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Albert - bollettino pacifista dell'1 ottobre 2024

Linea rossa superata: Israele provoca, l'Iran risponde con i missili

Israele aveva interpretato la recente cautela dell'Iran come segno di debolezza. L'analista geopolitico Farhad Rezaei aveva pubblicato ieri sul Jerusalem Post un articolo intitolato "L'inazione calcolata dell'Iran: perché Teheran sta da parte mentre Hezbollah vacilla".
1 ottobre 2024
Redazione PeaceLink

ALBERT - BOLLETTINO PACIFISTA N. 7 Albert

Albert: la voce della ragione in tempi di guerra


1. I missili iraniani su Israele: perché è accaduto?

Il 6 luglio 2024, l'elezione di Massoud Pezeshkian come presidente dell'Iran aveva aperto un nuovo capitolo di speranza per un futuro più pacifico. Il nuovo presidente riformista iraniano aveva dichiarato la sua intenzione di stabilire relazioni più distensive, compreso il desiderio di evitare conflitti con Israele. Eppure, nelle ultime ore, una nuova crisi ha scosso il Medio Oriente: una serie di missili lanciati dall'Iran ha colpito Israele, portando le tensioni a un livello pericoloso.

L'errore dell'Occidente: sottovalutare l'Iran

Dopo aver usato il suo dirompente potere militare contro le milizie di Hezbollah (alleate in Libano di Teheran), Israele aveva interpretato la recente cautela e "inazione" dell'Iran come segno di debolezza, una valutazione condivisa da molti osservatori occidentali. Questo errore di giudizio si riflette nelle parole dell'analista geopolitico Farhad Rezaei, che aveva pubblicato ieri sul Jerusalem Post un articolo intitolato "L'inazione calcolata dell'Iran: perché Teheran sta da parte mentre Hezbollah vacilla". Rezaei ieri sosteneva che l'Iran, bloccato da fattori economici e strategici, fosse riluttante a intervenire, anche dopo l'assassinio del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, da parte delle forze israeliane.

Iran "paralizzato dall'indecisione" se aiutare o no Hezbollah

Secondo questa linea di pensiero, l'Iran sembrava "paralizzato dall'indecisione", lasciando mano libera a Israele per continuare a colpire Hezbollah in Libano, il gruppo armato sciita sostenuto da Teheran. L'idea di un regime iraniano indebolito, che avrebbe "offerto l'altra guancia" di fronte alle provocazioni israeliane, aveva influenzato le decisioni politiche di molti leader occidentali, volte a incoraggiare Benjamin Netanyahu, a partire dall'amministrazione Biden che aveva definita legittima e conforme al diritto internazionale l'invasione del Libano da parte dei carri armati israeliani.

E così la cautela del nuovo presidente iraniano Pezeshkian, che aveva pubblicamente affermato la volontà di vivere in pace con Israele, veniva interpretata come un segnale di fragilità.

Il nuovo corso iraniano

E' importante ricordare che il presidente Pezeshkian, parlando ai giornalisti delle Nazioni Unite a New York, aveva detto: “Non vogliamo la guerra con Israele, vogliamo vivere in pace”.

Perché non si è sfruttata questa disponibilità al dialogo e alla pace da parte del nuovo corso dell'Iran sancito dal voto popolare che aveva messo in minoranza il candidato ultraconservatore?

I bombardamenti israeliani sul Libano

Le valutazioni errate dell'Occidente si sono dimostrate catastrofiche. Israele, sentendosi incoraggiata a procedere senza vincoli, ha oltrepassato la linea rossa con le sue incursioni in Libano. I bombardamenti israeliani su Hezbollah sono culminati non solo nella distruzione delle sue infrastrutture militari, ma anche nell'attivazione di operazioni più ciniche, come l'episodio dei radioricevitori esplosi a centinaia.

Nonostante Abbas Araghchi, ministro degli Esteri del regime, avesse in passato dichiarato che Hezbollah era "pienamente in grado di difendersi in modo indipendente", segnalando la volontà di non intervenire direttamente, tuttavia l'insieme degli eventi, culminati con l'invasione del Libano meridionale, è andata oltre la "linea rossa".

La reazione sottovalutata dell'Iran

La campagna israeliana contro Hezbollah è andata ben oltre quello che Teheran riteneva di poter tollerare.

A questo punto, il regime iraniano non è più potuto restare in disparte. Le incursioni militari israeliane, unite agli attacchi mirati che hanno distrutto le risorse chiave di Hezbollah, hanno spinto l'Iran a reagire. Israele aveva sottovalutato la determinazione di Teheran. Aveva considerando l'Iran come uno stato debole e incapace di agire. Invece, l'Iran ha compiuto il passo temuto, lanciando missili verso Israele, rompendo gli indugi e dimostrando che la sua politica cauta non era segno di debolezza, ma piuttosto una strategia di equilibrio.

La linea rossa superata: il terribile passo dell'Iran

L'Occidente ha commesso un errore gravissimo nel pensare che si potesse concedere mano libera a Israele, confidando in una presunta impotenza iraniana. Invece, quando Israele ha oltrepassato la "linea rossa" con i suoi bombardamenti in Libano e l'eliminazione di Nasrallah, il potere iraniano ha deciso di rispondere con forza. L'Iran, legato a Hezbollah non solo da un rapporto strategico ma anche da decenni di supporto militare e logistico, ha visto l'attacco a Hezbollah come un affronto diretto alla sua influenza regionale.

Israele ha sottovalutato l'importanza di questo legame, e la mancata reazione immediata di Teheran è stata vista come un'opportunità per spingersi oltre. Tuttavia, la politica di cautela iraniana, che era stata interpretata come un segno di debolezza, si è rivelata essere una strategia temporanea. Il lancio dei missili nelle ultime ore segna una svolta drammatica, che smentisce chi credeva che l'Iran avrebbe "offerto l'altra guancia" di fronte agli attacchi israeliani.

Il Medio Oriente a un passo dal confitto globale

L'errore di giudizio dell'Occidente e la presunzione di Israele hanno portato a una situazione critica. La speranza di una politica "debole" e "neutrale" da parte dell'Iran, incarnata da Pezeshkian, è stata spazzata via dall'escalation delle ostilità. Questo lancio di missili dimostra ancora una volta come le valutazioni errate possano condurre a tragiche conseguenze. Ora la regione rischia di essere trascinata in una spirale di violenza difficile da fermare.

È necessario che la comunità internazionale si impegni per riportare Israele ad una moderazione imposta anche con la minaccia di sanzioni e con l'attuazione dell'embargo militare. Il futuro della pace in Medio Oriente dipende dalla capacità di riconoscere che le azioni unilaterali e gli atti di forza non possono risolvere conflitti che richiedono soluzioni diplomatiche e politiche a lungo termine che diano al popolo palestinese ciò che il regime oltranzista israeliano vuole togliere con una brutalità senza precedenti.

Alessandro Marescotti

presidente di PeaceLink


2. Unifil bacchetta Israele

La missione Unifil, istituita dall'ONU nel 1978 con la risoluzione 425, aveva il compito di monitorare con i Caschi Blu il ritiro delle truppe israeliane dal Libano e mantenere la pace lungo il confine tra i due Paesi. Dopo il conflitto del 2006, il suo mandato è stato rafforzato con la risoluzione 1701, che affida ai caschi blu dell'ONU il controllo della cosiddetta Blue Line, garantendo la cessazione delle ostilità.

Unifil e l'invasione israeliana del Libano

In queste ore, l'invasione del Libano da parte dei carri armati israeliani rappresenta una chiara violazione di queste risoluzioni. Come "elefanti in una cristalleria", le forze israeliane mettono a rischio il lavoro dei caschi blu e minano la pace nella regione. Questa azione non solo viola il diritto internazionale, ma mette in pericolo i soldati ONU impegnati a mantenere la stabilità.

Unifil, mentre la Casa Bianca giustificava la violazione della sovranità territoriale del Libano, emanava un comunicato con cui riteneva l'esercito israeliano responsabile della violazione della risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, approvata a suo tempo anche dagli Stati Uniti.

Per saperne di più:

 


3. Cosa è Hebollah 

La decisione del governo israeliano di "eradicare" Hezbollah in Libano, considerato un pericolo costante ai confini di Israele, è una scelta realistica da un punto di vista militare e politico?

Vediamo di considerare la questione nella sua complessità

Hezbollah, il "Partito di Dio", è nato nel 1982 durante il conflitto tra Israele e Libano, quando l'Iran ha sostenuto la creazione di un'organizzazione unificata che riunisse vari gruppi sciiti libanesi. Questa milizia paramilitare si è sviluppata inizialmente come forza di resistenza contro l'occupazione israeliana del sud del Libano, acquisendo progressivamente una struttura organizzativa e una capacità operativa che la rendono oggi un attore influente nel panorama politico e militare della regione.

La difficoltà di eradicare Hezbollah con un'operazione militare, come quella intrapresa da Israele, risiede in diversi fattori.

  1. Radicamento nella società libanese. Hezbollah non è solo un'organizzazione militare, ma anche un movimento politico e sociale profondamente radicato nella comunità sciita del Libano. Gestisce una vasta rete di servizi sociali, ospedali, scuole e istituzioni caritatevoli, guadagnandosi la lealtà di gran parte della popolazione sciita, soprattutto nelle aree povere del sud del Libano e della Valle della Beqaa. Questo radicamento sociale rende difficile separare il movimento dai civili, complicando qualsiasi operazione militare che miri a colpirlo senza causare gravi danni collaterali.

  2. Struttura militare decentralizzata. Hezbollah ha sviluppato una struttura militare altamente sofisticata e decentralizzata, con un'ampia rete di combattenti addestrati e un arsenale di armi fornito in gran parte dall'Iran e dalla Siria. L'organizzazione opera attraverso unità guerrigliere ben addestrate e una strategia di guerra asimmetrica che sfrutta il territorio montagnoso del Libano meridionale. La mancanza di una struttura centrale ben definita rende difficile per Israele eliminare Hezbollah con un singolo colpo militare.

  3. Supporto esterno. Hezbollah gode di un forte sostegno finanziario e militare dall'Iran, che lo considera un pilastro della propria influenza regionale. Questo supporto costante fornisce all'organizzazione le risorse necessarie per mantenere le sue operazioni, anche in caso di gravi perdite sul campo. Inoltre, la sua alleanza con altri gruppi della regione, come il regime siriano, rafforza la sua capacità di resistenza.

  4. Legittimità politica. Oltre a essere una forza militare, Hezbollah è anche un attore politico legittimato all'interno del sistema politico libanese. Il movimento detiene seggi nel parlamento libanese e ha un ruolo significativo nel governo, il che complica ulteriormente qualsiasi tentativo di eliminarlo attraverso mezzi puramente militari. Una sconfitta totale di Hezbollah potrebbe destabilizzare gravemente il Libano, un paese già segnato da divisioni etniche e religiose, e creare un vuoto di potere che potrebbe essere riempito da altre forze estremiste.

  5. Strategia di resistenza a lungo termine. Hezbollah ha dimostrato una straordinaria capacità di adattamento e resistenza nel corso degli anni. Durante la guerra del 2006 con Israele, l'organizzazione ha subito gravi perdite, ma è riuscita a ricostruire rapidamente la sua forza militare. La sua strategia non punta necessariamente a vincere battaglie convenzionali, ma a prolungare il conflitto, infliggendo danni a Israele e mantenendo la propria capacità di resistenza.

In sintesi, Hezbollah è molto più di una semplice milizia; è un movimento politico, militare e sociale radicato nel tessuto libanese e sostenuto da attori esterni potenti come l'Iran. Questo complesso intreccio di fattori rende estremamente difficile eradicarlo attraverso operazioni militari, che rischiano solo di alimentare ulteriormente il ciclo di violenza e rafforzare il suo ruolo di "resistenza" agli occhi della sua base di supporto.


4. L'assistenza bellica italiana a Israele

Scoop di Altreconomia: l'Italia continua a supportare l'addestramento dei piloti israeliani nonostante le dichiarazioni ufficiali

Nonostante le rassicurazioni del governo italiano circa lo "stop" all'assistenza militare e all'export di materiali verso Israele, la rivista Altreconomia ha rivelato che l'Italia continua a fornire pezzi di ricambio per i velivoli M-346 utilizzati dall'aviazione israeliana. Questi velivoli sono essenziali per l'addestramento dei piloti di Tel Aviv, che operano in uno scenario di conflitto permanente in Medio Oriente, alimentando una spirale di violenza. Leonardo M-346 FA

L'informazione è stata confermata dalla stessa multinazionale italiana Leonardo. L'azienda militare ha di fatto contraddetto le promesse dell'esecutivo. In passato, il governo aveva pubblicamente dichiarato l'interruzione di ogni tipo di supporto militare ad Israele, rispondendo alle crescenti preoccupazioni di società civile e organizzazioni pacifiste in merito all'uso di queste tecnologie in operazioni che violano il diritto internazionale.

Questo nuovo sviluppo solleva dubbi non solo sull'efficacia delle politiche di controllo sull'export di armamenti, ma anche sulla coerenza del governo italiano nel rispetto delle sue stesse dichiarazioni. Mentre il conflitto tra Israele e i suoi vicini si intensifica, con bombardamenti su Gaza e Libano, il supporto indiretto attraverso la fornitura di tecnologie militari rimette in discussione la neutralità dell'Italia in questa crisi.

Le organizzazioni pacifiste, inclusa PeaceLink, hanno da tempo criticato la mancanza di trasparenza del governo e denunciato il coinvolgimento dell’Italia nel complesso delle operazioni belliche israeliane. 

Questo episodio mette in luce, ancora una volta, come i vincoli tra interessi economici e geopolitici rischino di entrare in contrasto con quella che dovrebbe essere una reale politica di pace e di non cooperazione militare con Israele.


5. La riscrittura del diritto internazionale

Negli ultimi decenni, abbiamo assistito a una serie di conflitti che sembrano sfidare apertamente i principi fondamentali del diritto internazionale. Dall'invasione israeliana del Libano, passando per l'invasione russa dell'Ucraina e l'attuale controffensiva ucraina nella regione russa di Kursk, fino all'invasione dell'Afghanistan da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati, emerge un quadro preoccupante. Si stanno riscrivendo le regole del diritto internazionale in modo da adattarle al diritto del più forte, giustificando l'invasione di Stati sovrani, argomentata con le ragioni più varie. In questa distorsione della legalità internazionale, i carri armati o i bombardieri superano bellamente quei confini che dovrebbero essere posti a riconoscimento della sovranità territoriale di uno stato. "Save Gaza", Manifestazione ad Amsterdam, 29 settembre 2024

Il diritto internazionale, fondato sulla Carta delle Nazioni Unite, stabilisce chiaramente che l'uso della forza contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di un altro Stato è proibito. Tuttavia, queste norme sembrano essere diventate malleabili quando gli interessi delle grandi potenze o delle forze militari in gioco entrano in conflitto con il rispetto delle leggi internazionali. Assistiamo a narrazioni che giustificano l'uso della forza, invocando minacce imminenti, difese preventive o persino il concetto di "operazioni umanitarie". Questa giustificazione flessibile rende quasi ogni invasione legittima, smantellando la protezione che il diritto internazionale dovrebbe garantire ai popoli.

L'invasione russa dell'Ucraina, iniziata nel 2022, ha scatenato un'ondata di indignazione e condanne da parte della comunità internazionale, così come l'invasione del Libano da parte di Israele nel 1982 e quella dell'Afghanistan nel 2001. Non parliamo poi di Gaza e del martirio del popolo palestinese per il quale non vale mai il principio per cui la Nato era intervenuta per proteggere la popolazione del Kosovo nel 1999.

E così l'ipocrisia aumenta, aumenta sempre più. Ogni volta che un attore statale supera i confini di un altro Paese, con carri armati o bombardieri, la risposta internazionale appare frammentata e contraddittoria. Ognuno ha il suo manualetto di diritto internazionale, scritto per i propri beniamini. Ognuno ha i suoi esperti, i suoi accademici da portare in TV. Alcuni interventi militari vengono in tal modo condannati duramente, mentre altri vengono tollerati o addirittura supportati, a seconda dell'identità dell'aggressore e degli interessi economici o strategici in gioco.

Le conseguenze di questa erosione delle norme internazionali sono devastanti. Le popolazioni civili sono quelle che pagano il prezzo più alto. Conflitti sanguinosi, migrazioni forzate e distruzione di infrastrutture vitali diventano una costante nelle regioni colpite. Allo stesso tempo, la fiducia nella capacità delle Nazioni Unite e delle istituzioni internazionali di proteggere i diritti dei popoli svanisce sempre più. Ogni invasione non solo mina la stabilità della regione colpita, ma contribuisce a un clima di incoerenza dove il rispetto per la sovranità nazionale sembra essere opzionale. E nessuno è più credibile, ognuno ha uno scheletro nell'armadio e un'invasione da giustificare con le sue "buone" ragioni.

Di fronte a questo panorama, è urgente che la comunità internazionale riaffermi i principi fondamentali del diritto internazionale, a partire dall'inviolabilità dei confini e dal divieto di aggressione. La pace non può essere raggiunta con la forza, e ogni invasione, a prescindere dalle motivazioni che la accompagnano, rappresenta una sconfitta per il dialogo e la diplomazia. È solo attraverso una politica estera basata sul rispetto reciproco e la cooperazione leale che possiamo sperare di costruire un mondo più giusto e pacifico.

Le invasioni continueranno a rappresentare una minaccia finché non sarà ripristinato un vero ordine internazionale, dove le leggi valgono per tutti e dove nessuna potenza può violare impunemente i confini di un altro Stato. Come pacifisti, il nostro compito è quello di denunciare ogni forma di violenza e di lotta per un futuro in cui la risoluzione dei conflitti avvenga attraverso il dialogo e la diplomazia, e non attraverso la guerra.


6. Ma dove sono i pacifisti?

Prima di parlare di pace, dovremmo imparare a praticarla, a partire da noi stessi. Il paradosso è evidente: riusciamo a dividerci persino quando la situazione richiederebbe unanimità. In un'epoca in cui il dialogo costruttivo è stato soppiantato dalla contrapposizione sfrenata, l'ascolto attento è diventato una rarità. La voglia di prevaricare, alimentata da ansia di protagonismo, sta portando la dialettica verso un punto di non ritorno.

Il movimento pacifista, che una volta riusciva a fare massa critica, oggi appare sfrangiato. Recuperare le fila di questo movimento è un'impresa ardua, ma dobbiamo provarci. Ancora più difficile è trovare parole che possano unire in un contesto in cui prevale chi alza la voce più forte. Eppure, nonostante tutto, noi continuiamo a cercarle quelle parole che possano unite.

Da sempre, PeaceLink cerca di fare rete, di stimolare il pensiero critico e di invitare alla ricerca della verità. Il contesto attuale è forse più complicato che mai, ma una cosa deve essere chiara: nessuno si salva da solo. È essenziale trovare un terreno comune, anche nelle differenze.

Dobbiamo liberarci dall'individualismo, dal servilismo verso i potenti, e dall'opportunismo che ha distorto il modo di fare politica.

L'unica strada che ci rimane è quella dell'azione collettiva. E finché avrò la forza, continuerò a lottare per questo.

Adriana De Mitri

Consiglio Direttivo di PeaceLink

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Cosa è Albert

Il quotidiano pacifista

Questo nuovo strumento di comunicazione ha l'obiettivo di connettere le diverse realtà che sul territorio nazionale e internazionale si dedicano alla promozione della pace, della cultura, dell'ambiente e della lotta alle disuguaglianze. Ha cadenza quotidiana e si aggiorna durante la giornata.

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7. Cosa possiamo fare insieme

Come fare la spilletta "disertiamo"?

Scegli il produttore o il servizio

  • Online: molti siti web offrono servizi di creazione di spille personalizzate. Carichi il tuo file e scegli il formato, le dimensioni e altri dettagli.
  • Locale: cerca negozi di artigianato o laboratori che offrono questo servizio. Potresti avere più controllo sul processo e ottenere consigli personalizzati.

Per saperne di più su "disertiamo" (spilletta+campagna) contatta Valeria Poletti.


8. A Milano manifestazione unitaria per la pace

Scendere in piazza per dire NO alla guerra. È quello che è stato fatto martedì 1º ottobre 2024, dalle 18 in piazza San Babila, con una manifestazione per la Pace che ha avuto una buona partecipazione. Le immagini dell'evento testimoniano il successo dell’iniziativa.

L'ulteriore escalation militare in Libano e l’irresponsabile evocazione di scenari nucleari hanno reso ancora più urgente il bisogno di far sentire la voce della Pace, e i partecipanti hanno risposto con determinazione, ribadendo il rifiuto di ogni forma di violenza e guerra. Manifestazione per la Pace a Milano 1 ottobre 2024

L'evento ha visto la partecipazione di:

  • Cgil Milano
  • Anpi Milano
  • Arci Milano
  • Acli Milano
  • Aned Milano
  • Coordinamento Democrazia Costituzionale
  • Libertà e Giustizia
  • PD Milano metropolitana
  • Alleanza Verdi Sinistra Milano
  • Rifondazione Comunista Milano
  • Movimento 5 Stelle Manifestazione per la Pace, Milano 1 ottobre 2024

Insieme, hanno inviato un forte messaggio per fermare la spirale di violenza e promuovere la pace come unica via possibile. Nell'appello pubblico hanno scritto: "L’ulteriore escalation militare in Libano e l’irresponsabile evocazione di scenari nucleari non fanno che aggravare il già inaccettabile bilancio delle vittime civili. Dobbiamo dare voce alla Pace".

Cliccare su foto e video della manifestazione di Milano.

Note: LINK UTILI

Per altre informazioni utili sulla pace e la nonviolenza si segnala

Adista https://www.adista.it
Azione Nonviolenta https://www.azionenonviolenta.it
Centro di Ricerca per la pace https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Gaia https://ecoistituto-italia.org/cms-4/category/gaia-rivista/
Mosaico di Pace https://www.mosaicodipace.it
Pressenza https://www.pressenza.com/it/
Qualevita info@qualevita.it
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Tera Aqua https://ecoistituto-italia.org/cms-4/tera-e-aqua/
Vignette Mauro Biani https://x.com/maurobiani
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