La fine di tutte le guerre, crederci è il primo passo per realizzare il sogno
In questo clima di incertezza, quando sembra preannunciarsi un secondo lockdown per arginare i contagi di covid-19 sul territorio italiano e europeo, rifletto sulle potenzialità delle crisi in senso generale e particolare, sul buono o cattivo uso che si fa delle risorse a disposizione e anche su come vengono costruiti i discorsi pubblici che poi spezzettati e ripetuti dalla gente comune diventano la narrazione standard dei tempi che viviamo.
Rifletto e la mia attenzione viene catturata del tutto dalle immagini trasmesse in tv. Prima una grossa protesta in piazza accerchiata da numerosi uomini in divisa e subito dopo in un altro servizio divise militari e mezzi corazzati, un conflitto, non registro di quale area geografica, sono concentrata su una sensazione: quando in campo ci sono le divise mi sembra che il mondo civile cessi di potere esercitare i suoi diritti. La guerra, ecco un tema che sembra fare da sfondo e non essere mai messo in discussione.
Durante il primo lockdown le emittenti televisive e i giornali tutti hanno lanciato l'amaro e improprio paragone tra covid e guerra. Non l'ho mai raccolto come calzante, anche se gli ospedali hanno dovuto lavorare al limite del possibile la mia sensibilità non accetta che si possa parlare di trincee.
Ciascun tema merita una trattazione propria, ampia e rispettosa, e non va confusa con altri contesti.
Definire il significato delle parole e usarle nel modo giusto aiuta a fare chiarezza, a pensare lucidamente, a trovare soluzioni appropriate. Altrimenti si cade nella retorica e si fa confusione, il che non è mai utile.
Non mi piace quando si normalizza la guerra, quando la si banalizza, non mi piace chi dice che dobbiamo accettarla per forza, che è parte integrante della Storia anche futura.
Si avvicina la data del 4 novembre e immagino che il nostro Presidente della Repubblica, come ogni anno, deporrà una corona d'alloro sull'Altare della Patria. Tutta Italia organizzerà eventi di omaggio ai caduti in guerra, sempre nel rispetto dei decreti istituzionali e delle prescrizioni sanitarie per il covid-19.
Mi chiedo quale dovrebbe essere il senso delle celebrazioni e dei discorsi pubblici legati alla guerra, quali obiettivi dobbiamo proporci. Cosa dobbiamo trasmettere alle nuove generazioni? Cosa vorrebbero sentire le generazioni più mature?
Sul nostro territorio ci sono molte persone che hanno conosciuto direttamente i conflitti armati, e non sono solo i nostri anziani ma gli immigrati. Mi duole quanto male li trattiamo. E mi duole immaginare quanto stiamo perdendo in eredità immateriale, dei racconti e del mondo interiore di questa gente, della loro creatività dirompente. Riserviamo loro freddezza, esclusione, gli riempiamo il percorso di ostacoli. Loro sono profeti di pace, potrebbero esserlo se li ascoltassimo, se dessimo loro più spazio.
Parliamo poco della guerra e solitamente parliamo di esportazione della democrazia, quando democrazia e guerra sono due termini agli antipodi l'uno dell'altro.
La democrazia include, la sua forza risiede nel dialogo, nella riflessione, nella trasparenza e nella libera contrattazione. La guerra esclude, solitamente zittisce, imprigiona, uccide, deforma le menti, non tratta, nasconde tecniche, abilità e informazioni utili alla società civile.
La democrazia costruisce, la guerra distrugge.
La democrazia attende che tutti trovino posto, la guerra ammette solo pochi al potere.
Appurato questo mi sembrano piuttosto sbilanciate le espressioni "esportare la democrazia", "guerra giusta", "guerra preventiva" che è poi sempre di aggressione e interessata.
"Se devo morire, non sarà per fare la guerra ma per non farla", qualcosa del genere avranno pensato quelli che per coscienza, animo e coraggio hanno rischiato singolarmente contrastando il potere costituito e guadagnando alla società civile un tratto di progresso nella giusta direzione.
Persone comuni, personaggi politici e qualche volta anche esponenti ecclesiastici hanno provato nel tempo a scardinare dall'immaginario collettivo l'obbligo al servizio di leva, e il dovere a prestare servizio armato in difesa della Patria. Non è cosa semplice manomettere una cultura creata per onorare Dio, il Re e la Patria ma io credo che è in questa direzione che si debba andare anche quando si celebra il 4 novembre.
Nelle nostre celebrazioni dovremmo marcare il fatto che l'arruolamento militare costituiva un obbligo a partire e combattere. Gli obiettori di coscienza, sfidando le consuetudini, esprimevano il sentire presente nella coscienza di tutti. Sappiamo che le guerre venivano e vengono giustificate con un apparato retorico di miti, belle parole, riconoscimenti simbolici e plauso sociale da una parte e dall'altra l'accusa di tradimento della Patria, la minaccia di morte, carcere o confino per i disertori o i reticenti.
Questa cultura annichilente di servizio senza appello, a rischio della propria vita, è ancora viva oggi e non è frutto della democrazia.
Si osa interpretare male l'art 11 della Costituzione pur di trovare consenso attorno alle "missioni di pace" internazionali nelle quali collaboriamo con i nostri soldati, e pur di trovare consenso attorno alla crescente spesa pubblica per il mondo militare.
Ma c'è un bellissimo percorso secondario della Storia che può rovesciare le cose: nel maggio del 1985 con la sentenza n.164, la Corte Costituzionale ha affermato la pari dignità tra servizio militare e servizio civile da considerare entrambi come forme di difesa della patria. Nel 1987 la Commissione per i Diritti Umani dell'Onu ha riconosciuto l'obiezione di coscienza al servizio militare come diritto dell'uomo. Nel 2001, con la legge n.64 veniva istituito in Italia il Servizio Civile Nazionale volontario.
Ecco, dobbiamo in tutti i modi rafforzare la cultura non armata, i tempi sono maturi e lo stato gravissimo delle questioni geopolitiche deve funzionare da esortazione inderogabile. Ogni iniziativa istituzionale e culturale nella direzione di una convivenza pacifica e inclusiva va incoraggiata.
Vi lascio con un link ad una bella iniziativa ma sono sicura ce ne siano molte altre sul territorio poco conosciute, contattateci se volete e PeaceLink darà ad esse visibilità con un articolo. Quella che ho incontrato io sul web è una Campagna “Un’altra difesa è possibile” promossa da Conferenza Nazionale Enti di Servizio Civile, Forum Nazionale per il Servizio Civile, Rete della Pace, Rete Italiana per il Disarmo, Sbilanciamoci!, Tavolo Interventi Civili di Pace.
Hanno raccolto le firme necessarie e presentato una proposta di legge al Parlamento affinché dirotti maggiori risorse economiche e umane a sostegno delle varie forme di difesa civile non armata e nonviolenta come il Servizio Civile universale, la Protezione civile, i Corpi civili di pace, un Istituto di ricerca per la risoluzione nonviolenta dei conflitti, e l'istituzione di un Dipartimento per la difesa civile non armata e nonviolenta.
Le nostre Forze Armate, oggi, sono chiamate ad operare sotto l'egida delle Organizzazioni internazionali di riferimento, ONU, NATO e Unione Europea, in numerose aree del mondo caratterizzate da crisi e instabilità di governo. Io spero che ritrovino una guida istituzionale che dia la precedenza allo spirito democratico (art.52 della Costituzione) invece che alla conquista di altri territori e potere economico, una guida che sappia affermare una maggiore autonomia delle nostre Forze Armate rispetto agli apparati intergovernativi, che troppo spesso si fanno costrittivi.
Io spero che l'art. 11 della Costituzione torni ad essere interpretato nell'unico modo possibile, perché la limitazione del nostro potere sovrano è lecita solo quando finalizzata a concrete azioni di pace e di giustizia fra le Nazioni, e le missioni di guerra intraprese dopo l'entrata in vigore della nostra Carta più importante hanno procurato solo disastri nel mondo delle cose concrete e nello spirito degli uomini.
Sono altre le strade da percorrere per arrivare ad una convivenza internazionale democratica e pacifica.
Ogni 4 novembre nel celebrare le Forze Armate e i caduti della Prima Guerra Mondiale poniamo l'accento sul lutto che ogni conflitto armato comporta e si faccia finalmente spazio all'impegno sociale nonviolento e non armato, all’educazione alla pace tra i popoli, alla salvaguardia e alla promozione dei principi fondanti il nostro ordinamento, su cui le Forze Armate giurano e che in quanto cittadini italiani siamo tutti chiamati a onorare, ogni giorno.
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