Intervista a Mons.Tommaso Valentinetti, presidente di Pax Christi
Pax Christi e i grandi temi della guerra e della Pace.
Pax Christi è un movimento di opinione, promosso da credenti e da un vescovo, nato subito dopo il secondo conflitto mondiale allo scopo di evitare che tali genocidi e orrori potessero ripetersi di nuovo nella storia dell'umanità. Pax Christi dunque vuol essere un invito per i credenti e per tutto il mondo cattolico a riflettere sulle tematiche inerenti la Pace all'interno della società contemporanea.
A 40 anni dall'enciclica di Giovanni XXIII "Pacem in Terris" cosa è cambiato all'interno della Chiesa e del mondo cattolico sulle questioni della guerra e della Pace?
E' cambiata una prospettiva fondamentale: non si parla più di teologia riguardo alla guerra, ma si parla di teologia in riferimento alla Pace, e grazie all'enciclica finalmente si è capito che per ottenere la Pace, e perché questa sia duratura, è necessario che essa si fondi su quattro pilastri: la verità, la giustizia, la libertà e l'amore. Se i popoli, le nazioni e "tutti gli uomini di buona volontà", a cui l'enciclica è rivolta, non pongono al centro della propria riflessione questi quattro pilastri: la verità, la giustizia, la libertà e l'amore. Se i popoli, le nazioni e "tutti gli uomini di buona volontà", a cui l'enciclica è rivolta, non pongono al centro della propria riflessione questi quattro pilastri, non è assolutamente possibile ottenere la Pace. Grazie alla pubblicazione dell'enciclica "Pacem in Terris" di Giovanni XXIII nel 1963, e a tutte le altre che seguirono, grazie alle giornate del 1° gennaio, istituite da Paolo VI per pregare sulla Pace, sicuramente è cambiato il nostro impegno di credenti e di cattolici nella riflessione e nella ricerca concreta della Pace.
Lei ritiene che il conflitto in Iraq ed in Medioriente sia "uno scontro di civiltà", come sostiene una parte del mondo politico americano, tra mondo cristiano e mondo islamico?
Premesso che nel mondo i conflitti non sono finiti, basti pensare al gran numero di morti a cui assistiamo quotidianamente attraverso i mass-media e a tutte le guerre dimenticate, credo non si possa parlare di scontro di civilità. Il grande merito di Giovanni Paolo II di radunare esponenti appartenenti alle varie religioni nelle due giornate di preghiera per la Pace di Assisi, sta proprio nell'aver evitato che le guerre potessero diventare scontri di civiltà e di religione, perché in nome di Dio non è possibile fare nessuna guerra. Le guerre non si risolvono con altri conflitti o con il terrorismo, ma promuovendo i principi della multilateralità e della multiculturalità grazie ai quali esponenti di varie culture e religioni si ritrovano intorno ad uno stesso tavolo a ragionare e a decidere su temi riguardanti il bene dell'umanità.
A suo parere l'Islam, come sostiene qualcuno, rappresenta davvero un pericolo di tipo terroristico?
No, perché l'Islam non è assolutamente a favore della guerra, ma rappresenta una religione di Pace che desidera la Pace. Purtroppo la presenza all'interno del mondo islamico di frange fondamentaliste deturpa l'immagine reale della religione islamica. Noi crediamo che con l'Islam si possa stabilire un rapporto culturale e soprattutto un dialogo intereligioso, certamente non sarà questo un obiettivo facilmente perseguibile, perché l'Islam è una religione molto ben strutturata e monolitica, così come lo sono la religione cristiana e la confessione cattolica, ma è proprio da un camminare e ricercare insieme che si riuscirà ad ottenere il bene comune.
Qual è la vostra posizione rispetto alla teoria della "guerra preventiva" proposta dal presidente americano Bush?
La nostra posizione in realtà è quella della Chiesa, dunque è quella di Giovanni Paolo II: non si può assolutamente parlare di guerra preventiva, la Chiesa non ha mai preso in considerazione tale teoria. Questa è contro ogni forma morale, e soprattutto è a discapito della persona, non è possibile, infatti, aggredire qualcuno mossi semplicemente dal sospetto che questo possa nuocerci in qualche modo. Le prese di posizione del Papa, prima e dopo il conflitto iracheno, hanno indotto a riflettere maggiormente sulla teoria della guerra preventiva che offende e lede anche un diritto internazionale. Perciò ci auguriamo che dopo il richiamo forte di Giovanni Paolo II nell'ultimo messaggio del 1° gennaio, realmente i popoli, i governi e tutti coloro che hanno responsabilità pubbliche possano mettersi a lavorare intorno a un tavolo perché finalmente l'ONU riprenda la parola e si possa progettare, di comune accordo, un vero diritto internazionale nel rispetto dei diritti e dei doveri di tutti i popoli e di tutte le nazioni.
Secondo lei all'origine dei conflitti potrebbero esservi gli squilibri planetari fra paesi ricchi e paesi poveri?
Senza dubbio! Ogni qual volta si parli di guerre e terrorismo non si può non far riferimento alle sperequazioni gravissime esistenti sulla terra. Basta citare che l'82% delle risorse mondiali è consumato dal 20% della popolazione mondiale e che viceversa l'80% della popolazione mondiale deve accontentarsi del 20% delle risorse presenti sul pianeta. Allora se non si affrontano tali tematiche e soprattutto se non viene presa in seria considerazione la realtà di quelle minoranze etniche - popolo della Palestina, del Kurdistan, del Kashmir ... - esistenti sulla faccia della Terra, che gridano il loro diritto alla libertà e alla giustizia, alcuni conflitti non si risolveranno mai.
Pax Christi e il movimento anti-globalizzazione
Pax Christi nei confronti di questo movimento si pone in un atteggiamento dialogico, di ascolto, in un atteggiamento costruttivo e fattivo, rifiutando certamente ogni azione violenta contro le persone e contro le cose, perché in opposizione con lo spirito della pacifica convivenza. Al contrario Pax Christi si propone di ascoltare le grida dei giovani spesso rappresentanti il segno della profonda esasperazione presente nel mondo contemporaneo. Se ripenso alla grande partecipazione dei ragazzi ai seminari - organizzati da Pax Christi durante il Social Forum di Firenze - e in particolare al seminario sul contributo che le religioni e le Chiese cristiane potevano dare alla nuova Europa, credo sia importante continuare a percorrere un cammino in tal senso.
Considerata l'attuale situazione politica ed economica mondiale, quali sono le speranze reali per la Pace?
Se teniamo conto degli avvenimenti degli ultimi anni, mi riferisco alla guerra in Iraq, ma anche ai tanti conflitti dimenticati presenti nel nostro pianeta, sembrerebbe che il progetto Pace abbia subito una grave ferita.
In realtà, nonostante tutto, a noi spetta essere moralmente uomini di speranza, dobbiamo comunicare la speranza in un mondo nuovo, in una civiltà dell'amore che stiamo costruendo e vogliamo continuare a costruire. Ma perché tutto ciò si realizzi è necessario unire le nostre forze, moltiplicare i nostri sforzi e pregare, pregare, perché la Pace è possibile!
E' questo il cammino che noi credenti siamo chiamati a proporre a tutti gli altri fratelli.
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