Sono in molti a pensare che la Storia sia un fedele resoconto su basi sempre più scientifiche di eventi ed avvenimenti umani e poiché siamo il nostro passato, che nell’istante del presente si misura con il non ancora vissuto, il futuro, è evidente che noi siamo la nostra storia. L’agire umano sia a livello individuale che collettivo non avviene su basi scientifiche. Quindi la scientificità della Storia può solo dipendere dal metodo con cui viene compiuta la ricognizione in ogni tipo di vestigio, documento, testimonianza. Deve trattarsi di un metodo obiettivo che possa tramandarci, consegnarci la Storia distaccata dalla passione, senza astigmatismi, con orizzonti agli occhi: solo allora la Storia potrà essere magistra vitae.
Se la vita è prevalentemente passione come la storia, maestra di vita, può parlare un linguaggio diverso ai viventi, ai posteri, perché non dovrebbe assumere toni passionali ma non ne è del tutto priva: per questo motivo la storia è solo parzialmente scienza. Insegnata nelle scuole, risulta soprattutto ordita di lotte e sopraffazioni, raccontata dai vincitori. In essa la pace non viene narrata. E spesso si legge:” seguì un lungo periodo di pace…”.Soprattutto per questo secolo battezzato e soprannominato “secolo breve” per l’accelerazione subita da ogni evento, segnato dalle vicende belliche, in cui la vita ed il pensiero sono stati scanditi dalla guerra anche quando i cannoni tacevano e le bombe non esplodevano. Eppure nella pace cresce la sapienza intesa come sapore della vita. La guerra è il contrario della giustizia ed anche se la pace non è il tutto, senza di essa gli eventi sono privi di senso e quindi la storia non è scienza né sapienza come la bellezza e l’amore. La storia è soprattutto un messaggio umano per i viventi anche quando racconta di eventi naturali; un messaggio è tanto più percepito ed assimilato quanto più a trasmetterlo sono i testimoni, coloro che hanno assistito a tanti avvenimenti, e hanno compiuto lo sforzo tremendo di comporre una lettura, un codice, un’interpretazione.
A teatro, un’opera cessa di esistere, di sussistere nel momento in cui finisce la sua rappresentazione ed il testo torna a giacere in attesa di essere riportato in vita sul palcoscenico. Così la storia giace se noi umani non le permettiamo di scorrere nel teatro delle nostre rappresentazioni mentali, nei territori immensi del pensiero nei palcoscenici delle relazioni di vita, nelle nicchie personali dei ricordi, del passato. Dobbiamo imparare a scoprire i meandri, gli anfratti sotterranei dei labirinti della storia, dove i poveri emarginano altri poveri: la storia è un grande strumento per far crescere la coscienza, senza l’illusione di Hegel per cui “l’eticità è rappresentata dalla realizzazione del bene nella realtà storica”, troppo spesso la storia ci rimanda dei non sensi, da risanare, ma da non dimenticare. Così anche la storia delle certezze diventa un affresco in movimento, pronto ad accogliere ogni domanda, impedendoci di vivere in un mondo di ciechi e soli contemporanei, come purtroppo troppi pretendono.
Memorie e storia italiana
Chiunque abbia rivisitato questo passato millennio, o gli ultimi cento anni, si è accorto dei molti traguardi raggiunti dall’umanità, le positività acquistate, che hanno reso migliore anche dal punto di vista materiale la vita quotidiana. Il nostro Paese, l’Italia, ancora un secolo fa viveva la fame, i fenomeni migratori, la miseria, l’emarginazione. Un tempo esisteva il senso della famiglia patriarcale, caratterizzato da un forte spirito solidale per cui tutti i componenti del parentato assistevano i più anziani, alimentando e condividendo la quotidianità nella solidarietà tra generazioni, sperimentando il vero valore di comunità che attualmente risulta ampiamente perduto, nel dovere della corresponsabilità, un tempo molto sentito.
E’ difficile trovare un filo conduttore in mille anni di storia ed anche solo in qualche secolo per i tanti avvenimenti sviluppatesi e susseguitesi, gli eventi accaduti e cambiati, le tante popolazioni sovrappostesi. Però si intuisce un nesso importante nella storia, nella vita italiana: una constatazione di qualità. Il popolo italiano possiede creatività, fantasia, inventiva, capacità, laboriosità, in sintesi una spiccata genialità. In una regione piccola rispetto alla dimensione europea qual era la Toscana del Rinascimento, vi confluì un assemblaggio di geni letterari, un crogiolo di innovazioni scientifiche, una fucina di idee e correnti artistiche: fermenti pittorici architettonici, scientifici quale forse non si erano mai conosciuti nella storia dell’umanità, se non nell’Atene di Pericle. Dunque l’Italia ha conservato e tramandato nel tempo queste caratteristiche e doti: creatività, fantasia, genialità.
Invece, d’altro canto, l’Italia come luogo geografico e come Stato nazionale non ha posseduto nessuna delle qualità appartenenti a quei nostri progenitori ai quali il regime fascista si era voluto ispirare nella propria altisonante retorica e nell’intenzione di tramandare fasti di memoria storica: la romanità. La civiltà romana, era costituita da un popolo imperialista, proteso alle glorie terrene, adorante dei e divinità, importati dalla civiltà Greca, ancora immagini divine cariche di tensioni e pulsioni passionali terrene, difetti prettamente umani. Le vestigia dell’impero denotano una relativamente scarsa vocazione artistica, ma un grande senso giuridico, il senso del diritto, oggi si direbbe del cavillo: un popolo di grandi strateghi ed organizzatori di un grande stato di militari e condottieri. L’Italia con tutte le sue doti si è trascinata, per ragioni storiche, un difetto grave per la vita sociale, un deficit di senso civico, di sentimenti d’appartenenza ad una collettività e di condivisione delle responsabilità della comunità. Il senso civico di entità nazionale porta a ritenere che il bene pubblico non sia di nessuno, ma di tutti ed esistano doveri nei confronti di chi ci circonda e vive con noi, spartendo e condividendo l’appartenenza ad uno stato, e si debba avere in mente oltre il proprio interesse egoistico, anche un interesse della società globale, collettiva.
Risulta evidente che certe caratteristiche siano più carenti in Italia per vari motivi: le dominazioni straniere, la disabitudine ad essere padroni delle proprie sorti, il servilismo al modello capitalista di gestione dell’ente pubblico, e, come ultima conseguenza un rapporto di sfiducia tra cittadini, autorità, e burocrazia che non confida nei politici e nei cittadini: questa atmosfera di rassegnazione e di sfiducia costituisce una zavorra della società italiana. Si parla di revisionismo quando De Felice, con la sua monumentale opera, ha dato ordine accademico alla storia non proponendosi una visione riabilitativa, di rivalutazione, ma di riequilibrio di ciò che fu e non fu il periodo fascista, come già Montanelli scrisse nel libro "L’Italia della guerra civile”, dall’8 Settembre ’44 al 25 Aprile ’45. La storia deve anche essere revisione per non limitarsi a ripetere pedissequamente l’interpretazione di altri storici. Per esempio Montanelli e Cervi sono revisionisti entro certi limiti e assolutamente contro un certo revisionismo di comodo e opportunista per altri aspetti.
Montanelli, per esempio, ha abbattuto certi miti retorici del Risorgimento, ma senza negarlo globalmente, in quante periodo imprescindibile, parte importante della storia del processo di unificazione nazionale, perché ha rappresentato la stagione più rilevante dell’Italia unitaria e degli ultimi secoli. Non si accetta, in questa ottica, una certa tendenza alla rivalutazione dei Borboni, non si indugia sul fatto che Pio IX sia stato proclamato beato, non è stato positivo complessivamente nella storia d’Italia il Sillabo come buono e ragionevole e non si sostiene che il ruolo della Chiesa nel processo storico dell’Italia sia stato benefico. E’ una carellata del millennio con un’impronta laica; il Papa come re, come sovrano terreno di uno Stato doveva comportarsi da re, difendendo le prerogative, il territorio, l’integrità, l’autorità dello Stato e questo ragionamento è ineccepibile. Risulta invece eccepibile che il Papa, per difendere i privilegi, le prerogative terrene del suo Stato, usasse armi religiose, vale a dire, ricoprisse di anatemi e di scomuniche chi voleva attentare non alle sue vantaggiose prerogative di Papa, ma di sovrano terreno. Tale mescolanza si è dimostrata un grave equivoco della storia d’Italia ed è stata praticata in modo più spregiudicato rispetto ad altri papi in precedenza.
Montanelli è revisionista trattando del fascismo, sostenendo ormai quello su cui tutti concordano: il regime fascista non fu una cupola di pochi terribili uomini che hanno tenuto imprigionato un popolo anelante alla propria libertà. Il fascismo, soppressa la libertà come valore unico, etico, e non velleitario o arbitrario, è stato un regime dispotico, presentando connotazioni grottesche ed anche brutali, feroci, ma il popolo italiano, a livello di masse, non spasimava certo per affrancarsi, nonostante le meritevolissime eccezioni degli “schierati contro”. Ma per molti anni il popolo italiano è stato acquiescente e anche per un certo periodo larghissimamente consenziente: il fascismo ha ottenuto l’appoggio ed il consenso degli italiani. Se si fosse votato liberamente dopo la guerra d’Etiopia, Mussolini avrebbe stravinto. La colpa principale, l’errore del fascismo è stato il precipitare un popolo in guerra, alleandosi con il nazionalsocialismo: il nazismo.
Il nazifascismo fu un sottoprodotto del nazismo con caratteristiche particolari, strane, anomali, crudeli, feroci, molto differenti dal fascismo. Un’altra caratteristica dell’Italia attraverso i secoli è il trasformismo, per cui alcuni storici lo distinguono in buono e cattivo. Buono è il trasformismo di Cavour che, avendo un grande progetto, strategie e traguardi da raggiungere, si allea in connubio con Rattazzi per porsi grandi obiettivi. Poi esiste il trasformismo minore alla De Pretis, di chi lo usa per mantenere a tutti i costi il potere. Poi il trasformismo minimo di chi salterella da un partito e schieramento all’altro solo per difendere il seggio, tanto agognato, in parlamento, per il posto di senatore, deputato o di altre cariche di sottogoverno.
Laura Tussi
Docente, giornalista e scrittrice, si occupa di pedagogia nonviolenta e interculturale. Ha conseguito cinque lauree specialistiche in formazione degli adulti e consulenza pedagogica nell'ambito delle scienze della formazione e dell'educazione. Collabora con diverse riviste telematiche tra cui Pressenza, Peacelink, Ildialogo, Unimondo, AgoraVox ed ha ricevuto il premio per l'impegno civile nel 70esimo Anniversario della Liberazione M.E.I. - Meeting Etichette Indipendenti, Associazione Arci Ponti di Memoria e Comune di Milano. Autrice dei libri: Sacro (EMI 2009), Memorie e Olocausto (Aracne 2009), Il dovere di ricordare (Aracne 2009), Il pensiero delle differenze(Aracne 2011), Educazione e pace (Mimesis 2012), Un racconto di vita partigiana - con Fabrizio Cracolici, presidente ANPI Nova Milanese (Mimesis 2012), Dare senso al tempo-Il Decalogo oggi. Un cammino di libertà (Paoline 2012), Il dialogo per la pace. Pedagogia della Resistenza contro ogni razzismo (Mimesis 2014), Giovanni Pesce. Per non dimenticare (Mimesis 2015) con i contributi di Vittorio Agnoletto, Daniele Biacchessi, Moni Ovadia, Tiziana Pesce, Ketty Carraffa. Collabora con diverse riviste di settore, tra cui: "Scuola e didattica" - Editrice La Scuola, "Mosaico di Pace", "GAIA" - Ecoistituto del Veneto Alex Langer, "Rivista Anarchica". Promotrice del progetto per non dimenticare delle Città di Nova Milanese e Bolzano www.lageredeportazione.org e del progetto Arci Ponti di memoria www.pontidimemoria.it. Qui il suo canale video.
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