La brutale battaglia culturale di Stato in Polonia
È una situazione insolita. È ancora direttore? Lo stesso Stola, l’uomo con la faccia amichevole e le sopracciglia folte, non lo sa. Ogni mattina riferisce di attendere la telefonata dal Ministero che gli permetterà finalmente di discutere nuovamente di mostre o di pianificare eventi serali. Finora inutilmente.
Invece, un giovedì pomeriggio di ottobre gironzolava in un centro commerciale nella parte meridionale di Varsavia. Al primo piano di un bar ha ordinato un tè. Il cinquantacinquenne ha imparato negli ultimi mesi a occupare il suo tempo libero. Va a fare la spesa, va in bicicletta, o magari si reca all’estero per tenere conferenze. Era in Israele, l’ultima volta che è volato negli Stati Uniti. Dopo tutto, è un professore di fama internazionale, che però il suo stesso Ministro delle Cultura respinge.
Il caso di Dariusz Stola è solo l’ultimo esempio di come il partito nazionalista “Diritto e Giustizia” (PiS) tenti di influenzare le istituzioni culturali del Paese. Le opere teatrali che, secondo loro, criticano la nazione polacca o la chiesa cattolica, devono essere rimosse e le mostre che danno uno sguardo sfumato sulla storia polacca devo essere nuovamente curate, come quelle del Museo della Seconda Guerra Mondiale di Danzica.
Il suo direttore Pawel Machcewicz fu licenziato senza preavviso già nel 2017. Il nuovo direttore si sta sottomettendo ai nazionalisti. I politici di alto livello del PiS si oppongono apertamente al sostegno degli artisti che vedono la storia polacca non solo come una storia di vittime ed eroi; sono considerati “antipolacchi” addirittura la premio Nobel Olga Tokarczuk e il film “Ida”, che ha vinto l’Oscar nel 2015.
Ora è stato colpito il direttore del Museo Stola. Perché proprio lui, non può dirlo con sicurezza. Tuttavia sia lui, sia dipendenti del Museo Polin che chiedono rimanere anonimi hanno un’ipotesi: «Fino all’anno scorso non avevamo alcun tipo di problema con il partito – racconta Stola – poi abbiamo aperto una mostra sugli eventi di marzo».
Stola fa riferimento al marzo 1968, quando il Partito Comunista rispose alle dimostrazioni studentesche con una campagna antisemita. Di conseguenza migliaia di ebrei polacchi persero il lavoro e furono espulsi dal Paese: una macchia nella storia polacca fino a oggi. Nella sua mostra, Stola ha collegato le dichiarazioni antisemite dei membri del Partito Comunista di allora a simili commenti simili di dipendenti della Televisione di Stato TVP di oggi.
Ha così mostrato la continuità dell’antisemitismo in Polonia – che per alcuni sembra un quadro storico eroico del PiS. La televisione di Stato, nota per la sua propaganda governativa, ha immediatamente accusato il Museo Polin di “immischiarsi” nella politica. Due senatori del PiS, Arthur Warzocha e Rafal Slusarz, si sono lamentati sostenendo che il Museo sia uno “strumento politico”: hanno chiesto al Ministero della Cultura, se fossero intervenuti preventivamente contro la mostra.
«È stata una campagna contro il direttore Stola», dice una fonte cha ha familiarità con la questione e che vuole rimanere anonima, parlando con WELT. Il motivo per cui Stola non è stato immediatamente licenziato, come Machcewics dal Museo della Seconda Guerra Mondiale, risiede nella struttura del Museo Polin. Ha sia partecipazioni statali, sia private. Il PiS ha, pertanto, un’influenza limitata e deve utilizzare metodi più sottili per applicare la sua politica sulle risorse umane.
L’accusa: pornografia sul palcoscenico
Il Ministro della Cultura non è proprio noto per un approccio prudente. Già poco dopo l’incarico quattro anni fa, ha tentato di evitare uno spettacolo al Teatro Polacco di Breslavia. Il motivo: si può vedere della pornografia sul palco, secondo Glinski. Ha incaricato il governo regionale di togliere l’opera dal programma – inutilmente. Questo è stato il segnale di partenza per una nuova politica culturale polacca.
Glinski ha tagliato molti finanziamenti ai teatri e ai festival, ha licenziato persone, anche a Breslavia. Da allora, molte istituzioni culturali sono sempre state in linea col governo. Il Museo Polin rappresenta tuttavia una difficile impresa per i nazionalisti.
Formalmente nel 2005 è stato fondato, dal governo polacco, dalla città di Varsavia e dall’istituto di storia ebraica (ZIH), un istituto di ricerca con sede a Varsavia. Ogni cinque anni, le tre istituzioni partner devono accordarsi su un direttore. Quest’anno Stola è stato rieletto per un secondo mandato da un comitato istituito a tal fine.
Tuttavia, parte dell’iter, vuole che il Ministro della Cultura Glinski ratifichi questa decisione – cosa che rifiuta ostinatamente, e che fa rimanere Stola nel suo attuale limbo. Il Museo è ora gestito dal vice di Stola. È una strategia dilatoria il cui obiettivo è che Stola ceda, così che il governo possa nominare uno dei suoi candidati.
A una richiesta del WELT, il Ministero della Cultura, in una presa di posizione, ha spiegato solamente che «la nomina del direttore è di competenza del Ministro della Cultura e del Patrimonio nazionale». In un’intervista alla radio a settembre il Ministro Glinski ha tuttavia dichiarato sul Direttore del Museo Stola: «Ha perseguito una politica molto aggressiva – e ha continuato – con la politicizzazione dell’istituzione le ha inflitto un grave danno».
Glinski non ha addotto alcuna motivazione tecnica contro Stola. Non avrebbe nemmeno potuto farlo. Stola ha portato il Museo a un livello mondiale. Sotto la sua direzione, è stato nominato, nel 2016, Museo Europeo dell’anno. In un’intervista radiofonica, Glinski ha sottolineato ancora che il lavoro del museo non è in alcun modo in pericolo.
Stola non è d’accordo: «Il Museo Polin dipende dalle donazioni dei privati. Si stanno chiedendo cosa sta succedendo a Varsavia e se vogliono ancora sostenere il museo in futuro. Anche i dipendenti sono insicuri. Il lavoro professionale diventerà più difficile». Stola ha finito di bere il suo tè. Lascia il centro commerciale, la sua bicicletta è davanti all’ingresso. Dice che andrà a fare ancora un giro. Non si arrenderà alla discussione sul museo. Ma quanto potrà durare?
Il governo polacco è, intanto, già più avanti. Con il Museo del Ghetto di Varsavia sta progettando un museo ebraico secondo le sue idee. L’apertura dovrebbe avvenire nel 2023, secondo il motto: se non puoi essere re nel castello, costruiscitene uno. Dariusz Stola è preoccupato. La cultura – dice – è qualcosa di fragile, perciò ha bisogno di un quadro stabile. Che in Polonia si è appena perso.
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