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All’indomani della morte di George Floyd, la polizia protegge l’America a discapito dei diritti?

Law and Order: dallo schiavismo ai giorni nostri

Un excursus storico che traccia l'inizio e l'evoluzione di violenza e razzismo nelle forze dell'ordine americane
15 luglio 2020
Khalil Gibran Muhammad
Fonte: npr - 04 giugno 2020
La seguente intervista, condotta da Rund Abdelfatah e Ramtin Arablouei, è andata in onda il 4 giugno 2020 sul podcast Throughline di npr, ed è stata leggermente editata per rendere più scorrevole l’esperienza di lettura.

Una caricatura dei "cacciatori di schiavi" raffigurata nell'"Anti-Slavery Almanac" del 1839.

Abdelfatah: Eccoci, siamo ancora qui a porci le medesime domande dopo un altro caso di alto profilo, un altro omicidio di una persona di colore per mano della polizia. È una ripetizione incredibilmente disturbante, che continua a riproporsi da molto molto tempo. Ne abbiamo parlato con Khalil Gibran Muhammad, storico che insegna alla Harvard Kennedy School, autore del libro The Condemnation of Blackness: Race, Crime, and the Making of Modern Urban America.

Nel suo libro, Khalil illustra il modo in cui negli Stati Uniti, nel corso degli ultimi quattrocento anni, i neri siano stati criminalizzati. Lo fa raccontandoci la storia parallela della polizia del Nord e del Sud. Sono storie molto diverse ma con delle similitudini impressionanti. Prima fra tutte la loro stessa caratteristica chiave: l’uso della forza brutale per controllare gli americani neri.

Arablouei: Ma prima di immergerci nella storia è importante raccontare come Khalil abbia deciso di dedicare la sua carriera allo studio della storia del sistema della giustizia penale americana.

Mohammad: Tutto è cominciato quando studiavo alla University of Pennsylvania, a Philadelphia nei primi anni ’90. Stavo partecipando a una protesta guidata dalla Black Student Union (Unione degli Studenti Neri, NdT) durante la quale io e altri studenti ci eravamo proposti di confiscare tutti i numeri della rivista della scuola perché volevamo opporci alla sua tendenza tradizionalista. La rivista era gratuita, quindi tecnicamente non stavamo commettendo nessun reato, ma un ufficiale di polizia del campus è comunque venuto a intralciarmi. Mi dice di smetterla e di mettere giù i fogli. Io gli rispondo che non sto facendo niente di male, che si tratta di riviste omaggio. Fondamentalmente non smetto perché non sto commettendo un crimine.

Lo prego di lasciarci proseguire con la nostra protesta, ma lui non è d’accordo. Prova ad ammanettarmi. Si forma una folla di spettatori mentre il poliziotto tenta di trattenermi. Alla fine l’agente tira fuori un manganello, mi colpisce sulla schiena e io allento le mani. Sono stato arrestato, messo nel retro di una macchina della polizia, portato alla stazione e ammanettato a una barra dentro una cella di sicurezza.

Dopo alcune ore, gli altri studenti attivisti sono venuti alla stazione di polizia e hanno chiesto il mio rilascio. Presto i poliziotti si sono accorti di aver fatto un errore e il loro atteggiamento è completamente cambiato. Dal venire trattato come se fossi un nero di Philadelphia Ovest, uno del quartiere che non faceva parte del Campus e che stava rubando i beni dell’università, sono subito passati a modi gentili, come si fa con uno studente del quale ci si vuole solo assicurare che adesso stia bene.

L’Università ha messo in congedo amministrativo l’agente che mi ha arrestato, ma questo ha subito fatto appello ed è stata fissata un’udienza arbitrale alla quale avrei dovuto testimoniare. Il momento dell’udienza è arrivato l’estate dopo la mia laurea, e io lavoravo già come commercialista per un grande studio di contabilità di un certo livello, eppure l’avvocato dell’Università mi ha comunque avvertito del fatto che i legali della polizia avrebbero tentato di provocarmi per mostrare che ero un tipo belligerante e che si era trattato di un arresto giustificato.

Andai all’incontro arbitrale con il mio avvocato, con l’agente che mi aveva arrestato, l’arbitratore e l’avvocato dell’agente. Si comincia con le formalità di rito e a un certo punto, poco dopo che è iniziata l’udienza, l’avvocato del poliziotto è furibondo perché nel rispondere alle domande dell’arbitro mi presento come una persona rispettabile, sono molto preciso e mi esprimo in modo appropriato (per citare un Joebidenismo). E a un certo punto perde le staffe e mi dice: tu dovresti avere dei precedenti!

Ho capito subito cosa stava accadendo. In quel momento sapeva che era sul punto di perdere, perché alla fine non ero altro che uno studente che partecipava a una protesta di studenti, le riviste erano gratuite, non ero un criminale, e avevo il diritto di essere in quel campus. E mentre mi gridava dall’altra parte del tavolo, quello che mi ha colpito è stato capire che le cose funzionassero in questo modo. Se ci fosse stato qualcosa nel mio passato, se avesse potuto spiegare che non ero un bravo ragazzo, se avessi avuto un precedente, se avesse trovato dei problemi pregressi, allora avrebbe anche potuto vincere la disputa.

Questa cosa mi è rimasta addosso, me la porto ancora adesso, ma mi ha fatto scoprire un ingrediente fondamentale del processo di punizione di questo Paese: il modo in cui si è in grado di caratterizzare qualcuno, di definire i suoi tratti fondamentali a partire dai suoi precedenti con la legge, a prescindere dal fatto che sia colpevole o innocente.

Dopo poche settimane da quell’udienza arbitrale, avevo deciso che la contabilità pubblica per me aveva i giorni contati e che sarei andato all’università a studiare Giustizia Penale.

Abdelfatah: Allora, andiamo al nostro discorso. L’attività di polizia è parte di questo Paese da molto tempo, anche prima che gli Stati Uniti si costituissero ufficialmente come una nazione indipendente. Alla metà del diciassettesimo secolo c’era la Boston Watch, essenzialmente un gruppo di sorveglianza di quartiere. C’erano anche delle milizie informali che aiutavano a far rispettare l’ordine nelle contee e nelle città delle colonie.

Arablouei: Ma alcune delle prime forze di polizia in America erano state create per avere il controllo degli schiavi neri. Sarebbero diventate note col nome di slave patrols e, per legge, quasi tutti gli uomini bianchi dovevano prendervi servizio.

Mohammad: Sì, erano uomini tra i 21 e i 45 anni, specialmente al Sud, e potevano appartenere a qualsiasi livello della società, da grandi proprietari terrieri, a uomini ordinari, contadini senza schiavi, muratori e altri. Di solito servivano per un periodo che poteva durare fino a un anno, e spesso si alternavano tra il servizio in una di queste pattuglie per il controllo degli schiavi e quello nella milizia locale, perché entrambe le forze attingevano alla stessa popolazione. In posti come la Virginia e il South Carolina queste pattuglie facevano rispettare le slave codes, leggi che controllavano quasi ogni aspetto nelle vite degli schiavi.

Alcune delle prime forze di polizia in America erano state create per il controllo degli schiavi neri

Forse l’aspetto più eloquente di come le slave patrols funzionassero, è che erano esplicitamente designate per dare un senso di potere all’intera popolazione, non soltanto il potere di polizia e sorveglianza, ma anche il dovere di controllare i movimenti delle persone di colore. E i neri si muovevano molto, specialmente nelle colonie di schiavi al Sud dove questi spesso sbrigavano gli affari dei loro proprietari: il fatto è che se si trovavano in luoghi diversi dalle terre del loro padrone dovevano portare con sé dei permessi. I membri che facevano formalmente parte delle pattuglie per schiavi venivano pagati venticinque centesimi all’ora e in certi casi venivano anche multati se si sottraevano ai loro doveri. In alcune colonie, se non si presentavano potevano andare incontro a una multa che andava dai cinque ai dieci dollari. Ma tutti i cittadini dovevano sbracciarsi, tutti erano tenuti a contribuire a questa attività di controllo.

Braccianti detenuti (1903)

I loro compiti erano fissati in delle leggi, come per esempio lo statuto della slave patrol della Louisiana del 1835, in cui si prescrive di “arrestare qualsiasi schiavo o gruppo schiavi che, con o senza permesso, venga trovato in un bosco o in mezzo a della legna con qualsiasi tipo di fuoco o di torcia, e tale schiavo, una volta arrestato dovrà subire una punizione corporale non maggiore di trenta frustate.” Si vede come già in questa legislazione iniziale, una delle preoccupazioni fosse quella di una rivolta, di un incendio doloso, la paura che gli schiavi potessero appiccare il fuoco. E poi si vede anche che una delle responsabilità di queste ronde fosse quella di una punizione corporale immediata, non c’è un regolare processo e non si parla di cosa i proprietari bianchi fossero autorizzati a fare stando alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, come invece ci si aspetterà in seguito. Quindi, sia la sorveglianza, la delega di tutti gli uomini bianchi a essere degli agenti della polizia (in questo caso, ronde per gli schiavi), che la facoltà di dispensare punizioni corporali sulla scena, sono entrambi elementi che troviamo incorporati sin dall’inizio.

Le punizioni erano rapide, indiscriminate e dure. Ne parla anche Solomon Northup, la cui storia è stata raccontata nel film 12 anni schiavo, e che prima di essere rapito e venduto nel mercato degli schiavi al Sud, era una persona libera e viveva a New York. Nelle sue memorie, a proposito della slave patrols, dice che questi sorveglianti, il cui compito era quello di catturare e frustare ogni schiavo che trovano lontano dalla piantagione, si muovevano a cavallo, avevano un capitano armato al comando ed erano accompagnati da cani. Nel caso si fossero trovati a sorprendere un nero senza un permesso oltre i confini della proprietà del suo padrone, avevano il diritto, per legge, o per consenso generale, di infliggergli gli dei castighi a loro discrezione, anche di sparargli se questo avesse tentato di scappare. Poi racconta di uno schiavo che trovatosi di fronte una di queste compagnie, era scappato sperando di riuscire a raggiungere la sua capanna prima che lo raggiungessero, ma uno dei loro cani, un grosso e famelico cane da caccia, lo ha acchiappato per la gamba e lo ha tenuto serrato fino a quando sono arrivati i sorveglianti e lo hanno frustato severamente.

Le punizioni erano rapide, indiscriminate e dure

Abdelfatah: È terrificante. E da come descrivi questa specie di sistema di ronde per gli schiavi, quello che colpisce è il fatto che avevano di fatti mobilitato, come hai detto, non solo i proprietari terrieri, gente che possedeva schiavi, ma anche gente che di schiavi non ne aveva. Questo dava, agli uomini, e probabilmente anche anche alle donne di questa società, un senso di superiorità rispetto a questa classe di persone che erano tenuti a sorvegliare.

Questo dava un senso di superiorità rispetto a questa classe di persone che erano tenuti a sorvegliare

Mohammad: Sì, assolutamente, era così. Se ci pensiamo, era una società profondamente iniqua, e gli Stati Uniti sono invece stati fondati come una delle società più egualitarie del mondo. La nozione di iniquità per i coloni era tutt’altro che un’astrazione, e di certo la situazione rimase tale anche nel nuovo periodo, dopo che la Costituzione fu approvata, nonostante le nobili dichiarazioni di quest’ultima sul fatto che tutti gli uomini sono stati creati uguali. Quindi al momento in cui nascono gli Stati Uniti d’America, lo schiavismo già da duecento anni funzionava come una forma di assicurazione sociale contro l’insurrezione, contro il dissenso e le potenziali ribellioni politiche della maggioranza di uomini bianchi, ovvero di chi non aveva terra, non aveva schiavi e viveva una vita precaria: condividevano questo ruolo insieme ai principali proprietari di piantagioni, ed era un modo per costruire la comunità intorno all'idea di proteggere i bianchi dai neri schiavizzati.

Arablouei: Le slave patrols continuarono ad esistere negli stati del Sud fino a quando i Confederati non si arresero e nel 1865 misero fine alla loro ribellione. Ma questo non significò la fine della sorveglianza violenta sui novelli ex schiavi. Infatti nel giro di mesi dalla fine della Guerra Civile, gli stati del Sud incominciarono ad approvare leggi che poi vennero chiamate Black Codes (Codici neri, NdT).

Abdelfatah: Queste leggi permettevano ai bianchi di continuare a controllare molti aspetti della vita dei neri, e il motivo per cui nacquero fu soprattutto quello di riuscire a sfruttare una scappatoia offerta dal XIII emendamento della Costituzione, ovvero la legge ufficialmente approvata nel 1865 per porre fine alla schiavitù in America.

Mohammad: Una delle espressioni più potenti di quanto la sorveglianza e la punizione avessero un ruolo importante anche nella stessa concezione della fine della schiavitù, è che il XIII emendamento elimina sì la schiavitù, ma la ammette come punizione per un crimine. Quindi in un certo senso si può dire che il genio degli ex stati Confederati fu quello di dire: beh, se per farli tornare a essere schiavi tutto quello che serve è farli diventare dei criminali, allora questo è quello che faremo. E questo è esattamente quello che i Black Codes si proponevano di fare: criminalizzare a tutti gli effetti qualsiasi forma di libertà degli afroamericani, la loro mobilità, il potere politico, quello economico… l’unica cosa che non veniva criminalizzata era il diritto di lavorare per un bianco e di farlo alle sue condizioni. [1]

Abdelfatah: Quindi, cosa succede alle forze di polizia, come cambiano con l'emancipazione degli schiavi?

Mohammad: Per questo sistema di controllo sui movimenti dei neri c’era bisogno di costituire un genere simile di forze dell’ordine armate o comunque in potere. Da una parte, tra i tardi anni ’60 e gli anni ’70 dell’Ottocento, si sviluppava un rudimentale sistema di polizia formale e burocratico. Le prigioni vengono riprogettate o ampliate, e si incominciano a costruire prigioni/piantagioni. Lo sottolineo perché le infrastrutture della giustizia penale del Sud erano piuttosto deboli, e la situazione rimase comunque molto diversa rispetto agli stati del Nord: qui non c’era una forza di polizia professionale e ufficiale come invece già esisteva a Boston, a New York o a Philadelphia, vecchie città coloniali che adesso, negli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento, erano essenzialmente dei luoghi già industriali, moderni e rigogliosi. E quindi cosa fa il Sud? Beh, al Sud i governatori danno ai gruppi di vigilanti la maggior parte del lavoro quotidiano di polizia e di vigilanza sui neri, ed è da questa esigenza che nel 1866 nasce il Ku Klux Klan, a Pulaski, nel Tennessee.

Il Klan ha molto successo ed è dominante, come le slave patrols è formato da uomini tra i 20 e i 40 anni, nel caso del Klan ve ne sono anche di più anziani. Molti storici hanno fatto notare come anche il Klan avesse lo stesso tipo di costituzione ibrida che attraversava tutti i livelli della popolazione, proprietari terrieri, piccoli commercianti, alcune élite politiche (più o meno direttamente coinvolte o complici dei loro attacchi). E questa gente si è presa il compito di terrorizzare, vigilare, sorvegliare e controllare le persone di colore. I procuratori generali, nelle loro lettere a Washington D.C., affermano praticamente che lì al Sud non c’è niente che somigli alla giustizia costituzionale, ma ci sono “Le Corti del Klan:” il sistema della giustizia al Sud è completamente dominato dal Klan.

Arablouei: La brutalità scatenata dai terroristi del Ku Klux Klan fu così orribile che il Governo Federale ha dovuto occupare gli ex stati Confederati con delle truppe, così da schiacciare il Klan e garantire la sicurezza dei cittadini neri. Il Congresso aveva anche approvato il XIV e il XV emendamento per assicurare uguali diritti, compreso quello elettorale, ai cittadini neri. E anche se queste misure hanno creato una generazione di relativa pace, le cose sarebbero cambiate presto perché gli stati del Sud si sono adattati alla situazione mettendo a punto le leggi Jim Crow.

Prima dell’inizio del XX secolo, il Ku Klux Klan è di nuovo emerso per imporre il controllo sui cittadini neri del Sud. E questo spinse milioni di cittadini neri a scappare nelle città del Nord, in quella che sarebbe passata alla storia come Grande Migrazione. E anche se queste città come Philadelphia, New York, Chicago e Baltimora rappresentavano la speranza per una vita libera dal terrore, pochissimi di questi migranti sapevano era che dalla metà dell’Ottocento, le città del Nord in via di sviluppo, stavano sviluppando le loro forze di polizia: secondo alcuni, ciò che i neri hanno subito nelle mani della polizia delle città progressiste del Nord, rivaleggiava con il terrore subito al Sud.

Ciò che i neri hanno subito nelle mani della polizia delle città progressiste del Nord, rivaleggiava con il terrore subito al Sud

Abdelfatah: La storia della vigilanza negli Stati Uniti infatti incomincia dall’altra parte dell’oceano, a Londra. Nel 1829 il parlamento britannico ha approvato il Metropolitan Police Act, la legge che ha sancito la prima forza di polizia moderna, il cui compito era quello di supervisionare la vita entro i confini della città di Londra.

Ciò che la rendeva diversa da altri tipi di forze dell’ordine già esistenti, pattuglie, milizie locali, gruppi di sorveglianza di quartiere, erano tre fattori principali: l’enfasi sulla prevenzione del crimine e sul controllo delle comunità; la strategia di una forte visibilità nella vita quotidiana (attraverso il pattugliamento delle strade); una struttura militare, con divise, designazione di diversi gradi e codici di comportamento dentro e fuori servizio.

Arablouei: E di lì a poco queste idee di polizia cominciarono a migrare nelle città dell’America del Nord.

Mohammad: E parte del contesto in cui si sviluppa la prima moderna polizia, prima della fine degli anni ’40 dell’Ottocento, era il fatto che la popolazione di immigrati europei, in particolar modo gli irlandesi, creavano una specie di ansia sociale, c’era stata una reazione xenofoba, nativista, razzista… qualcosa a cui gli afroamericani del Sud erano certamente abituati con le slave patrols, e a cui erano abituati anche i neri al Nord, prima della guerra, in termini di sorveglianza e controllo. Diversamente dalle slave patrols, le persone che formavano i primi corpi di polizia, erano uomini delle classi più basse, spesso americani di prima generazione. All’inizio si poneva infatti molta enfasi sulle persone la cui condizione sociale fosse di un pelo migliore rispetto a quella degli uomini su cui avrebbero dovuto esercitare la loro attività di polizia. Quindi gli anglosassoni concentrano l’attività di polizia sugli irlandesi, o i tedeschi sugli irlandesi, gli irlandesi sui polacchi. I neri sono lì. Vengono sorvegliati da tutti, ma sono pochi in numero. E quindi c’è in atto questa dinamica in cui gli agenti di polizia sono un fattore critico nello stabilirsi delle gerarchie sociali, anche tra bianchi.

Con le prime forze di polizia entrava anche in gioco il controllo politico, perché spesso i poliziotti, non solo erano il braccio forte a protezione di diverse attività clandestine, ma erano anche vicini a diverse forme di corruzione manifesta. Ed erano anche quelli che portavano i voti della gente. Erano i soldati di fanteria di macchine politiche come la Tammany Hall di New York, una macchina politica di Democratici che dominava New York da più di un secolo e che prima della metà del XIX secolo aveva esteso la sua influenza fino alla polizia locale di New York. Quindi alla fine i poliziotti non sono troppo diversi da una gang. Il fatto che sorvegliassero la comunità spesso non aveva assolutamente niente a che fare con l’attività criminale e aveva invece moltissimo a che fare con il controllo dei gruppi razziali, dei nemici politici, con la corruzione di questo stesso controllo, e cose del genere. E non c’era modo di distinguere la sostanza dell’attività di polizia dal caos del contesto in cui si è sviluppata.

Abdelfatah: Sì, è un parallelismo molto interessante questo tra la creazione delle slave patrols per il controllo di un certo numero di persone, e poi al Nord, più o meno nello stesso periodo, la messa in atto della stessa etica. Giusto? Creare una forza, un gruppo che può supervisionare un altro gruppo che è percepito come problematico. Ti sembra un buon parallelismo oppure è un paragone troppo semplicistico?

Mohammad: No, è esattamente il parallelismo che bisogna fare. Se lo guardiamo dalla luna, la visione d’insieme che vediamo è che la funzione dei poliziotti è il controllo dei lavoratori essenziali nei primi secoli di questo Paese. Le persone che stanno al livello più basso della gerarchia dovevano essere sorvegliate in un modo che non fosse solo quello di rispedirle fuori dal Paese. Questi immigrati erano qui perché dovevano costruire le infrastrutture di queste città moderne, proprio allo stesso modo di come gli schiavi dovevano portare avanti l’economia attraverso la produzione del cotone, e dello zucchero e del tabacco. Quindi quello che faceva la polizia era accertarsi che la libertà di questi esclusi, al di fuori del lavoro, fosse minima. Gli agenti di polizia sono nati per sorvegliare i poveri, chiunque questi fossero.

Gli agenti di polizia sono nati per sorvegliare i poveri, chiunque questi fossero

La prima commissione sulle brutalità della polizia negli Stati Uniti è del 1894, ed è la prima grande investigazione sulla violenza al suo interno. Vengono emessi trecento mandati di comparizione, chiamati seicento testimoni, prodotte diecimila pagine di testimonianza. E quello che si scopre è che questi agenti picchiano le persone allo stesso modo di come al Sud si dispensano punizioni corporali, quando qualche immigrato entra nel quartiere sbagliato, o se non esegue gli ordini di qualche capitano politico che crede gli irlandesi debbano supportare un certo candidato, e con questa indagine si stabilisce la prova schiacciante di violenza e corruzione sistematiche. E per descrivere quella che oggi chiamiamo violenza della polizia, usano il termine third grade [terzo grado]. Alla fine ci saranno 45 capi d’accusa per aggressione di secondo grado. È un momento degno di nota nella polizia delle origini. Pensate che siamo solo a una generazione e mezza, al massimo a due generazioni dalla fondazione della polizia, e abbiamo già delle prove schiaccianti che ci siano delle mancanze fatali nel suo modo di funzionare nella società.

Un’altra delle cose che succedono durante questo periodo è che molti di questi immigrati europei si stanno organizzando come lavoratori attivisti, sfidano le diseguaglianze della Gilded Age e fanno pressioni sui leader locali per stabilire le protezioni minime nei posti di lavoro pericolosi. E anche con tutto quello che avviene tra questi gruppi, si sviluppa questa ondata di attivismo proletario. Molte persone, guardando a questo momento notano come il giorno d’oggi non sia tanto diverso da questo tempo dei baroni ladroni (Robber Barons, NdT). Ci sono scioperanti che sfidano le compagnie. E ancora ci sono operai, minatori e altri operai industriali. E la polizia inizia a formare quelle che vennero chiamate Red Squads (Squadre Rosse, NdT) per infiltrarsi nelle organizzazioni operaie, considerate anche anarchiche e socialiste, e che in generale stanno cercando di sfidare leader politici attraverso diverse espressioni di libertà civili, proteste e manifestazioni.

Arablouei: Quindi alla fine stanno difendendo le intenzioni dell’industria contro questi lavoratori che fanno pressione per avere più diritti.

Mohammad: Esatto.

Arablouei: In questo contesto, quando verso la fine del XIX e l’inizio del XX secolo i cittadini del Sud iniziano a scappare dalla loro situazione di violenza orribile, e si trovano in città come Chicago, New York, Philadelphia e Boston, a cosa si trovano di fronte? Immagino che vadano lì con la speranza di trovare delle condizioni di vita più eque. Cosa incontrano? E che ruolo ha la polizia in questo?

Mohammad: Beh, fino al secondo e al terzo decennio del XX secolo, cioè fino al periodo della Grande Migrazione che inizia negli anni ’10 del Novecento, con la Prima Guerra Mondiale, i neri sono meno del cinque percento della popolazione in queste città. E quindi si inizia a vedere la moltiplicazione di questi numeri, dal due, al quattro, all’otto percento. I poliziotti accolgono gli afroamericani allo stesso modo di come li ricevono i bianchi dei loro quartieri e le persone del loro stesso ceto sociale: con disprezzo e ostilità.

Adesso, in un certo senso, gli afroamericani si ritrovano di nuovo a creare delle comunità nere segregate, per via delle leggi di segregazione che impongono restrizioni alla loro mobilità. Non possono comprare case nei quartieri in cui vorrebbero vivere, e per tenerli fuori li si sottopone a diverse forme di violenza. E in tutti questi casi la segregazione è fatta rispettare dai cittadini bianchi che si avvalgono dell’assistenza e del supporto della polizia. Quando per esempio un bianco tira una molotov dentro la casa di un nuovo residente nero, in una strada che in precedenza è stata tutta irlandese o tutta polacca o tutta tedesca, i poliziotti arrivano e prendono le parti del gruppo di bianchi, e alla fine arrestano la famiglia di neri. Questo succede di frequente, e sono situazioni che continuano a ripetersi. Al Nord, sin dall’inizio la polizia si occupa dell'applicazione delle leggi razziali e del mantenimento della supremazia bianca.

Al nord, sin dall’inizio quello che la polizia sorveglia sono le norme razziali della supremazia bianca

Quando è finita la guerra, c’è il problema dei veterani che tornano e la nuova presenza di immigrati afroamericani in queste città, e di un’economia che non ha ancora ben capito come risolvere le pressioni dei gruppi in competizione, specialmente con decenni di agitazioni proletarie in atto. E mentre nei primi giorni della grande migrazione c’era stata una maggiore commistione sociale, c’erano dei momenti in cui si condivideva l’interesse di organizzarsi nell’attivismo proletario, ora i bianchi si sentono minacciati dalla competizione dei migranti afroamericani, la tendenza è quella di combatterli e di esercitare violenza nei loro confronti. E gli afroamericani, ricordiamolo, non avevano accesso alla protezione della polizia.

E quindi c'era una tensione incredibile in questo momento che sarebbe poi culminata in una serie di scontri razziali nel Paese, almeno una ventina. Uno scontro razziale essenzialmente era un attacco di bianchi a dei neri innocenti, i neri si rivolgevano alla polizia per tentare di ricevere aiuto, la polizia si rifiutava di aiutare, oppure addirittura disarmava i neri (che si erano armati per difendersi) oppure, direttamente, li attaccava. Così queste conflagrazioni, questi scontri di razza come li chiamavano allora (race riots, NdT) ebbero luogo in moltissime città del Nord, prima a East St. Louis, dove c’è stato il primo grande riot nel 1917, e poi anche a Philadelphia. E poi c’è stato lo scontro più grosso che è avvenuto a Chicago nel 1919, e ha avuto inizio così: un ragazzo stava nuotando nel lago Michigan in una spiaggia segregata. Ha oltrepassato il confine acqueo del colore (pensate a quanto assurda sia una cosa del genere) e i bagnanti bianchi lo hanno lapidato a morte.

Abdelfatah: Wow.

Mohammad: Quando i bagnanti neri hanno denunciato l’accaduto a un agente e gli hanno chiesto di arrestare gli aggressori, l’agente si è rifiutato di intervenire. E i bagnanti bianchi si offesero per l’agitazione e lo sdegno che i neri stavano esprimendo, così tornarono alle loro comunità, si armarono per attaccare la comunità nera e punirla per aver osato chiedere giustizia per uno dei loro. E questo portò a diversi giorni di scontri, di violenza bianca e di autodifesa nera. Sono morte diverse dozzine di persone, ci furono più di cinquecento feriti, la maggioranza dei quali afroamericani. Ed era afroamericana anche la quantità impressionante di persone arrestate dalla polizia, proprio quelle che, basandosi su qualsiasi resoconto, erano inconfutabilmente le vittime dell’intero episodio.

Abdelfatah: È terrificante pensarci. Immagino quanto debba essere stato scioccante per queste persone che sono arrivate qui al Nord e si sono trovate di fronte a questa forza di polizia che per molti versi era tanto brutale quanto quella che hanno affrontato al Sud.

Mohammad: Sì, è stato scioccante. È stato scioccante ma comunque si bilanciava con il fatto che non si trovavano più di fronte alle umiliazioni quotidiane della supremazia bianca del Sud, e avevano dei lavori che venivano pagati di più, e di questo ne parlano. I ricercatori si accorgono del fatto che riconoscono la differenza, per quanto sfumata e minima, tra la vita al Sud e la vita nelle grandi città del Nord: non è affatto quello che si aspettavano, ma è meglio. È chiaramente meglio. Quello che non avevano previsto è che sarebbero stati soggetti alla deliberata violazione della Costituzione da parte delle forze dell’ordine.

E questo rapporto, quello tra i loro presunti diritti al Nord e ciò da cui erano scappati al Sud, diventa una contraddizione talmente lampante che ne cominciano a scrivere. Iniziano ad andare a scuola per studiarlo. C’è persino un procuratore dell’Illinois, un nero che è disgustato dal razzismo che vede tra i poliziotti bianchi, e che scrive come l’intera macchina della giustizia sia nelle mani degli uomini bianchi: non riesce a far quadrare lo scarto che c’è tra ciò che è predicato dalla legge, ovvero i diritti civili di base che sono sui libri di stato dell’Illinois del tempo, e il razzismo e la discriminazione che vede tra i suoi pari e dentro il sistema stesso.

L’accademico di colore più importante del periodo, W.E.B. Du Bois, scrive per la rivista del NAACP (National Association for the Advancement of Colored People). Tiene quello che può essere definito un registro della polizia, nel quale sistematicamente vengono annotati nel dettaglio tutti gli esempi di violenza della polizia contro gli afroamericani che avvengono in tutto il Paese. La National Urban League, l’altra organizzazione per i diritti umani esistente al tempo, incomincia a fare delle inchieste, e per cercare di capire chi viene arrestato e per quale motivo, fa delle ricerche attente nelle municipalità del Paese. Ed è schiacciante il fatto che l'attività della polizia negli anni ’20 fondamentalmente consista nell’attività di fermo e perquisizione. Arrestano gente con accuse che non sono nemmeno crimini, come per esempio quella di essere una persona sospetta.

E nel 1924, Anna Thompson, una ricercatrice di colore alla National Urban League, ha osservato che sebbene la popolazione nera fosse al tempo solo il 7,4% degli abitanti di Philadelphia, costituiva il 25% degli arresti. E soprattutto ha rilevato come si trattasse di persone palesemente innocenti, che non avevano nessun’altra accusa se non quella di essere delle persone sospette. Li chiamava “arresti superflui”. Ha fatto esempi di gente che era stata arrestata perché era sui gradini di casa sua.

Se ne occuparono anche altri ricercatori, e arrivarono alla stessa conclusione che queste città avevano un grossissimo problema di polizia.

E non era solo la gente di colore ad accorgersene. Un bianco del Sud, che faceva parte di una commissione interrazziale, nel 1925 ha pubblicato un rapporto in cui si può leggere: “Il cittadino che rispetta la legge non può sopportare questo arresto tirannico delle persone di colore. Non lo si può scusare in alcun modo se non con l’ignoranza e l’inefficienza degli agenti di polizia che sono coinvolti in queste pratiche, e con l’indifferenza dei cittadini che permettono a questi agenti di mantenere il loro posto di lavoro.”

Si trattava di un problema nazionale, ma era particolarmente sentito perché molte persone capivano che il Sud era un posto diverso per quanto riguardava gli uomini di colore, era una specie di fascismo sviluppatosi internamente. Ma al Nord? Quel Nord che, innamorato della libertà, aveva mandato i suoi figli e le sue figlie a combattere contro la Confederazione sudista per porre fine alla schiavitù? Questo era quello che emergeva tra gli anni ’20 e ’30, e questi dati hanno portato a individuare nella violenza della polizia quel problema che una volta risolto avrebbe potuto aiutare le città del Nord a trasformare in realtà i diritti civili e l’uguaglianza.

Abdelfatah: Il proibizionismo è un periodo strano della storia Americana. Dal 1920 al 1933, la vendita e la distribuzione di alcol era tecnicamente proibita. Ma quasi subito questo divieto ha dato vita a un mondo clandestino di contrabbando illegale di alcol, spacci clandestini, contrabbandieri, criminali come Al Capone. Era praticamente il Caos.

Arablouei: La maggior parte delle volte i poliziotti collaboravano con le organizzazioni criminali. Si trattava di corruzione a un altro livello. E questa situazione ha creato opportunità inaspettate per molti immigrati che fino a questo punto erano stati presi di mira dalla polizia. Ci racconti come anche questo contesto abbia contribuito a far sì che i cittadini neri diventassero il nemico numero uno?

Mohammad: Adesso a disposizione c’erano americani di prima generazione, irlandesi, italiani, tedeschi di seconda generazione, sai, essenzialmente chiunque fosse giovane e disoccupato, o parte di una classe operaia che guadagnava poco: i bassifondi di immigrati bianchi erano entrati nel gioco del contrabbando. E gli agenti di polizia ci guadagnavano in bustarelle. Capitava che nello stesso nucleo familiare uno fosse poliziotto, un altro contrabbandiere e che un altro ancora lavorasse per le scommesse clandestine. Era tutto mischiato. I giudici erano corrotti. Il livello di corruzione era così alto che per la prima volta si incominciarono a vedere azioni federali a livello locale.

Una delle conseguenze involontarie del proibizionismo è dunque questo dispiegarsi massiccio di attività illegali, che comunque non aveva molto a che fare con le comunità di neri, per quanto al Sud questi venissero accusati per il problema di alcol e droghe. Ma, a livello nazionale, c’è un’intera generazione di giovani bianchi disposta a trasgredire la legge, e a fare sparatorie nel bel mezzo della strada, e l’impossibilità di sgominarli dipendeva dal fatto che i poliziotti erano in combutta, prendevano bustarelle, ed erano anche loro degli sgherri. E certo c’erano degli agenti per bene che facevano del loro meglio, ma in linea di massima il sistema era così viziato e corrotto alla radice che stava per guastarsi del tutto.

Abdelfatah: A questo punto August Vollmer, capo della polizia di Berkeley, in California, decise di affrontare in modo determinato questi problemi, e ha lavorato per rendere la polizia più professionale. Ha creato il primo sistema centralizzato di registri della polizia. È stato il primo a creare una forza motorizzata, il primo a usare la macchina della verità. E ritenendo che fosse la chiave per migliorare la loro situazione sociale, si impegnò affinché gli agenti di polizia avessero dei livelli di istruzione più alti.

Mohammad: Sì, da qui venne fuori il primo processo di professionalizzazione a livello nazionale. Stato dopo stato, i legislatori hanno affidato ad apposite commissioni per il crimine il compito di studiare sistematicamente le scappatoie legali che impedivano di perseguire legalmente i gangster e i banditi moderni (come loro stessi li definivano). Sono state approvate una serie di leggi che aggravavano le pene per certi crimini. È stato dato più potere ai poliziotti e si è anche iniziato ad attrezzarli con vari strumenti, come per esempio le macchine. È stato interessante guardare a quel periodo e pensare a quanto nefando potesse essere un criminale con la macchina negli anni ’20, quando la maggior parte dei poliziotti non aveva automobili. Ma una delle cose che succede con questo movimento di professionalizzazione è che cadono tutte le precedenti distinzioni significative fra popolazioni di immigrati e si inizia a considerarli come una popolazione uniforme di bianchi. Alla fine il proibizionismo cede il passo a un periodo di riabilitazione e di compassione, perché la lezione di base del proibizionismo, del proibizionismo dell’alcol, è che non si può risolvere il problema semplicemente con la polizia, e che non si possono rinchiudere tutti. Quindi chi ne paga le conseguenze? Gli immigrati neri.

Questo emerge chiaramente anche se si guarda a come il governo federale abbia proseguito l’opera intrapresa nei singoli stati. George Wickersham, il Procuratore Generale, nel 1931 forma la prima commissione nazionale destinata a studiare ogni aspetto del sistema di giustizia penale. È uno studio enorme nel quale si fanno proposte su moltissimi elementi, ma una delle cose principali di cui si cerca di occuparsi è questo problema della violenza della polizia e delle sue torture. Hanno un rapporto speciale che tratta il cosiddetto “terzo grado.” Alcuni neri attivisti leggono il rapporto e si accorgono che qualcuno ha letteralmente mentito ed ha parlato di una riduzione della brutalità della polizia nei confronti degli afroamericani.

Allora gli afroamericani si sono aspramente lamentati delle omissioni delle violenze nei confronti della loro comunità. Si chiesero che ne era stato di quel malmenamento di una anziana signora malata, e “della tortura inflitta a un uomo a cui era stato detto che i neri vanno trattati come i cani, che è stato strozzato e, con le membra torte, appeso sottosopra,” e ancora si chiesero perché non si parlava della retata di neri arrestati davanti la porta di casa loro, picchiati e in certi casi mandati a casa senza un’udienza dal magistrato. C’erano altri cinquecento casi anche peggiori di questi, ed erano stati ignorati.

Ecco come il proibizionismo e questo periodo di riforma della giustizia penale, iniziata a livello statale e proseguita a livello federale, hanno portato alla professionalizzazione della polizia. E come tutto questo ha posto fine all’era del panico morale generato dalle diverse etnie bianche, e ha fondamentalmente consolidato tutti questi gruppi precedenti in un’unica razza bianca, ha stabilito gli Uniform Crime Reports, che sono la fonte principale sui dati trimestrali e annuali sulle statistiche degli arresti, raccolti da tutte le stazioni di polizia del Paese. Ma da questo periodo la storia del razzismo nei confronti delle persone di colore è stata lasciata fuori, quindi l’intera idea di professionalizzazione era priva di qualsiasi attenzione nei confronti dell’antirazzismo. In altre parole hanno cercato di aggiustare quello che potevano per tutti gli altri e hanno lasciato i neri fuori da questa storia.

Abdelfatah: Il modo in cui me lo immagino è una specie di situazione a due ramificazioni. C’è la professionalizzazione nel senso del voler fondare dal punto di vista logistico e tecnologico questa forza di polizia come la conosciamo noi oggi. Ma poi c’è anche il secondo aspetto, quello di far partecipare la gente, o semplicemente di far diventare normale parte dell’edificio sociale l’idea di avere una forza di polizia, di nuovo, nel modo in cui la concepiamo oggi: una cosa che immagino, all’indomani del proibizionismo, non fosse così scontata o comunque non fosse ancora acquisita.

Fontanella pubblica

Mohammad: Beh, quando si abroga il proibizionismo, cosa che succede poco dopo la commissione Wickersham, vediamo anche un cambiamento radicale nel fatto che i bianchi vengano adesso definiti come vittime economiche, come vittime di classe degli eccessi del capitalismo corroborato dal New Deal. E di fatto questo significa che la polizia si professionalizza nel modo di stabilire più protezione per la classe di lavoratori bianchi che adesso è principalmente composta dalla prima e dalla seconda generazione di bianchi che erano nati da immigrati stranieri. E quindi, adesso, persone i cui antenati avevano i cognomi O’Shea, o Blatten, o gli italo-americani di nome Giuliani, stanno diventando parte della vera America. Questi sono lavoratori indefessi, guardiani della pace in questo Paese.

E quindi da una parte quello che la professionalizzazione sta consolidando è una forma di polizia più burocratica, molto più svincolata dal controllo delle macchine politiche e non più connessa a un altro tipo di violenza malavitosa (come quando l’unica differenza tra gli agenti e i criminali pareva essere il fatto che i primi avessero un distintivo). Dall’altra vede il consolidarsi in un’unica identità bianca di gruppi che prima erano stigmatizzati. E quello che implica lasciare i neri fuori da questo processo è che questa identità bianca consolidata, non solo focalizza la sua attenzione nel difendersi dai neri, ma può anche usare lo stigma della criminalità allo stesso modo di come avevano fatto al sud per giustificare quella discriminazione, per giustificare quella segregazione, per dire “non siamo noi ad essere razzisti, sono loro che sono dei criminali.” [2]

È chiaro che i poliziotti sono la rappresentazione più visibile dello Stato nella vita di molte persone, specialmente in quella dei neri. Per esempio nel 1935 uno dei principali sociologi del periodo, Kelly Miller, pubblica un'osservazione molto commovente su ciò che gli agenti di polizia rappresentano per la comunità nera. Dice che troppo spesso il manganello del poliziotto è l'unico strumento della legge con cui il nero entra in contatto e che questo lo mette a rischio di avere un'attitudine di sfiducia e di risentimento nei confronti delle forze dell’ordine e di tutte le pubbliche autorità. Nessuno può dubitare del fatto che una attitudine gentile non ci metterebbe molto a convincere il nero del valore e dei vantaggi di una vita di obbedienza alla legge e di buona cittadinanza. In pratica quello che Miller osserva qui è la responsabilità diretta dei poliziotti, del loro continuo ricordare ai neri quanto poco le loro vite valgano all'interno della società.

I poliziotti sono la rappresentazione più visibile dello Stato nella vita di molte persone

E l'ironia di questa professionalizzazione della polizia, che comincia negli anni ’30 e che continuerà per tutto il XX secolo giungendo fino al XXI secolo, è che parte della sua scienza inizia ad attingere alle statistiche sul crimine e alle ricerche sociologiche sulla tendenza innata o culturale dei neri alla criminalità, a da qui inizia un processo per cui la professionalizzazione e la ricerca accademica saranno atte a legittimare le visioni razziste dei neri come una razza di criminali. [3]

Arablouei: Questa per me è stata una delle cose più affascinanti del tuo libro, il modo in cui la scienza e la cultura hanno profondamente rinforzato queste nozioni di identificazione dei cittadini neri con la criminalità. Considerando le radici salde di questa cultura, e considerando quello che è successo con George Floyd, la risposta del governo e dei dipartimenti di polizia locali, eccetera, che tipo di speranza… forse “speranza” non è proprio la parola giusta… che tipo di visione del futuro hai di fronte a un cambiamento di tendenza come questo? Di fronte alla profondità di questa storia, qual è il tuo sentimento su come la nostra società potrebbe uscire da una situazione del genere?

Mohammad: Allora, ho due risposte… Una è la voce di qualcuno che ha assistito nel corso dei decenni al dispiegarsi di questo percorso, quello che di solito per noi è offerto dal beneficio di conoscere la Storia e poterci riflettere su, lui lo ha vissuto. Kenneth Clark era uno psicologo sociale il cui famoso studio sulle bambole ha avuto un ruolo diretto in una ricerca che dimostrava quanto la segregazione avesse contribuito a sviluppare un senso di inferiorità nei bambini afroamericani, questi infatti preferivano le bambole bianche alle bambole che gli somigliavano. E questa ricerca, che è stata condotta negli anni ’40, ha contribuito direttamente alle prove presentate nel caso Brown contro Board of Education, che alla fine nel 1954 ha posto fine alla segregazione legale.

Kenneth Clark per il fatto di essere un ricercatore sociale così rispettato, è stato chiamato dalla Kernel Commission (1967), che si stava occupando di una serie di scontri che avevano avuto luogo nel corso degli anni ’60, e questo è parte del suo intervento: “Ho letto il rapporto degli scontri del 1919 a Chicago, ed è come se stessi leggendo il rapporto del comitato investigativo degli scontri di Harlem del 1943, e il rapporto della McCone Commission sugli scontri di Watt del 1956. Devo dirvi con franchezza, cari membri della commissione, che sembra una specie di Alice nel paese delle meraviglie, con lo stesso film che continua incessantemente a ripetersi, con le stesse analisi, gli stessi suggerimenti e la stessa mancanza di azione.”

Quindi Kenneth Clark, guardando alla prima autorevole commissione di Chicago, che pone le basi del problema fondamentale del razzismo della polizia in America (un’estensione del razzismo dei cittadini bianchi), si rende conto che più di mezzo secolo dopo si stava continuando ad avere la stessa conversazione.

Questo mi fa capire con chiarezza che per risolvere il problema non basti semplicemente aspirare a denunciarlo, perché il problema si conosce da un secolo: per un secolo sono state presentate le prove, le indicazioni per il cambiamento, per far sì che i poliziotti siano chiamati a rendere conto, per poter perseguire i loro comportamenti criminali, per stabilire delle commissioni indipendenti di cittadini che possano condurre delle indagini separate. E ancora le investigazioni del Dipartimento di Giustizia come quella di Ferguson del 2015 o quella di Chicago nel 2017.

È un secolo che la stessa storia si ripete. Mi sembra che una delle cose possibili in questo momento sia riconoscere che gli agenti di polizia e gli organi di polizia non sono capaci di autogovernarsi, non sono mai stati in grado di farlo e non hanno mai avuto la vera esigenza di farlo. Gli stimoli non sono mai stati abbastanza forti.

C’è una domanda da farsi all’indomani della morte di George Floyd, e credo che il numero di bianchi che adesso si stanno facendo questa domanda sia il più alto che ho mai visto in vita mia, e la domanda è: i bianchi in America, vogliono ancora che la polizia protegga i loro interessi a discapito dei diritti, della dignità e delle vite di neri, indigeni e asiatici in questo Paese?

Quando penso a Amy Cooper e al fatto che lei si riferisca alla polizia come la sua “agenzia di protezione personale” immagino che lei non sia cosciente del fatto che ci sta dicendo qualcosa che abbiamo bisogno di sentirci dire. A parte il gesto ignobile di chiamare la polizia per un birdwatcher afroamericano e di usare come arma il potenziale di quella che è stata una tendenza presente lungo tutto il XX secolo, ovvero il falso allarme di stupro (che ha portato troppi uomini innocenti al linciaggio e intere comunità ad essere rase al suolo dalle fiamme): a parte questo, ci dice qualcosa sul mercato politico di questo Paese che premia la paura bianca e la protezione degli spazi bianchi anche quando di per sé è una cosa criminale.

Non si tratta solo di Donald Trump e dei suprematisti bianchi. C’è una linea che attraversa la storia di cui abbiamo parlato oggi, che passa attraverso la più grande legge contro il crimine della storia degli Stati Uniti, quella approvata da un presidente Democratico negli anni ’90 [4] e arriva fino a una newyorkese che si definisce progressista e liberale che fa passeggiare il suo cocker spaniel a Central Park: sono queste le lezioni che devono essere pienamente tenute in considerazione, e serve che i bianchi definiscano un diverso mercato politico all’interno del quale si premia un altro tipo di paese.

Note: [1] A questo proposito in un’altra intervista, K. G. Muhammad osserva come questa incarcerazione di massa abbia influito al rinsaldarsi di posizioni sempre più razziste anche al Nord, dove basandosi sul censo del 1890, i bianchi attribuivano questo altissimo numero di incarcerazioni all’idea di una tendenza innata alla criminalità e al fatto che i neri non fossero in grado di gestire la libertà ottenuta. (https://www.vox.com/2020/6/6/21280643/police-brutality-violence-protests-racism-khalil-muhammad).

[2] Consigliamo la conferenza "How Numbers Lie: Intersectional Violence and the Quantification of Race”, data alla Radcliffe Harward University nel 2016 (https://youtu.be/br0ZYTGuW9M). In questo periodo si sviluppano delle tendenze progressiste nel trattare la delinquenza delle classi povere e degli immigrati bianchi: i numeri sulla loro delinquenza vengono visti come il riflesso dell’iniquità di classe, di difficoltà economiche e sociali che andavano migliorate. Gli irlandesi e gli italiani, di solito colpevolizzati per i loro crimini tipici, ovvero violenza e degenerazione: per il troppo uso di alcol, e scatti di ira accompagnati dall’uso del coltello (cfr. Frederich Bushee, Ethnic Factors in the Population of Boston) erano descritti in questa tendenza riabilitativa come “Americani in divenire” “Compagni passeggeri nella barca del nostro stato.” I neri invece, a quanto pare erano un’eccezione in questo quadro di tendenze progressiste. Infatti, spesso proprio le stesse persone che portavano avanti questo processo di decriminalizzazione dei bianchi, erano le stesse che si impegnano in una razionalizzazione sistematica del crimine nelle persone di colore: nel trattare “i numeri” della delinquenza nera (nonostante si fosse addirittura nel pieno delle leggi Jim Crow, e quindi i neri vivessero una situazione di profondissimo svantaggio) non si faceva il mimino accenno alle situazioni socio economiche, ma si continuava a rinsaldare (anche servendosi di argomentazioni pseudoscientifiche) la presunta correlazione tra razza e tendenza innata al crimine.

[3] Ricordiamo che da queste statistiche sono sparite le categorie degli altri immigrati europei, non si legge più di crimini commessi da irlandesi o polacchi a partire dal momento in cui l'influente criminologo Edwin Sutherland, influente criminologo, nel suo "Principle of Criminology" osserva:“Sembra che i crimini commessi dalla seconda generazione di immigrati siano dello stesso tipo di quelli di chi discende da nativi.” Parte di questa professionalizzazione implica dunque il fatto che i neri siano gli unici veri criminali di cui bisogna preoccuparsi. E se ne può sentire ancora l’eco fino a qualche anno fa, in alcune delle affermazioni dell'ex capo della polizia Bill Bratton.

[4] Violent Crime Control and Law Enforcement Act, la discutibilissima serie di leggi firmata nel 1994 da Bill Clinton (ma approvata sia da Democratici, sia da Repubblicani) col fine di risolvere il crimine inasprendo le pene, addirittura con la legge dei "Three Strikes" (dal baseball dove dopo tre colpi falliti, il battitore è eliminato) prevede l’ergastolo per chiunque commetta per più di due volte delle offese minori. La "Crime Bill" ha completamente accantonato l’idea di prevenzione del crimine e l’idea della funzione riabilitativa del carcere, e ha rovinato molte vite. Bill Clinton si è anche scusato per averla approvata (https://www.vox.com/2015/5/7/8565345/1994-crime-bill).
Tradotto da Laura Matilde Mannino, revisione di Maria Pastore, adattamento di Giacomo Alessandroni per PeaceLink. Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte (PeaceLink) e l'autore della traduzione.

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