Il Sudan nell’Alto Commissariato per i diritti umani
La notizia ha suscitato l’immediata la reazione dai rappresentanti degli Stati Uniti che hanno cercato senza successo di proporre una candidatura alternativa ed infine hanno manifestato il proprio dissenso allontanandosi dalla sala in cui era in corso l’incontro.
"Gli Stati Uniti sono perplessi e smarriti di fronte all’elezione del Sudan – un paese che premette e appoggia il massacro dei suoi stessi cittadini – alla Commissione per i Diritti Umani" ha dichiarato ai giornalisti di AFP Sichan Siv, rappresentante USA al Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, presente in qualità di elettore "e non intende prendere parte a questa assurdità che rischia di compromettere non solo il lavoro della Commissione, ma la sua stessa credibilità".
Più caute, ma identiche nella sostanza, le parole di Richard Grenell, portavoce dell’ambasciatore americano John Negroponte, "Il coinvolgimento del Sudan nelle gravi violazioni dei diritti umani e negli abusi contro la popolazione civile è ben noto e apprendere della sua candidatura alla Commissione per i Diritti Umani ha lasciato tutti delusi ed amareggiati".
Il delegato di Khartoum, Omar Bashir Mohamed Manis, pur definendo ‘esagerate’ le reazioni degli Stati Uniti, ha preferito non rispondere alle accuse mosse dagli USA a proposito del coinvolgimento del governo Sudan nelle gravi violazioni dei diritti umani perpetrate ai danni delle etnie nere del Darfur. Tuttavia Manis ha contrattaccato definendo "ironico che la delegazione degli Stati Uniti, mentre piange lacrime di coccodrillo sulla situazione in Darfur, si tappi gli occhi davanti alle atrocità commesse dalle forze americane contro gli innocenti iracheni, comprese donne e bambini".
La rielezione del Sudan giunge in contemporanea con la definitiva conferma che "molti degli atti commessi in Darfur costituiscono crimini di guerra e contro l’umanità". Il team di esperti delle Nazioni Unite, che si era recato in Darfur per indagare sulle reali condizioni della popolazione in quella zona, è infatti rientrato a Ginevra lunedì scorso ed ha sostanzialmente confermato quanto già reso noto ad aprile, dopo aver intervistato i profughi sudanesi rifugiatisi in Ciad.
Secondo le dichiarazioni rilasciate da Josè Diaz, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, dopo essere finalmente riuscita ad ottenere dal governo di Khartoum i permessi necessari per recarsi in Darfur, la missione d’inchiesta ha incontrato sia i profughi che le autorità locali.
Da questi incontri avrebbe ricavato informazioni che Diaz definisce ‘preoccupanti’, sebbene preferisca non scendere nei dettagli in quanto un rapporto dettagliato delle conclusioni dal team sarà pronto solo alla fine della settimana. Diaz ha comunque aggiunto che nel rapporto si fa riferimento a "raid aerei e attacchi di terra condotti da miliziani e soldati senza che sia fatta alcuna distinzione tra militari e civili e con un impiego di forze comunque sproporzionato alla potenza del nemico".
E non è tutto: lo scopo di tanta violenza sarebbe, secondo le parole di Diaz riportate da AFP, "il desiderio, condiviso da parte delle autorità sudanesi, di sgombrare alcune zone costringendo gli abitanti del luogo a cercare riparo nei campi profughi o in Ciad".
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