L'Onu e l'Iraq
Proviamo a fare chiarezza, e a collocare la discussione tutta nostrana su ritiro delle truppe sì, no, né ritiro né sostegno pieno alle decisioni del governo, in un quadro se possibile più coerente di analisi e di proposta politica. Un quadro che vede l'aggravarsi della situazione in Iraq, con la barbara uccisione di Fabrizio Quattrocchi, ed un conflitto a intensità sempre meno bassa, che rischia di protrarsi per anni ed espandersi a tutta la regione, le spinte Usa per una rapida transizione, dettata soprattutto dalle scadenze elettorali del presidente Bush. E se ciò non bastasse si assiste contemporaneamente all'iniziativa diplomatica della Casa Bianca, che da una parte continua a perseguire il suo cosiddetto Grand Middle East Plan, per esportare libero scambio e "democrazia" in tutto il Medio Oriente, e dall'altra sostiene, unica voce favorevole, il piano scellerato del primo ministro israeliano Ariel Sharon, che camuffa in ritiro da una parte degli insediamenti illegali di coloni nei territori palestinesi, un progetto di annessione di parti importanti della Cisgiordania.
La complessità della crisi rende urgente, per chi fin dall'inizio si è opposto alla guerra all'Iraq e a tutt'oggi continua a chiedere il ritiro delle truppe, discutere una proposta politica da contrapporre a quella che si sta facendo strada tra maggioranza e listone sul coinvolgimento dell'Onu.
A tal riguardo, può servire come punto di partenza un'intervista che il ministro degli esteri francese, Dominique De Villepin, ha concesso al quotidiano Le Monde, e nella quale si delinea una soluzione politica a tre livelli , un livello nazionale, uno regionale ed uno internazionale.
A livello nazionale l'obiettivo è quello di garantire la coabitazione tra le varie componenti della popolazione irachena. Ciò non può essere possibile senza un'immediata interruzione delle operazioni militari, la fine dell'assedio di Falluja e Najaf, per favorire un'apertura di dialogo con gli sciiti, tanto quelli schierati su posizioni più moderate, quanto quelli più ostili all'occupazione e, ovviamente, coinvolgendo il grande ayatollah Ali Al Sistani. Un dialogo che non può non passare attraverso l'offerta di riaprire il giornale fatto chiudere d'autorità, e un percorso di ridiscussione della bozza di Costituzione, bocciata dagli sciiti, che, vale la pena di ricordare, sono la maggioranza del paese. In seconda battuta, si può proporre la convocazione di un tavolo di riconciliazione nazionale, che possa identificare i criteri e le esigenze riguardo la composizione di un governo ad interim veramente rappresentativo. A livello regionale, l'obiettivo sarà quello della pacificazione attraverso la convocazione di una Conferenza di pace per l'Iraq simile a quella di Bonn per l'Afghanistan, mentre a livello internazionale l'obiettivo dovrà essere quello della ricostruzione politico economica del paese, restituendo agli iracheni la piena sovranità economica compromessa duramente dalla gestione privatistica degli appalti e dei piani di ristrutturazione economica e finanziaria del paese.
In quest' ottica, una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (o alternativamente, se i veti incrociati portassero ad uno stallo, una presa di posizione dell'Assemblea generale con risoluzione "Uniting for Peace") avrebbe come contenuto quello di definire un percorso, un calendario ed impegni specifici per costruire un regime di sovranità effettiva e designare un'autorità irachena veramente rappresentativa. Tale governo ad interim potrà poi prendersi la responsabilità di organizzare la sicurezza, chiedendo con il sostegno della comunità internazionale la costituzione di una forza di polizia ed interposizione multinazionale (possibilmente senza i paesi occupanti) con mandato Onu ed in concerto con gli stati della regione.
Una delle critiche all'ipotesi di sostituire gradualmente le truppe di occupazione con altre di paesi neutrali riguarda l'entità dell'impegno. E' evidente che nessuna coalizione alternativa può mettere in campo un numero di effettivi ed un potenziale militare pari a quello degli Usa. E' anche vero però che quello spiegamento di forze risponde ad una logica di guerra e di occupazione militare del territorio ben diversa da quella di polizia internazionale, la quale richiederebbe un impegno differente. Allo stato attuale, invocare l'Onu senza specificare le condizioni né le modalità di un impegno, comporterebbe una serie di gravi rischi, il primo quello di assestare un colpo definitivo all'istituzione che è riuscita a sopravvivere grazie al non avallo da parte del Consiglio di Sicurezza dell'invasione militare. Seguire o sostenere un approccio multilaterale "à la carte", secondo convenienza, al fine di legittimare ex post una violazione del diritto internazionale, e un regime fantoccio, non giova certo alle prospettive di rafforzamento del ruolo dell'Onu, anzi crea un precedente pericoloso nel cammino di riforma tanto invocato. E poi Kofi Annan lo ha detto a chiare lettere: con questa situazione di altissimo rischio l'Onu non intende tornare in Iraq. Invocarlo ora addirittura potrebbe addirittura giustificare un' inasprimento della repressione con opzione militare per garantire la sicurezza necessaria ( per lo meno sulla carta) per consentire il ritorno delle Nazioni Unite in tempi brevi. E' questo quello che vuole quella parte del centrosinistra che oggi invoca l'Onu?
Come si vede, di ipotesi alternative a quella "bipartisan" ce ne sono, ci sono paesi come la Russia e la Francia che le hanno avanzate, organizzazioni come la Lega Araba che ha messo sul piatto una conferenza internazionale per l'Iraq da tenersi al Cairo. A quali condizioni l'Italia può essere un credibile interlocutore e cercare di svolgere un ruolo di mediazione? A questo punto è evidente che la condicio sine qua non per restituire al nostro paese la legittimità necessaria a svolgere una tale iniziativa di mediazione diplomatica è quella di annunciare fin d'ora la decisione di ritirare le truppe italiane dall'Iraq, secondo un calendario di depotenziamento progressivo, da concludersi entro breve, e contestualmente adoperarsi per la convocazione di una Conferenza internazionale di pace, le cui risultanze poi possano essere recepite e formalizzate con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Su quest' ipotesi chiamiamo ora al confronto il resto del centrosinistra.
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