Il 17 in piazza per l'Africa
L'Africa è il paradigma delle disuguaglianze del mondo. Ed è lo specchio di alcune delle pagine meno esaltanti della storia politica mondiale. I mali dell'Africa - povertà, emarginazione, guerre - sono il risultato di responsabilità storiche dell'Occidente e di un cinismo “ordinario” che continua a guidare le scelte dei governi e dei grandi organismi che regolano l'economia e la crescita del mondo.
All'interno della società civile si moltiplicano, invece, i segni di autentico interesse e di solidarietà per l'Africa, per quelle popolazioni. Anche grazie all'impegno e alla testimonianza di moltissimi volontari, cattolici e laici, che all'Africa dedicano attenzione, energie, volontà, braccia, gambe, passione, tenacia, intelligenza. Come padre Prosperino, il missionario scomparso recentemente, che ha creato a Maputo una rete di oltre duecento cooperative, una scuola, dei centri sanitari e che con la sua opera e la sua saggezza ha ispirato alcuni dei progetti che la nostra Amministrazione sta realizzando in Mozambico: pozzi d'acqua potabile e una scuola elementare, chiamata “Roma”, che sarà realizzata grazie alla solidarietà concreta dei ragazzi di quattro licei romani, grazie ai fondi che stanno raccogliendo con concerti, partite di calcio, iniziative di vario tipo.
Cresce la consapevolezza che serve il coraggio di cambiare strada, di imprimere una svolta, morale e politica insieme, nei rapporti tra nord e sud del mondo. A essere globalizzati non possono essere solo i mercati e i sistemi economici. Serve una globalizzazione dei diritti, delle opportunità di sviluppo e dei livelli di vita. Non si tratta di una questione morale, della difesa di valori astratti, di un ideale di giustizia sociale. Ci sono considerazioni estremamente “realiste” da fare. C'è da capire che le minacce all'ambiente dell'Africa sono minacce anche al nostro ambiente. Che la fame e le emergenze sanitarie, i conflitti che seminano morte e moltiplicano la povertà, non sono pericoli circoscritti, che restano laggiù, separati, lontani da noi.
Attraversano i confini, spingono tanti alla ricerca di un altro luogo in cui provare a vivere una vita più sicura. Chiunque di noi farebbe lo stesso, se pensasse che al di là del mare c'è una speranza di vita migliore per i propri figli. Non è più accettabile che 200 chilometri di mare continuino a tracciare il confine tra il Nord e il Sud del mondo, separando chi mangia da chi ha fame, chi sa leggere e scrivere da chi è analfabeta, chi può accedere a cure mediche e chi invece non ha diritto.
Da tutte queste ragioni è nata l'idea di Italiafrica, la manifestazione nazionale del 17 aprile, voluta dal Comune di Roma insieme a CGIL, CISL, UIL, alla FAO, l'IFAD, al World Food Programme, l'UNICEF, la Comunità di Sant'Egidio, le ONG italiane, il Forum del Terzo settore, il Comitato cittadino per la Cooperazione e la Solidarietà, il WWF Italia, gli Istituti Missionari Italiani: per chiedere ai governi nazionali, agli organismi che regolano le economie mondiali, alle Nazioni Unite, di mettere al primo posto delle politiche estere dell'Occidente la stabilità politica e lo sviluppo dei paesi africani, e di sostenerne crescita e democrazia con iniziative concrete e immediate. Non si può continuare a destinare ai paesi in via di sviluppo lo 0,2% del Pil mondiale. Noi ci auguriamo che questo appuntamento rappresenti un grande evento per la società civile, la prima volta che la capitale di uno stato occidentale si ferma per riportare l'attenzione del mondo politico, economico e dell'opinione pubblica su un continente dimenticato e invece immensamente ricco di cultura, di bellezza, di risorse naturali e di umanità.
Roma non può e non vuole lasciare sola l'Africa davanti alla sconcertante vastità di una tragedia umana che si replica ogni giorno, davanti allo sfruttamento senza scrupoli del suo sistema ambientale, davanti al collasso dei diritti umani che stanno per seppellire la dignità degli africani e la loro stessa possibilità di sopravvivenza nelle loro terre. In Africa muoiono ogni giorno 30 mila bambini, come se ogni giorno una delle nostre città si spegnesse e rimanesse deserta. Muoiono di Aids, perché non c'è cibo e acqua sufficiente, per malattie che altrove sono facilmente curabili, causate a loro volta dalla mancanza di acqua o dalla sua cattiva qualità. L'aspettativa di vita è scesa sotto i 40 anni, contro gli oltre 80 dei paesi occidentali. Ogni anno 50 milioni di bambini non vengono registrati alla nascita. Se solo dalle nostre parti succedesse un decimo di quello che succede là, se ne parlerebbe tutti i giorni e tutti, governi in testa, saremmo pronti a mobilitarci con ogni mezzo per superare un'emergenza che riterremmo crudele e intollerabile. Ma siccome queste persone sono lontane, il cuore dell'Occidente batte più lentamente. E' a causa di questa indifferenza che in Africa morte, miseria e mancanza di diritti sembrano una condanna inevitabile per chi ha l'unica colpa di essere nato nella parte sbagliata del mondo.
Invece il destino dell'Africa non è immutabile, e molto dipende da ciò che ciascuno di noi decide di fare. Serve una vasta alleanza tra persone, istituzioni, associazioni, governi per costruire un percorso fatto di obiettivi concreti che porti al riscatto dell'Africa. Noi abbiamo individuato alcuni passaggi: cancellare il debito per i paesi più poveri, ridurre drasticamente e destinare a fondi di sviluppo le somme restituite, aumentare gli aiuti allo sviluppo, embargo totale della vendita delle armi, farmaci e vaccini gratuiti. Sono obiettivi chiari, semplici, che abbiamo messo al centro dell'appello che chiede alla comunità internazionale e in particolare all'Europa di cambiare rotta, e mettere in atto politiche diverse da quelle che finora hanno causato tanti disastri in Africa. L'appello, pubblicato sul sito ufficiale della manifestazione (www.italiafrica.org) ha già raccolto moltissime adesioni di intellettuali, di sportivi, di attori, di uomini di fede, di premi Nobel.
A Roma i valori della pace, della solidarietà, dei diritti umani sono di casa, fanno parte della nostra storia, della nostra tradizione, del nostro modo di parlare, del nostro orgoglio. Roma proprio in questi giorni ha accolto in Consiglio comunale, prima città italiana a farlo, quattro rappresentanti delle comunità straniere che vivono in città: è un primo, importante passo avanti di civiltà e di solidarietà che Roma ha compiuto per dare a persone che vivono e lavorano accanto a noi il giusto riconoscimento del diritto di partecipare alla vita istituzionale di una città che è anche la loro. Roma è una città che non si chiude, che accoglie e “vuole bene”. Che sa offrire solidarietà concreta a chi ne ha più bisogno. E che sa allargare i propri orizzonti A chi abita alla porta accanto e a chi cerca di sopravvivere nella lontana Africa. Senza contare che l'Africa, ormai sempre più spesso, abita alla porta accanto.
Walter Veltroni
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