“Pace Proibita”, da spettacolo, diventa una forza di persuasione morale
Viene linciato poi, chiunque azzardi una contro-narrativa. Per esempio, queste due:
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In realtà, l’aggressione iniziale è stata quella della NATO; l’invasione di Putin è stata soltanto la risposta, per quanto sbagliata e anche tardiva, a quella provocazione. Infatti, Washington, con il suo golpe del 2014 realizzato tramite milizie filo-naziste addestrate nelle caserme NATO in Polonia, ha installato a Kiev un regime che stermina chiunque vi si opponga – giornalisti e blogger ucraini dissidenti (dal 2014, 80 sono stati fatti sparire) ma soprattutto gli ucraini russofoni: 14.000 di loro sono stati uccisi dai miliziani ucraini in questi otto anni di guerra civile ininterrotta. Certo, un'invasione, anche se fatta per fermare un massacro, rimane pur sempre un atto criminale; ma perché l'Europa o l'ONU non sono intervenute prima per fermare quel massacro, mettendo pressione su Kiev?
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Gli USA, quale nuova padrona dell’Ucraina, hanno trasformato l’intero paese in una minaccia esistenziale per la Russia, con centinaia di basi o depositi NATO già costruiti (e fatti passare per basi o depositi ucraini) e con decine di missili nucleari NATO di tipo IRBM in arrivo. Questi missili, a lungo vietati in Europa ma che gli USA hanno deciso di installare comunque sulla frontiera ucraino-russa, dopo aver abrogato unilateralmente nel 2018 il trattato che li proibiva, sono un coltello alla gola della Russia perché non è tecnicamente possibile abbatterli, se vengono lanciati da basi così vicine a Mosca. Perciò, tentare un cambio di regime a Kiev attraverso un’invasione, per quanto illegale, poteva sembrare l’unica via per prendere il potere in Ucraina e smilitarizzare il paese. In fondo, è quello che gli USA hanno fatto a Baghdad e a Kabul, senza subire sanzioni o proteste dai paesi occidentali.
Ora di queste due contro-narrative – e di altre simili, che tutte insieme rappresentano l’opinione di una buona parte della popolazione italiana – non si trova traccia in nessun giornale mainstream italiano; non vengono menzionate su nessun canale TV e meno che mai su un canale della RAI.
Non solo, ma non viene dato spazio nemmeno a contro-narrazioni meno controverse, per esempio un semplice appello alla pace e ai compromessi pacificatori invece di proclamare, come fa la narrativa dominante, che solo la vittoria militare possa far cessare le ostilità – cioè, altra guerra per non si sa quanto tempo ancora.
In conclusione, il Pensiero Unico che oggi domina in Italia, non accetta altri discorsi al di fuori del proprio: “Solo con la violenza si può fermare la violenza, punto.” E così, per consentire alla NATO d’installare i suoi missili nucleari in Ucraina, dobbiamo accettare tutti quanti, ubbidientemente, altri mesi di orrori sui campi di battaglia e altri mesi di devastazioni arrecate alle catene alimentari e energetiche mondiali – anche se queste devastazioni rischiano di uccidere più persone fuori dall’Europa, soprattutto in Africa, di quante non ne muoiono in Ucraina.
Per denunciare la pericolosità di questo Pensiero Unico imperante, crudele e autoritario, Michele Santoro, insieme all’attrice Sabina Guzzanti e a Marco Tarquino, direttore del giornale Avvenire, hanno convocato il 17/ 5/2022 una conferenza stampa presso la sede della FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) a Roma.
“Dobbiamo far in modo che ci sia davvero un pluralismo di informazioni nel servizio pubblico qui in Occidente,” ha esordito Santoro, “a differenza di ciò che avviene in Russia dove l’informazione è purtroppo monolitica, salvo poche eccezioni. Altrimenti, se rispondiamo al monolitismo loro con un monolitismo nostro, non facciamo altro che ergere un altro muro [di Berlino], una nuova cortina [di ferro].”
“Per fortuna,” ha aggiunto Santoro, esiste nei mass media occidentali qualche eccezione al Pensiero Unico imperante – e sono eccezioni di peso. Negli USA, il Washington Post ha osato rivelare l’esistenza dei soldati statunitensi già da tempo sul terreno in Ucraina, a dirigere le operazioni; in Francia, Le Monde ha osato rivelare le torture inflitte dalle truppe ucraine sui soldati russi fatti prigionieri, violando la Convenzione di Ginevra. Ma in Italia non appare niente di tutto ciò, nemmeno nel servizio pubblico. L’AGCOM (l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) non interviene? Non fa il suo lavoro di garantire un pluralismo di voci? Che intervenga allora il Parlamento, al quale l’AGCOM deve rispondere!”, ha concluso Santoro. “Il Parlamento potrebbe far fare un sondaggio e se scopre che metà o quasi della popolazione italiana è contraria all’invio delle armi, può premere sull’AGCOM in modo che la RAI dia voce, nei dibattiti in TV, a quella metà della popolazione. La comunità di ‘Pace Proibita’ non è e non sarà un partito; ma intende spronare il Parlamento e i partiti ad agire. Se Conte e Letta hanno davvero cambiato linea, ce la facciano vedere nei fatti!”
E’ intervenuto poi alla conferenza stampa il direttore del giornale Avvenire, Marco Tarquino, assolutamente esterrefatto dall’odierno unanimismo e conformismo mediatico. Ha ricordato come “neanche nel 2003, per rastrellare consensi per l’invasione USA dell’Iraq, hanno provato ad arruolarmi come stanno facendo in questi mesi.” E non c’è dissenso che tenga. “Oggi, il pacifismo è diventato un peccato mortale.”
“Certo,” ha aggiunto Tarquino, “quale direttore di testata, ho subìto spesso pressioni per le mie posizioni di uomo di pace. Più volte hanno chiesto la mia testa. Ma mai e poi mai ho visto liste di proscrizione, per eliminare i giornalisti non allineati, come ne ho viste in questi mesi.” Tutto ciò è dovuto alla forte concentrazione delle testate nelle mani di pochi: “dal 2007 a oggi, ha precisato Tarquino, “metà delle testate italiane sono state assorbite o fatte sparire." Così, oggi, pochi zar decidono la linea di tutte le testate.
“Ma non dispero,” ha concluso. “Come l’acqua alla fine trova i canali nel terreno per scorrere via, penso che la voce del pacifismo possa alla fine trovare i canali per farsi sentire. La serata ‘Pace Proibita’ ne è stato un esempio.”
Infine Sabina Guzzanti ha sottolineato come il monolitismo voluto dagli zar dell’informazione italiani può anche lavorare contro di loro. “La gente si accorge dello scollamento tra quello che vive e quello che viene riportato nei mass media. Il 20 marzo scorso,” ha ricordato, “c’è stata una bella manifestazione a Roma intitolata Insieme per la Pace, che ha riunito figure di spicco del mondo della cultura e dello spettacolo e che ha riempito piazza san Giovanni. Ebbene l’indomani era quasi impossibile trovare un servizio in merito sui giornali mainstream.”
“La gestione [militare] del Covid,” ha concluso Guzzanti, “ci ha purtroppo abituato alla comunicazione istituzionale autoritaria – o ripeti le opinioni espresse da coloro che le istituzioni hanno scelto come esperti, oppure sei un no vax, forse anche un fascista.” Questo modo di imporre per editto decisioni prese sulla nostra pelle, ha aggiunto Guzzanti, “si ripete ora con la questione del coinvolgimento italiano nel conflitto in Ucraina.”
Chiaramente, non è cosi che difendiamo la democrazia in altri paesi, svendendola in casa nostra!
Santoro ha poi ripreso la parola per concludere la conferenza stampa, dicendo ai giornalisti presenti che “l’informazione è libera quando viene percepita come libera” ed è quella percezione che manca oggi. “Il giornalismo – e parlo in generale, non soltanto di quello praticato alla RAI – andrebbe considerato un servizio pubblico.”
Nella stessa maniera, potremmo aggiungere, la stessa informazione andrebbe considerata – e tutelata – come un bene comune.
Purtroppo, solo alla fine della conferenza, Santoro ha ricordato la figura di Julian Assange, il creatore del sito WikiLeaks e il giornalista che ha lottato più di qualsiasi altro perché la parola "pace" non sia proibita in Occidente, svelando gli orrori delle nostre guerre d'aggressione fatte passare per "missioni di mantenimento della pace."
Qualche parola in più sarebbe stata anche molto appropriata visto che, proprio mentre finiva la conferenza stampa, iniziava un sit-in davanti all'ambasciata del Regno Unito a Roma per chiedere al governo britannico di non consegnare Assange, tuttora imprigionato a Londra, nelle mani di chi aveva complottato per assassinarlo, ovvero il governo statunitense che ha chiesto la sua estradizione.
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