermando che il governo saudita usa "i nostri petroldollari, il nostro stesso denaro, per finanziare i terroristi che cercano di distruggere il nostro popolo, mentre i sauditi contano su di noi per proteggere il loro paese." In un'intervista di Fox News nel 2016, durante la campagna elettorale, Trump disse: "Chi ha fatto saltare in aria il World Trade Center? Non sono stati gli iracheni, è stata l'Arabia [Saudita]. " Ha anche criticato più volte Hillary Clinton per aver accettato denaro saudita per la Fondazione Clinton e l'ha sfidata a restituire il denaro.
Malgrado tutto ciò, l'omissione dell'Arabia Saudita dalla lista dei paesi musulmani messi al bando da Trump, non risulta poi così irrazionale, se seguiamo i puntini di collegamento che vanno dal tesoro del re saudita Salmān al conto in banca del neo-presidente Trump. Mentre Trump era in campagna elettorale, i suoi legami d'affari in Arabia Saudita sono fioriti: egli ha aperto otto diverse imprese con il regno. Subito dopo l'elezione, egli ha fatto un gesto parziale per eliminare questi conflitti di interesse chiudendo quattro delle imprese, ma non si conosce il destino delle altre partecipazioni.
I collegamenti finanziari si estendono, peraltro, in entrambe le direzioni. I sauditi investono negli alberghi di Trump: ad esempio, hanno acquistato un intero piano del Trump Hotel di New York, facendo confluire almeno 5.7 milioni di dollari nel conto del tycoon. In un comizio elettorale in Alabama, Trump ha dichiarato il proprio affetto per la famiglia reale saudita e il suo denaro. "Stanno comprando appartamenti e proprietà da me. Spendono 40-50 milioni di dollari. Dovrei odiarli? Li amo veramente tanto."
Trump non è l'unico personaggio della nuova amministrazione statunitense con profondi legami sauditi. Il Segretario di Stato Rex Tillerson era strettamente legato all'Arabia Saudita durante il suo periodo come amministratore delegato della Exxon. La Exxon si vanta di essere "uno dei più grandi investitori stranieri nel Regno e anche uno dei più grandi acquirenti del settore privato del greggio della Saudi Aramco." Negli USA, poi, la Exxon e le aziende statali saudite collaborano alla costruzione di un impianto di raffinazione del gas naturale sul Golfo del Messico per la produzione di materie plastiche.
Messo sotto torchio dal Senatore Marco Rubio durante le audizioni per la sua conferma, Tillerson ha cercato di dribblare la domanda se si debba sostenere o no che l'Arabia Saudita viola i diritti umani, dicendo che una tale etichetta sarebbe poco diplomatica e potenzialmente controproducente.
Con la nomina di Rex Tillerson alla guida del Dipartimento di Stato, il ministro saudita dell'Energia Khalid Al-Falih ha dichiarato di aver avuto la conferma che le politiche di Trump sarebbero "un bene per l'industria petrolifera". I sauditi hanno già investito miliardi di dollari negli impianti di raffinazione e di distribuzione degli Stati Uniti, e il ministro dell'energia ha spiegato che i sauditi "potrebbero incrementare questi investimenti in previsione delle politiche dell'amministrazione Trump favorevoli alle imprese e all'industria del petrolio e del gas".
Inoltre, il regime di Riad è molto soddisfatto dell’atteggiamento ostile dell'amministrazione Trump nei confronti del suo avversario di lunga data, l'Iran. Ed è rincuorato dalle critiche costanti di Trump riguardo al trattato nucleare, fatte durante la campagna elettorale, e dalla nomina, nella nuova amministrazione statunitense, di diversi generali anti-Iran. Infatti, l'ex generale Michael Flynn, nominato Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Trump [ma ora dimessosi – n.d.t.], ha messo l'Iran "in guardia" dopo il suo recente test missilistico. Musica per le orecchie del re Salmān.
L'atteggiamento anti-Iran di Trump si tradurrà senza dubbio nella prosecuzione della vendita di armi statunitensi ai sauditi e nella continuazione del sostegno USA per la guerra saudita nello Yemen – dove, da due anni, i sauditi bombardano la popolazione per sradicare il movimento degli Huthi, legati all'Iran. Infatti, la prima vendita di armi della presidenza Trump è stata la consegna all'Arabia Saudita, per un valore di 545 milioni di dollari, di un sistema aereo per pattugliare i confini dello Yemen. Anche se questa vendita è insignificante se paragonata alle vendite record di armi ai sauditi sotto l'amministrazione Obama (100 miliardi di dollari), l'approvazione della vendita nelle prime due settimane della presidenza Trump, fa capire che egli intende proseguire sia con il business degli armamenti, sia con il sostegno militare, nonostante le conseguenze catastrofiche per il popolo yemenita.
Le prime due settimane dell'amministrazione Trump hanno anche prodotto un fallito raid americano nello Yemen contro Al Qaeda (che è, ironia della sorte, un nemico degli Huthi). Il raid ha provocato la morte di un Navy Seal americano e di 30 yemeniti innocenti, tra cui un neonato e Nora al-Awlaki, di 8 anni, figlia del cittadino statunitense Anwar al-Awlaki, ucciso da un drone USA nel 2011. Secondo il nonno, Nora è stato colpita con un proiettile nel collo ed è morta lentamente dissanguata [senza un tentativo di soccorso da parte dei Seal presenti – n.d.t.].
Nel mondo di Trump dove il denaro parla, ai poveri yemeniti viene proibito di entrare negli Stati Uniti (e vengono ammazzati a casa loro); ai poveri siriani in fuga dalle violenze viene appiccicata l'etichetta di terroristi; mentre ai principi sauditi, che torturano e decapitano i dissidenti del loro paese per mantenere la loro presa ferrea sul potere, viene concesso l'ingresso negli USA senza ostacoli e il permesso di soggiornare nei loro lussuosi appartamenti nelle Trump Towers a Manhattan.
Medea Benjamin ha scritto un'analisi dei rapporti tra Stati Uniti e l'Arabia Saudita, "Kingdom of the Unjust: Behind the US-Saudi Connection", recensita molto favorevolmente su GoodReads: http://www.goodreads.com/book/show/30045275-kingdom-of-the-unjust
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