Non uccidiamo il sogno di Dio
La politica dei porti chiusi messa in atto dal governo "gialloverde" colpisce ciò che sta alla radice della nostra umanità: la compassione. E' l'applicazione pratica di una sorta di cinismo che genera morte e uccide pure il sogno di Dio, che è il sogno di una vita bella, di un'esistenza libera e dignitosa per se e per gli altri. Questo sogno di Dio è il volto stesso di Dio, di quel Dio che si è fatto Uomo per condividere tutto di noi, compresa la più atroce e umilianti delle morti. Morte atroce e umiliante come quelle dei nostri fratelli e delle nostre sorelle nel risucchio del mare Mediterraneo che ormai è diventato uno sconfinato cimitero. Ciò a cui stiamo assistendo è un'immensa bestemmia di cui saremo un giorno chiamati a renderne conto sia davanti agli uomini, sia davanti a Dio. "Poveri Cristi" ci viene da pensare e da dire davanti alle tremende immagini di disperazione che scorrono ogni giorno dinanzi ai nostri occhi, ma a "quei Poveri Cristi" non segue sempre il necessario moto di reazione e di indignazione che ci liberi dal silenzio della complicità. Anzi, quel Cristo che ha sofferto e soffre nel corpo e nell'anima di questi uomini e donne migranti, quella Croce che è simbolo delle torture e delle sevizie più crudeli e disumane sono stati addirittura sventolati nelle piazze come simboli di questa politica atroce e barbara. Non possiamo stare davvero più zitti, ogni autentico credente deve riappropriarsi del volto autentico di Cristo, del Cristo dell'amore, della compassione, di quel volto che ha percorso la Palestina consolando, curando, guarendo con il cuore rivolto ai più umili e ai più poveri della terra come sono queste persone che fuggono da guerre, da violenze, da carestie in cerca di un futuro migliore. Anche Cristo è fuggito in Egitto, per fuggire alle persecuzioni di Erode. No, non si può più tacere. Chi si definisce "cristiano" deve "intromettere" il proprio corpo, come Cristo lo ha intromesso per dire una Parola "nuova", una Parola "altra", una Parola di "libertà". I pastori delle chiese hanno poi una precisa responsabilità, quella di esprimersi con "parresia", di denunciare il male con coraggio, di fare comprendere a tutti coloro che non lo hanno ancora capito che difendere i valori del cristianesimo significa difendere i valori della nostra umanità, che qualsiasi forma di razzismo, di violenza, di discriminazione, di ignavia non è conciliabile con il Vangelo che è annuncio di salvezza e di felicità per tutti, nessuno escluso.
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