In questo 25 aprile vorrei rievocare la figura di Aldo Capitini, come testimone della storia, che ha posto le basi della Nonviolenza come “punto della tensione più profonda tesa al sovvertimento di una società inadeguata”. Infatti la Nonviolenza a livello planetario è la via d'uscita da posizioni insufficienti, per lanciare ponti di relazioni, reti di dialogo, legami di pace che sviluppino strategie di liberazione, per ricomporre l'infranto, come prova suprema di amore, per riprogettare il futuro e aprire varchi di speranza in società migliori fondate sulla libertà, la giustizia, l'uguaglianza e il rispetto dei diritti di tutti gli esseri umani.
Potrebbe apparire una riflessione azzardata tentare di ricomporre la storia della nascita dello Stato italiano alla luce del concetto della pratica della Nonviolenza, in un contesto storico in cui l'efferatezza degli eserciti europei assunse dimensioni devastanti. All'interno di questo contesto esteso di violenze e di guerra, con fatti sanguinosi ed efferati, si distinguono, invece, episodi e personaggi che determinarono, proprio in quello specifico contesto, una nuova modalità di pensiero, un innovativo atteggiamento critico, nel concepire la collettività, la popolazione e i rapporti tra cittadini, come fecero i primi disertori, i renitenti e gli obiettori alla leva obbligatoria.
Dal travaglio rivoluzionario risorgimentale, purtroppo, non si sviluppò l'idea cosmopolitica di una società planetaria e internazionale, ma si impose la condizione di un'umanità ordinata in Stati Nazione, sovrani e indipendenti, dalla cui singola volontà di potere si produssero una serie interminabile di conflitti armati, tra cui due guerre mondiali e un mondo sull'orlo del suicidio atomico e della catastrofe ambientale.
Fin dal ‘700, eruditi ed intellettuali della penisola avevano manifestato di condividere il pensiero del sogno cosmopolitico di una Repubblica universale, come Mazzini, che auspicava un'umanità futura, in cui le divisioni nazionali sarebbero state cancellate, ma con l'epopea risorgimentale l’ideale cosmopolitico svanisce e subentra il nazionalismo più aggressivo ed esasperato.
La nazione è il prodotto di una coazione ideologica del potere, perché gli Stati moderni hanno creato il sentimento soggettivo della personalità e del legame nazionale, ma in modalità artificiali e coatte, imposte dal potere politico.
La pace, la tolleranza, la spiritualità sono dunque messaggi di speranza in un progresso sociale, volto alla costruzione di società libere fondate sulla Nonviolenza e sul non interventismo, per far evolvere l'umanità in un futuro caratterizzato dall'alto sentire di unità universale cosmopolita, oltre il culto eroico del potere nazionalistico, per andare oltre la retorica patriottica, che svuota il Risorgimento, come anche la Resistenza, delle effettive valenze storiche e sociali, per cui un intero popolo ha combattuto contro il sopruso, contro la dominazione e l’imposizione: ma tutto questo portato di ideali alti e nobili è stato fermato e limitato. Ancora una volta il potere ha frenato lo slancio libertario delle moltitudini, ma è utile, doveroso e importante ricordare il momento in cui un popolo si emancipa dall'imposizione, dalla personificazione autoritaria del potere e dall'assolutismo di politicanti di mestiere e riesce a conquistare un barlume di vera e autentica libertà.
Il popolo italiano sembra senza memoria, privo di attenzione per la propria storia e per il passato che gli appartiene, manifestando un qualunquismo generalizzato, che ormai ha completamente attecchito nelle nuove e, addirittura, nelle vecchie generazioni, perse nell'idea perversa del successo e della plastificazione esistenziale. Invece, è necessario fare memoria e ricordare la nascita dello Stato italiano e degli Italiani come popolo – in un certo senso “rinato” il 25 aprile 1945, per il sacrificio di moltitudini di persone che hanno versato il proprio sangue e dato la propria vita, nel segno dell'eguaglianza sociale ed economica, della libertà di espressione, del rispetto dei diritti di tutti gli esseri umani e della fratellanza, ideali alti che il pensiero culturale e politico egemone attualmente sta scardinando in nome di fittizie libertà e di egoismi velleitari, che consistono nel favoreggiamento della corruzione ad alti livelli del potere politico.
Laura Tussi
Docente, giornalista e scrittrice, si occupa di pedagogia nonviolenta e interculturale. Ha conseguito cinque lauree specialistiche in formazione degli adulti e consulenza pedagogica nell'ambito delle scienze della formazione e dell'educazione. Collabora con diverse riviste telematiche tra cui Pressenza, Peacelink, Ildialogo, Unimondo, AgoraVox ed ha ricevuto il premio per l'impegno civile nel 70esimo Anniversario della Liberazione M.E.I. - Meeting Etichette Indipendenti, Associazione Arci Ponti di Memoria e Comune di Milano. Autrice dei libri: Sacro (EMI 2009), Memorie e Olocausto (Aracne 2009), Il dovere di ricordare (Aracne 2009), Il pensiero delle differenze(Aracne 2011), Educazione e pace (Mimesis 2012), Un racconto di vita partigiana - con Fabrizio Cracolici, presidente ANPI Nova Milanese (Mimesis 2012), Dare senso al tempo-Il Decalogo oggi. Un cammino di libertà (Paoline 2012), Il dialogo per la pace. Pedagogia della Resistenza contro ogni razzismo (Mimesis 2014), Giovanni Pesce. Per non dimenticare (Mimesis 2015) con i contributi di Vittorio Agnoletto, Daniele Biacchessi, Moni Ovadia, Tiziana Pesce, Ketty Carraffa. Collabora con diverse riviste di settore, tra cui: "Scuola e didattica" - Editrice La Scuola, "Mosaico di Pace", "GAIA" - Ecoistituto del Veneto Alex Langer, "Rivista Anarchica". Promotrice del progetto per non dimenticare delle Città di Nova Milanese e Bolzano www.lageredeportazione.org e del progetto Arci Ponti di memoria www.pontidimemoria.it. Qui il suo canale video.
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