Qatar 2022, i Mondiali dello sfruttamento
Turni di lavoro massacranti in condizioni climatiche impossibili sono la causa di gran parte delle morti degli operai giunti nel ricco stato del Golfo persico nel disinteresse della Fifa e di gran parte delle istituzioni.
Del resto, osserva con amarezza nella prefazione il giornalista sportivo Riccardo Cucchi, «il calcio professionistico è vorace. Produce ricchezza e la consuma rapidamente», con buona pace di chi da tempo denuncia le violazioni dei diritti umani che avvengono quotidianamente in Qatar senza però riuscire a far recedere i vertici del calcio mondiale dall’organizzare i mondiali nel paese governato dalla famiglia al-Thani.
Tra gli aspetti più controversi della Coppa del Mondo, il cui calcio d’inizio sarà dato il prossimo 21 novembre, quelli legati allo sportwashing e al whitewashing, il sistema utilizzato dal governo del Qatar per ripulire la propria immagine a livello internazionale.
Da un lato il fenomeno dello sportwashing è stato alimentato dalla poca attenzione di parte del giornalismo sportivo, ma, dall’altro, è stato il mondo del calcio a scegliere volutamente di distogliere lo sguardo dal sistema di schiavitù che ha costretto i lavoratori migranti giunti soprattutto dall’Asia e dall’Africa a tacere sulla kafala, un meccanismo capestro utilizzato per obbligare gli operai arrivati in Qatar a dover accettare la confisca del passaporto e l’autorizzazione, vincolante, a lasciare il paese, attraverso un “certificato di non obiezione”.
Di fronte agli operai costretti a lavorare con temperature altissime, sette giorni su sette per dodici ore consecutive e senza pause (pena la detrazione dello stipendio o il licenziamento), la Fifa ha avallato la strategia del Qatar, basata sullo spacciare gran parte dei decessi come “cause naturali”, “sconosciute” o “arresto cardiaco”, senza alcun riferimento alle condizioni di lavoro, evitando quindi di classificarle come morti dovute alla tipologia di lavoro.
Impossibile non definire i Mondiali 2022 come “insanguinati”. L’unica cosa che conta è il profitto e il fatto che questo avvenga sulla pelle dei lavoratori è un aspetto trascurabile. Ad esempio, la nostra Lega Calcio e i nostri club, nonostante la situazione dei diritti umani in Arabia saudita sia molto simile a quella del Qatar, non hanno mai pensato di scegliere un’altra sede per far disputare la Supercoppa italiana.
Grazie ad un ottimo lavoro di fact-checking, Riccardo Noury, nel suo libro, ha dato ampio spazio ad articolo del quotidiano britannico The Guardian, Revealed: 6.500 migrant workers have died in Qatar since World Cup awarded, dove si sottolineava la richiesta ufficiale rivolta da Amnesty International al ministero della Salute pubblica del Qatar in relazione al numero di autopsie eseguite tra il 2015 e il 2020, ma rimasta senza risposta.
Inoltre, ricorda ancora Riccardo Noury, il Qatar è riuscito ad aggirare con facilità l’articolo 2 del Programma di cooperazione sottoscritto nel 2017 con l’International Labour Organization, che sanciva l’applicazione di una politica di sicurezza e salute e la creazione di un registro degli incidenti sul lavoro e delle malattie occupazionali a tutela degli operai.
Un motivo in più, in vista della Coppa del Mondo ormai imminente, per chiedere verità e giustizia per gli operai migranti deceduti e le loro famiglie, invitare le massime istituzioni calcistiche a non instaurare rapporti con governi autoritari e non parlare esclusivamente degli aspetti sportivi legati alla competizione.
Qatar 2022, i mondiali dello sfruttamento
di Riccardo Noury
Infinito Edizioni, 2022
Pagg. 84
€ 12
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