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Non uccidere il messaggero

La debacle in Afghanistan mostra che avremmo dovuto ascoltare, non criminalizzare, Julian Assange

Il fondatore di Wikileaks ci aveva da tempo avvertito che in Afghanistan le truppe USA/NATO non stavano “guadagnando le menti e i cuori” della popolazione; anzi, si stavano facendo odiare. Ma il messaggio non è stato ascoltato e il messaggero è ora in prigione in attesa di giudizio.
17 agosto 2021
Patrick Boylan

Julian Assange: "If wars can be started by lies, they can be stopped by truth."

Cosa spiega la disfatta USA/NATO in Afghanistan? In gran parte è stata causata dall'odio del popolo afghano contro gli occupanti occidentali, odio provocato anche dai crimini di guerra e dai crimini contro l'umanità commessi dalle nostre truppe di occupazione. Alla repressione della NATO la maggior parte della popolazione afghana (e persino molti dei loro militari) hanno mostrato di preferire la repressione dei Talebani (il che è tutto dire). Infatti, le scene di “fuga della popolazione davanti ai Talebani”, di cui i telegiornali sono pieni, riguarda solo una piccolissima percentuale della popolazione, gli afghani filo occidentali, prevalentemente a Kabul. Vedi l’editoriale PeaceLink al riguardo: https://www.peacelink.it/editoriale/a/48688.html

Ora molti dei crimini che le nostre truppe hanno commesso in questi 20 anni, il giornalista Julian Assange li aveva già rivelati sul suo sito Wikileaks. Ma i politici e i mass media occidentali non hanno voluto far conoscere le sue denunce. Anzi, hanno preferito diffamare Assange e sostenere il tentativo, da parte delle autorità statunitensi, di incarcerarlo per decenni (il che, visto le sue precarie condizioni, vale una condanna a morte).

"Invece quante vite afghane – e occidentali – avremmo potuto salvare se avessimo agito alla luce delle rivelazioni di Assange!" dicono gli U.S. Citizens for Peace & Justice – Rome, un gruppo di pacifisti statunitensi abitanti la Capitale. "Bisogna perciò sfruttare il clamore della nostra disfatta in Afghanistan per esigere la liberazione di chi ha cercato di farci capire quello che le nostre truppe stavano facendo realmente laggiù per ben 20 anni. Bisogna tornare in piazza all'inizio di settembre con la parola d'ordine: Non uccidere il messaggero!"

Già si parla di manifestazioni simili nel mese di settembre in molti altri paesi, per galvanizzare l’opinione pubblica mondiale a favore di Assange prima dell’udienza che egli dovrà affrontare in Gran Bretagna il prossimo 27 ottobre. L’Alto Tribunale della Gran Bretagna dovrà rideliberare, infatti, sulla sua estradizione negli Stati Uniti, momentaneamente bloccata. Questo perché la settimana scorsa (11 agosto), i giudici britannici hanno consentito al governo americano di riaprire il caso sulla base di obiezioni alla testimonianza chiave di uno psicologo, quella che giustificò il blocco temporaneo.

Se le obiezioni statunitensi verranno accolte in ottobre, Assange potrebbe essere immediatamente rispedito negli Stati Uniti dove rischia una pena detentiva di 175 anni per rivelazioni di documenti ufficiali riguardanti presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi da militari statunitensi -- in Aghanistan e non solo.

Invece non è prevista nessuna indagine, da parte del governo USA, su quei crimini e tanto meno l’imputazione dei militari che li avrebbero commessi. Solo il messaggero va sottoposto a processo.

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