Jalal Talabani, un peshmerga, un leader, un uomo di pace
Talabani era nato a Koya, a ovest di Sulaimaniya, vicino al lago di Dokan. I monti Shinerwe che fanno da confine con il vicino Iran. Un territorio che per lunghi anni, nella seconda metà del secolo scorso, è stato permeabile a possibili infiltrazioni e potenziale focolaio di tensioni. Il giovane avvocato, combattente indomito, fonda il Puk, il partito unitario curdo. Espropria ai latifondisti le terre – lasciando comunque loro quelle sufficienti per le esigenze familiari - per distribuirle ai contadini. In quegli anni, Joyse Lussu scrive che Talabani e i suoi peshmerga le ricordano i “partigiani della Maiella o del cuneese”. E pensa alle nostre partigiane, quando le raccontano “di Margarete, che aveva comandato una formazione ai confini dell’Iran, ed era morta in combattimento”.
E ancora, a Damasco Joyse Lussu incontra Hero Ahmed Ibrahim: “…lei mi si aggrappò stringendomi forte, perché le portavo notizie del suo uomo molto amato che combatteva lontano”.
Ci sono stati poi gli anni del dopo Saddam. Gli anni della ricostruzione e delle speranze. Il Paese trasformato in un gigantesco cantiere in itinere. I proventi del petrolio investiti in infrastrutture, in una crescita improvvisa e tumultuosa. Progetti spesso faraonici. Senza piani regolatori. La difficoltà di conciliare il boom economico, là dove i proventi del petrolio arrivavano copiosi, con realtà rurali isolate, dove la vita è ancora segnata dal ritmo delle stagioni.
A lei va l’abbraccio grande dei tanti amici italiani vicini alla causa curda. In questo momento di dolore, sappiamo che lei proseguirà il comune percorso intrapreso tanti anni fa. Un patrimonio di valori che rappresentano la migliore eredità che Jalal Talabani lascia al suo popolo. Il popolo curdo.
Ricordo la missione dei “Sindaci per la pace” nel Kurdistan iracheno, cui partecipai undici anni fa, scorgendo anch’io la spinta per lo sviluppo che già in quegli anni veniva intrapresa. E qualche anno fa, l’invasione del “Califfato”. Di nuovo la ripresa delle armi, Peshmerga ancora in combattimento sulle montagne. Un percorso che sembra ricongiungersi su se’ stesso, la pace come evento provvisorio. Sembra quasi una coincidenza, la scomparsa del vecchio combattente all’indomani del referendum. Come se il suo pensiero, da anni rinchiuso nel suo corpo inerte, alla determinazione coraggiosa del suo popolo abbia finalmente trovato pace. Adesso tocca a loro, nell’incognita del proprio futuro. Il diritto all’autodeterminazione di un popolo di fronte agli interessi politici delle potenze mondiali. Roberto Del Bianco
Ricordo un mio pensiero, un paragone che feci tra me e me, il popolo curdo come i nostri padri e nonni nell’immediato dopoguerra. Una guerra, la loro, che sembrava ormai conclusa, Saddam estromesso dal conflitto infinito che ancora si scatenava poco più a sud.
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