Ricordando la strage di via D'Amelio
Il 19 luglio del 1992 stavo ancora una volta cambiando casa. A quel tempo non avevo né televisione né radio né computer (sebbene lavorassi in un settimanale che credo realizzassimo già tutto su Mac portandolo in tipografia per la stampa già fotocomposto). Seppi della strage da un notiziario telefonico che non so se ci sia ancora. Fu una mazzata. Credo che innumerevoli altre persone abbiano provato lo stesso sentimento. Il 23 maggio, neppure due mesi prima, c'era stata la strage di Capaci.
Ricordo insieme lo sconforto e il furore. Pensai, come tutti, che la mafia stava sterminando i migliori tra i nostri compagni che non eravamo stati capaci di difendere. E pensai, come tutti, che occorreva resistere. Pensai ai resistenti di Stalingrado che salvarono l'umanità dal trionfo hitleriano.
Fu Antonino Caponnetto che diede pubblica voce a quel condiviso sentire!
Dapprima con quella sua frase di sconfinato dolore, di lutto immedicabile, di disperazione abissale.
E poi con quel discorso funebre che chiamo' l'umanità intera alla lotta, quel discorso funebre che ho riletto innumerevoli volte ogni volta di nuovo piangendo di commozione.
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Qui dovrei forse dire che in quegli anni anche noi a Viterbo, un ridotto gruppo di persone amiche, eravamo impegnati a livello locale nella lotta di cui Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano le figure più rappresentative: la lotta contro il potere mafioso; e quindi contro la penetrazione mafiosa anche nell'Alto Lazio, e quindi contro il regime della corruzione e l'economia illegale del potere mafioso complici, e quindi contro il modello di sviluppo di servitù funzionale alla signoria territoriale dei poteri criminali, e quindi contro il cruciale versante finanziario di quel sistema di potere, e quindi contro la costellazione di poteri - occulti e palesi ! - e il reticolo di cointeressenze, e di subalternità, e d! i rassegnazione, che fungeva da brodo di coltura e da invaso di consenso alla pervasiva penetrazione del potere mafioso tanto nella società quanto nelle istituzioni.
E' una lotta che non abbiamo mai abbandonato, ma che nel corso degli anni si e' fatta sempre piu' difficile, fino a chiuderci da oltre vent'anni in condizioni di effettuale isolamento, tali da cancellarne quasi la memoria al livello dei mezzi d'informazione dominanti e quindi dell'opinione pubblica sempre piu' profondamente manipolata; sono cose che chi e' giovane oggi non trova agevolmente su internet, dove crede di avere a disposizione tutto cio' che c'e' da sapere, ed invece subisce incosciente e indifeso il morso e il comando dei poteri più barbari. Ma non e' di queste vicende che qui si vuol dire.
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Qui si vuol dire invece di quanto necessario sia che la memoria della strage di via D'Amelio di cui ricorre l'anniversario - e con essa! la memoria di tutte le stragi di mafia - non sia offuscata, sfigurata e tradita in una sorta di narrazione epica, di spettacolo rituale, che la falsifica e narcotizza, la respinge in un passato remoto e mitico, così occultando (e forse anche esplicitamente mirando a soffocarne comprensione e realizzazione) quali siano i compiti attuali di ogni persona di volontà buona cui la viva memoria di quella tragedia convoca ancora: grida sempre il sangue degli innocenti assassinati.
Qui si vuol dire che proseguire la lotta che fu di Falcone e Borsellino, e di chi cadde con loro, richiede innanzitutto un impegno nitido e intransigente nel presente, un impegno fondato su, e nutrito da, un'analisi concreta della situazione concreta: l'analisi adeguata e necessaria che svolge dagli anni Settanta il "Centro siciliano di documentazione" di Palermo a Giuseppe Impastato intitolato ed animato luminosamente da Umberto Santino ed Anna Puglisi: decisiva esperienza! e punto di riferimento indispensabile di ogni riflessione e d! i ogni pr! assi che alla mafia vuole concretamente opporsi.
Qui si vuol dire che fare memoria di quelle stragi significa lottare oggi contro tutti i poteri criminali e contro tutte le stragi.
Qui si vuol dire che vi e' un solo modo per ricordare onestamente, degnamente, le persone assassinate in via D'Amelio e con esse tutte le vittime del terrorismo mafioso: e questo solo modo e' proseguire la lotta contro i poteri criminali, contro il regime della corruzione, contro il modo di produzione e riproduzione sociale dei vampiri, contro il "disordine costituito" dei carnefici e il comitato d'affari dei cannibali.
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Una e la stessa è la lotta contro il potere mafioso e per la democrazia, per la legalità che salva le vite, per la piena vigenza della Costituzione antifascista che invera e prosegue la Resistenza dell'umanità contro il male assoluto che l'umanità denega.
Una e la stessa è la lotta contro il potere mafioso! e per la difesa nitida e intransigente, concreta e coerente, dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
Una e la stessa è la lotta contro il potere mafioso e per salvare dalla catastrofe l'intero mondo vivente unica casa comune dell'umanita' intera.
Una e la stessa è la lotta contro il potere mafioso e contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni - il maschilismo essendo la prima radice e il primo paradigma di tutte le violenze e le oppressioni.
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Ricordare le vittime della strage di via D'Amelio del 19 luglio 1992, ricordare Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina, significa chiedere ancora verità e giustizia per tutte le vittime; significa agire qui ed ora perche' cessino tutte le stragi, per salvare tutte le vite.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e'! il primo dovere.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, uni! tevi nell! a lotta per la liberazione comune, per la salvezza dell'umanità e della biosfera.
Solo la nonviolenza, che a tutte le violenze si oppone, può salvare l'umanità dalla catastrofe.
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In calce si allega il testo dell'indimenticabile orazione funebre tenuta da Antonino Caponnetto ai funerali di Paolo Borsellino.
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Allegato. Antonino Caponnetto: Una preghiera laica ma fervente
[E' il testo della "preghiera laica ma fervente" pronunciata da Antonino Caponnetto ai funerali di Paolo Borsellino il 24 luglio 1992 a Palermo, presente il Presidente della Repubblica Scalfaro]
Queste sono le parole di un vecchio ex magistrato che e' venuto nello spazio di due mesi! due volte a Palermo con il cuore a pezzi a portare l'ulti! mo saluto! ai suoi figli, fratelli e amici con i quali ho diviso anni di lavoro di sacrificio di gioia, anche di amarezza. Soltanto poche parole per un ricordo, per un doveroso atto di contrizione che poi vi diro' e per una preghiera laica ma fervente.
Il ricordo e' per l'amico Paolo, per la sua generosità, per la sua umanità, per il coraggio con cui ha affrontato la vita e con cui e' andato incontro alla morte annunciata, per la sua radicata fede cattolica, per il suo amore immenso portato alla famiglia e agli amici tutti. Era un dono naturale che Paolo aveva, di spargere attorno a sé amore. Mi ricordo ancora il suo appassionato e incessante lavoro, divenuto frenetico negli ultimi tempi, quasi che egli sentisse incombere la fine. Ognuno di noi e non solo lo Stato gli è debitore; ad ognuno di noi egli ha donato qualcosa di prezioso e di raro che tutti conserveremo in fondo al cuore, e a me in particolare mancheranno terribilmente quelle sue tele! fonate che invariabilmente concludeva con le parole: "Ti voglio bene Antonio" ed io replicavo "Anche io ti voglio bene Paolo".
C'e' un altro peso che ancora mi opprime ed e' il rimorso per quell'attimo di sconforto e di debolezza da cui sono stato colto dopo avere posato l'ultimo bacio sul viso ormai gelido, ma ancora sereno, di Paolo. Nessuno di noi, e io meno di chiunque altro, puo' dire che ormai tutto e' finito.
Pensavo in quel momento di desistere dalla lotta contro la delinquenza mafiosa, mi sembrava che con la morte dell'amico fraterno tutto fosse finito. Ma in un momento simile, in un momento come questo coltivare un pensiero del genere, e me ne sono subito convinto, equivale a tradire la memoria di Paolo come pure quella di Giovanni e di Francesca.
In questi pochi giorni di dolore trascorsi a Palermo che io vi confesso non vorrei lasciare più, ho sentito in gran parte della popolazione la voglia di liberarsi da questa barbara e sanguinosa oppressione che ne can! cella i diritti più' elementari e ne vanifica la speranza di rinascita. E da qui nasce la mia preghiera dicevo laica ma fervente e la rivolgo a te, presidente, che da tanto tempo mi onori della tua amicizia, che e' stata sempre ricambiata con ammirazione infinita. La gente di Palermo e dell'intera Sicilia, ti ama presidente, ti rispetta, e soprattutto ha fiducia nella tua saggezza e nella tua fermezza. Paolo e' morto servendo lo Stato in cui credeva così come prima di lui Giovanni e Francesca. Ma ora questo stesso Stato che essi hanno servito fino al sacrificio, deve dimostrare di essere veramente presente in tutte le sue articolazioni, sia con la sua forza sia con i suoi servizi. E' giunto il tempo, mi sembra, delle grandi decisioni e delle scelte di fondo, non è più l'ora delle collusioni degli attendismi dei compromessi e delle furberie, e dovranno essere, presidente, dovranno essere uomini credibili, onesti, dai politici ai magistrati, a ge! stire con le tue illuminate direttive questa fase necessaria di rinascita morale: e' questo a mio avviso il primo e fondamentale problema preliminare ad una vera e decisa lotta alla barbarie mafiosa. Io ho apprezzato le tue parole, noi tutti le abbiamo apprezzate, le tue parole molto ferme al Csm dove hai parlato di una nuova rinascita che e' quella che noi tutti aspettiamo, e laddove anche con la fermezza che ti conosco hai giustamente condannato, censurato, quegli errori che hanno condotto martedì pomeriggio a disordini che altrimenti non sarebbero accaduti perché nessuno voleva che accadessero.
Solo così' attraverso questa rigenerazione collettiva, questa rinascita morale, non resteranno inutili i sacrifici di Giovanni, di Francesca, di Paolo e di otto agenti di servizio. Anche a quegli agenti che hanno seguito i loro protetti fino alla morte va il nostro pensiero, la nostra riconoscenza, il nostro tributo di ammirazione. Tra i tanti fiori che ho! visto in questi giorni lasciati da persone che spesso non firmavano nemmeno il biglietto come e' stato in questo caso, ho visto un bellissimo lilium, splendido fiore il lilium, e sotto c'erano queste poche parole senza firma: "Un solo grande fiore per un solo grande uomo solo". Mi ha colpito, presidente, questa frase che mi e' rimasta nel cuore e credo che mi rimarrà per sempre.
Ma io vorrei dire a questo grande uomo, diletto amico, che non e' solo, che accanto a lui batte il cuore di tutta Palermo, batte il cuore dei familiari, degli amici, di tutta la Nazione. Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto fino al sacrificio dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi, questa e' una promessa che ti faccio solenne come un giuramento.
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