VANUNU: Non sono riusciti a spezzarmi. Né a farmi star zitto
libertà sia incondizionata
Il 28 ottobre scorso Mordechai Vanunu, nella sua lettera dal carcere numero
2435, scriveva: «Ancora sei mesi e sarò libero, dopo quasi diciotto anni. Da
tanto tempo ci scriviamo e sono sempre qui, nella mia solita vita; ma in
buona salute, e mi preparo per quel giorno. Non siete riusciti a far
riaprire in Italia il processo per il mio rapimento a Fiumicino ad opera te
degli israeliani e D'Alema e Dini quando erano al governo non hanno risposto
alla mia lettera; però, inutile crucciarsi, era ovvio: l'Italia o l'Europa
non sarebbero certo andate contro Israele per difendere me». Allegava alcune
cartoline «riciclate» di stupendi paesaggi marini, su cui aveva scritto: «Il
rapimento è il passato; ora, la libertà!». Sull'ultimo bollettino delle
campagna internazionale per la sua liberazione campeggia un Mordechai
ridente, in una bella foto dopo i pochi ritratti tristi concessi negli anni
scorsi; c'è un suo messaggio, riferito dal fratello Meir: «Non sono riusciti
a spezzarmi. Le porte e i chiavistelli si apriranno presto!». Ma la posta
continuerà a essere l'unico suo contatto con il mondo? Le dure restrizioni
programmate potrebbero avere su di lui un effetto «devastante», secondo la
pacifista statunitense Mary Eoloff che con il marito ha adottato Mordechai e
che fino a poco fa sperava di portarselo via subito («la sua stanza da noi è
pronta da tanto tempo»). Vanunu è già segnato da diciotto anni di
vessazioni, denunciate in passato da tante parti e da Amnesty international,
che ora parla di ennesima violazione delle norme internazionali. Mordechai
sognava di lasciare subito Israele e di proseguire l'impegno. Ecco, da
un'altra sua lettera: «Sarò contento di incontrarvi e continuare con voi;
perché non avremo pace finché le armi nucleari di ogni tipo non saranno
abolite in tutto il mondo»; e qui un buco nel foglio, perché qualche parola
censurata era di prammatica.
Tagli di forbici distratti e puramente punitivi: nessuna nuova rivelazione
contenevano le lettere di un uomo prigioniero da 17 anni. Per vessazione, la
corrispondenza di Mordechai arrivava ai destinatari tre, quattro, anche
cinque mesi dopo la data che egli annotava, in alto a destra sul primo
foglio. Certo non ha gli giovato il fatto che egli abbia sempre insistito
sullo scandalo del nucleare e sulle colpe di Israele. Ma tempo fa, in
risposta all'invito di «star quieto» per un po', in modo da avere qualche
chance di essere rilasciato in anticipo, rispose: «Non mi si può chiedere
questo, dopo che per le mie idee ho già pagato con dodici anni di carcere;
non chiederò mai scusa e non starò mai zitto», aggiungendo poi: «Solo una
persona ingenua può credere che la mia sottomissione serva alla mia
libertà». Se la ragione ufficiale delle restrizioni è che egli può mettere
in pericolo la sicurezza di Israele, in realtà quel che temono le autorità
israeliane è che, con Vanunu libero e in giro per il mondo, possa accrescere
il dibattito pubblico e internazionale sul ruolo nucleare dello stato
ebraico (intanto il fisico Uzi Even, che a Dimona ha lavorato, ha di recente
ripetuto l'appello a chiudere il vecchio reattore considerandolo molto
pericoloso).
La sorte di Vanunu è appesa all'esito del ricorso presentato dai suoi
avvocati. La campagna internazionale (www.vanunu.freeserve.co.uk) chiede di
premere su Israele contro quest'ennesima violazione del diritto
internazionale. Sul sito si può firmare una petizione. Alcuni parlamentari
inglesi hanno firmato una mozione impegnando il Foreign Office a
intraprendere azioni per sua liberazione incondizionata.
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