PeaceLink e Unimondo - Cinema e Resistenza: un nuovo sguardo, un nuovo linguaggio
La Resistenza porta nella Storia il popolo, lo rende protagonista, lo eleva a costruttore di piccoli eventi che come i tasselli di un grande mosaico contribuiscono alla costruzione del quadro storico d'insieme. Finalmente, con la lotta di Liberazione, la Storia non si fa più, come durante il regime, nei ministeri, ma sulle piazze, nelle strade, nelle campagne, dove la gente vive e soffre giorno dopo giorno. Alla vita ufficiale del paese, condotta secondo rigidi dettami imposti dall'alto, si sostituisce un modo di vivere spontaneo in cui vita e morte, riso e tragedia si fondono in un tutt'uno inestricabile. La lingua stessa muta; non più quella pomposa, "romana" e dannunziana dei discorsi mussoliniani, ma quella frammentata e istintiva dei dialetti.
Il Neorealismo scopre tutto questo e lo fa suo. Scopre la dimensione quotidiana del vivere e lo spazio pubblico in cui si svolgono drammi che tutti possono riconoscere, scopre che non esiste più uno sguardo privilegiato che impone una lettura precostituita e coercitiva della realtà, scopre l'esistenza di personaggi che si muovono con naturalezza in questo spazio scenico, tanto da giungere a far corpo con le cose che li circondano. E mentre la definizione spaziale assume una valenza morale, sociale e ideologica, la scelta di concentrarsi su un personaggio e una storia qualsiasi si risolve in un atto d'amore che permette la conoscenza di un mondo. Il personaggio si fa allora veicolo di apprendimento, riversatore nella grana dell'immagine di tutto un insieme di impressioni e di scoperte cui il regista si premura di dar forma. A questo proposito e' forse utile riportare una dichiarazione di Rossellini relativamente al suo modo di procedere nella creazione dello spazio scenico "D’abitudine, - scriveva il regista romano- nel cinema tradizionale si "taglia" una scena in questo modo: piano totale, si precisa l'ambiente, si scopre un individuo, ci si avvicina ad esso, piano medio, piano americano, primo piano, e si comincia a raccontare la sua storia. Io procedo nella maniera esattamente opposta: un uomo si sposta e grazie al suo spostamento si scopre l'ambiente in cui si trova. Comincio sempre con un primo piano, poi il movimento di macchina che accompagna l'attore copre l’ambiente". Un’estetica del “pedinamento del vicino di casa” introduce così lo svelamento di un universo di gesti e di storie minute.
Tutti, durante la guerra, avevano, infatti, sperimentato il mercato nero, le sevizie dei tedeschi, la fame, le privazioni e tutti potevano dunque riconoscersi in quelle storie che erano ancora cronaca, ma che nessuno, proprio perché ancora cronaca, si premurava di narrare. Ciò che era sotto gli occhi di tutti trova invece col Neorealismo una dignità prima improponibile. Cosi, quando la Storia è ancora cronaca il Neorealismo ha il coraggio di prendere la cronaca e di elevarla a Storia. Esso ricompone i frammenti di una realtà ridotta in macerie e cosi facendo restituisce dignità a persone e avvenimenti che questa dignità non sapevano più di avere. Ogni scheggia di realtà che è portata davanti alla macchina da presa ritrova la sua capacita di produzione simbolica e metaforica e riacquistando immediata rappresentatività della realtà complessiva si ricontestualizza in un quadro d'insieme a tutti comprensibile. In questo senso il Neorealismo è arte nazional-popolare in quanto assume a protagonista della sua narrazione il popolo, con tutte le sue varie componenti individuali, mettendone in risalto i drammi, le sofferenze, le gioie. Sullo sfondo di una storia sociale complessa e fatta di grandi avvenimenti che poi i libri di storia si faranno carico di descrivere, il Neorealismo trasforma i singoli in individui attraverso un inusuale processo di autocoscienza rappresentativa. Volendo a questo punto riassumere i dati peculiari che identificano l'esperienza neorealista possiamo individuare i seguenti elementi:
a) scelta di tematiche "basse" e popolari facilmente comprensibili a tutti;
b) immediatezza, naturalezza e spontaneità nella messa in scena e nella recitazione;
c) riappropriazione dell'esperienza del "vedere" rispetto a tutto ciò che il fascismo aveva cercato di nascondere;
d) tentativo di rendere il più possibile diretta la comunicazione tra opera e spettatore;
e) riaffermazione del potere della realtà rispetto alla forza rappresentativa dell'immagine;
1) mancanza di un messaggio facile e già preconfezionato;
g) inclusione nella scena cinematografica di soggetti, personaggi, ambienti che fino a quel momento ne erano stati invece esclusi.
Data la non omogeneità, culturale, ideologica e politica, dei registi che si sono appropriati dello sguardo neorealista, risulta chiaro che tutte le componenti fin qui delineate presentano in ciascun autore caratteristiche originali. La provenienza dei vari autori e a ben vedere la più disparata: Rossellini aveva girato film di propaganda nel periodo anteriore al 1943 (La nave bianca (1941); Un pilota ritorna (1942); De Sica, con al suo fianco l'inseparabile Zavattini, aveva alle spalle una notevole esperienza attoriale e alcune regie; De Santis era un critico militante della rivista "Cinema" poi passato alla regia; Visconti, infine, possedeva una vasta conoscenza letteraria, teatrale e delle arti figurative. E questo solo per attenerci ai nomi più noti. Tuttavia, nonostante le peculiarità proprie di ognuno, è possibile individuare, almeno in una prima fase dell'esperienza neorealista, una certa unitarietà di fondo sia a livello linguistico, sia a livello tematico. Distinguiamo, in effetti, una prima fase che va dal 1945 al 1948, migliore e come già detto più unitaria, in cui si assiste a una più intensa collaborazione tra artisti, registi e politici, da una seconda fase che va dal 1949 al 1956 in cui il quadro si irrigidisce e i rapporti di collaborazione e di osmosi tendono a tramutarsi in direzione dei poli culturali sui registi.
A questo mutamento non è estraneo il cambiamento dell'assetto politico che vede l'affermarsi come partito di governo della Democrazia Cristiana col conseguente definitivo ingresso dell'Italia nell'orbita del blocco occidentale. A partire dal 1948, che è un po' l'anno cardine con quella pellicola fondamentale che è La terra trema di Visconti, a quasi più nessuno sarà concesso di realizzare liberamente e con coerenza i soggetti desiderati. Privo di un alveo ideologico definito in cui scorrere, il Neorealismo da questa data finisce per risentire in maniera oppressiva delle accuse che gli vengono mosse tanto da destra, quanto da sinistra. Parte della sinistra, che si riconosce nell'estetica del realismo socialista, rinfaccia al Neorealismo di limitarsi alla denuncia senza avere il coraggio di passare alla fase critica, mentre parte del mondo cattolico gli rimprovera l'ardire di gettare uno sguardo disincantato e indiscreto sulle piaghe della nazione. Ai denigratori, che pescano un po' qua e un po' là nei due schieramenti, si oppongono le forze più progressiste e liberali che riconoscono al Neorealismo il merito di aver introdotto nella narrativa cinematografica una vena autenticamente popolare in grado di dar voce agli interessi dell'opinione pubblica e ai problemi di giustizia sociale. Sotto il prevalere delle varie spinte critiche, se non addirittura dirigistiche, e a seguito anche dei mutati equilibri politici e culturali, questa grande stagione di anarchia e di emancipazione espressiva che va sotto il nome di Neorealismo imbocca lentamente, ma inesorabilmente, la strada dell'omologazione ai canoni culturali del nuovo sistema che si è venuto a creare e si instrada lungo nuovi e divergenti sentieri di ricerca.
Laura Tussi
Docente, giornalista e scrittrice, si occupa di pedagogia nonviolenta e interculturale. Ha conseguito cinque lauree specialistiche in formazione degli adulti e consulenza pedagogica nell'ambito delle scienze della formazione e dell'educazione. Collabora con diverse riviste telematiche tra cui Pressenza, Peacelink, Ildialogo, Unimondo, AgoraVox ed ha ricevuto il premio per l'impegno civile nel 70esimo Anniversario della Liberazione M.E.I. - Meeting Etichette Indipendenti, Associazione Arci Ponti di Memoria e Comune di Milano. Autrice dei libri: Sacro (EMI 2009), Memorie e Olocausto (Aracne 2009), Il dovere di ricordare (Aracne 2009), Il pensiero delle differenze(Aracne 2011), Educazione e pace (Mimesis 2012), Un racconto di vita partigiana - con Fabrizio Cracolici, presidente ANPI Nova Milanese (Mimesis 2012), Dare senso al tempo-Il Decalogo oggi. Un cammino di libertà (Paoline 2012), Il dialogo per la pace. Pedagogia della Resistenza contro ogni razzismo (Mimesis 2014), Giovanni Pesce. Per non dimenticare (Mimesis 2015) con i contributi di Vittorio Agnoletto, Daniele Biacchessi, Moni Ovadia, Tiziana Pesce, Ketty Carraffa. Collabora con diverse riviste di settore, tra cui: "Scuola e didattica" - Editrice La Scuola, "Mosaico di Pace", "GAIA" - Ecoistituto del Veneto Alex Langer, "Rivista Anarchica". Promotrice del progetto per non dimenticare delle Città di Nova Milanese e Bolzano www.lageredeportazione.org e del progetto Arci Ponti di memoria www.pontidimemoria.it. Qui il suo canale video.
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