Quel compagno che vive nella nostra memoria e nel nostro impegno
Venerdì scorso, steso sul letto di morte, Angelo Baracca, lucidissimo, sapeva che la fine era vicina: “Fai sapere ai compagni e alle compagne che non sto soffrendo, che me ne vado assolutamente sereno. So di avere fatto tutto quello che potevo fare, adesso il mio tempo è finito, so di andare incontro al buio e al nulla. Ci vado tranquillo, non ho paura”.
Incrollabilmente ateo e materialista, Angelo è rimasto fermo in quella fede fino all’ultimo. Gli ho detto: “Morendo noi entriamo nel silenzio, però viviamo ancora nella memoria che rimane dei nostri atti e dei nostri pensieri”. Insieme ad altri amici, ci stavamo preoccupando del destino delle sue carte, dei suoi scritti, del suo archivio. Lui ha risposto che ci aveva pensato già da un pezzo: è tutto destinato al sicuro presso il Seminario di Storia della Scienza dell’Università di Bari. Soltanto, mi disse, restava il problema dei suoi scritti più antichi, tutti su carta, che non sempre era riuscito a rintracciare: “A quel tempo non pensavamo agli archivi, pensavamo alla rivoluzione”.
Già la Rivoluzione. Quel sogno coltivato in gioventù, Angelo in fondo al cuore lo aveva conservato fino all’ultimo. Quel “sogno di una cosa”: il riscatto dei dannati della terra, il sol dell’avvenire, il socialismo. Attraverso tutte le sue battaglie ambientaliste e pacifiste, Angelo, in fondo al cuore, era sempre rimasto marxista. Usava parole passate di moda, compagne, compagni, proletari… Non era un nonviolento: aborriva la guerra, non la lotta di popolo e di classe.
Su queste cose ci divideva il più fermo e amichevole dissenso. Io che credo profondamente che oggi abbiamo disperato bisogno di un pensiero e una visione radicalmente nuovi, capaci di dispiegare in nuovi termini quella stessa forza di interpretazione del presente, di immaginazione del futuro e di propulsione del cambiamento che ebbe a suo tempo il marxismo, io che credo che la nonviolenza sia destinata ad essere il cuore pulsante di questa nuova profezia, non potevo condividere i dettagli vetusti del suo sogno.
Ma ci univa la nostra ardente indignazione. Ci univa la consapevolezza del terribile pericolo che incombe su questa nostra epoca. La percezione che il nostro destino collettivo non dipende più da Roma o da Bruxelles, ma dalla grande partita che è in corso, con cui un Potere dotato di immani risorse e smisurata intelligenza sta mirando a distendere su tutto il pianeta la trama del suo controllo militare, finanziario, mediatico, industriale, digitale: trascinandoci, in questo intento di dominio, ogni giorno più vicini al collasso ecologico e al conflitto universale, la catastrofe che Angelo temeva più di tutte.
“Caro amico”, gli ho detto l’altro giorno, “siamo stati dalla parte dei perdenti. Ma attento: solo per ora! Il futuro è lungo e misterioso: non sarà dell’Avversario, il futuro sarà dei nostri sogni”. Lì ha sorriso. Non ci sarà un funerale. Non lo ha voluto. Metà delle sue ceneri saranno sparse nell’erba dei colli di Toscana, l’altra metà traverserà l’Atlantico nelle mani di sua moglie, per posarsi nell’isola di Cuba, che vide un giorno la rivoluzione.
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