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Un anno di protesta nonviolenta

Le “sardine” in piazza da un anno in Algeria

L’Hirak, un movimento popolare unico nella storia del paese, occupa ogni venerdì le piazze in vari centri dell’Algeria. Chiede la fine del “sistema” che governa.
25 febbraio 2020
Luciano Ardesi

Il movimento Hirak in Algeria

Venerdì 21 febbraio la protesta si è riversata ancora più numerosa rispetto alle ultime settimane nel centro di Algeri e di altre città, in occasione del primo anniversario del movimento, l’Hirak nell’arabo maghrebino, per il 53° venerdì consecutivo. “Non siamo qui per festeggiare, ma per cacciarvi” è stato lo slogan ripetuto da decine di migliaia di persone in risposta alla decisione del potere di fare del 22 febbraio, data di inizio della protesta un anno fa,  la “Giornata nazionale della fraternità e della coesione tra il popolo e il suo esercito”, vissuta come una vera beffa. Ieri il presidente Tebboune ha risposto che l’annunciata riforma costituzionale ha come obbiettivo uno “Stato forte” per proteggere la società “dalle turbolenze”. Inquietante come programma, ma l’intenzione sembra quella di voler togliere spazi di legittimità al movimento malgrado la sua celebrazione. Del resto pochi giorni prima gli era stato impedito una riunione organizzativa.

Intanto ieri la diaspora algerina a Parigi ha anche lei marcato la sua 53a domenica di protesta, così come farà domani, il martedì del movimento degli studenti altrettanto puntuale durante un anno, attraverso il Ramadan, l’estate, la caduta di vecchi idoli, l’elezione di un nuovo presidente.

Il tutto era cominciato il 22 febbraio 2019 quando il centro di Algeri e di altre città era stato occupato, malgrado il divieto di manifestazione in vigore da anni, da decine di migliaia di persone per protestare contro la candidatura al 5° mandato del presidente Abdelaziz Bouteflika, condannato da un ictus sulla sedia a rotelle e impossibilitato dal 2013 a prendere la parola in pubblico. Da allora il movimento ha imposto le dimissioni del presidente, il rinvio per ben due volte delle presidenziali, non ha potuto impedire l’elezione il 12 dicembre di Abdelmadjid Tebboune, ma ha conquistato il centro della scena politica.

La caratteristica più importante del movimento è la sua assoluta nonviolenza, non scontata in un popolo che si è liberato con una lunga lotta armata, e che ha subito nel corso degli anni violente repressioni da parte dell’esercito. Ancora oggi non tutti i manifestanti sono stati liberati, molti sono i condannati ad anni di prigione. La sua nonviolenza non ideologica, non infiltrata da nessuna forza politica, ha fatto che l’Hirak sia sostanzialmente ignorato all’estero, malgrado sia il movimento popolare nonviolento più numeroso, continuativo e regolare,  unico nella storia contemporanea.

L’Hirak non ha voluto darsi una leadership per non snaturare la sua natura aperta e partecipativa, si interroga certo sul suo futuro all’inizio dell’Anno II della lotta, che mantiene l’obiettivo iniziale: la cacciata di una classe politica corrotta e autoreferenziale. Ricorda anche  che l’attuale presidente è stato eletto sulla base di un’astensione massiccia. La  serie mirata di arresti tra ex ministri, alti funzionari e imprenditori pubblici e privati, appare al movimento piuttosto una lotta interna ai clan del potere, formati da un conglomerato di queste forze con l’esercito garante degli equilibri . L’Hirak, è intenzionato ad andare avanti col sisma diffuso dei suoi venerdì di protesta popolare.

 

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