Quei soldati ucraini morti per la gloria di Zelensky
ALBERT - BOLLETTINO PACIFISTA
Albert: la voce della ragione in tempi di guerra
1. Zelensky e il sacrificio dei soldati
Nel quadro drammatico della guerra in Ucraina, un episodio recente ha suscitato forti critiche all'interno dell'ambiente militare ucraino.
Il caso Emil Ishkulov e l’incursione suicida a Kursk
Il generale Maurizio Boni, in un articolo pubblicato su Analisi Difesa il 2 ottobre 2024, esamina la rimozione del comandante Emil Ishkulov, a capo dell’80a brigata d’assalto aviotrasportata ucraina, come simbolo delle decisioni insensate che hanno caratterizzato l’andamento delle operazioni ucraine. Ishkulov, secondo quanto riportato, avrebbe tentato di opporsi all'ordine di guidare un'incursione nella regione di Kursk, ritenendola un "suicidio". La sua opposizione è stata considerata intollerabile dalle autorità ucraine e ha portato alla sua destituzione.
Questa decisione di rimozione di un comandante di brigata, dettata da ragioni più politiche che strategiche, si inserisce in un quadro ancora più complesso. Secondo Boni, il presidente ucraino Zelensky necessitava di risultati militari positivi da presentare durante l'incontro alla Casa Bianca del 27 settembre, dove ha illustrato il suo "piano per la vittoria". Tuttavia, tali risultati non erano il frutto di avanzamenti concreti sul campo di battaglia, ma piuttosto di decisioni forzate e suicide, il cui unico obiettivo era mantenere un'immagine di forza e determinazione. Il comando ucraino ha così sacrificato uomini e risorse in un'avventura destinata all'insuccesso, un'operazione che non ha portato alcun risultato rilevante, se non la sofferenza e la morte di molti soldati.
Il generale Boni non è il solo a esprimere critiche. Anche Bloomberg ha riportato le perplessità degli alleati occidentali, i quali non sono riusciti a comprendere la logica dietro l’attacco a Kursk, in Russia. Le risorse ucraine, già limitate, sono state sprecate in una manovra che molti osservatori, fin dall'inizio, hanno giudicato inutile e controproducente. Giudizio che avevamo dato anche su PeaceLink a metà agosto.
Questo episodio fa emergere una verità amara: la vita dei soldati è stata sacrificata non per una necessità strategica o tattica, ma per fini di facciata. Il generale Boni evidenzia come decisioni del genere minino profondamente la fiducia dei soldati nei propri leader. Quando le vite vengono spese in maniera così superficiale, ciò non solo frattura il rapporto tra le forze armate e il governo, ma genera malcontento anche tra la popolazione civile, già stanca di vedere i propri figli partire per una guerra che sembra non avere fine.
A peggiorare la situazione, vi sono notizie che indicano come l’agenzia di sicurezza e controspionaggio ucraina (SBU) stia prendendo di mira quei comandanti che osano criticare Zelensky e le sue decisioni. Si tratta di un clima sempre più pesante per i militari ucraini, intrappolati tra un nemico determinato e la necessità di obbedire a ordini che non tengono conto della loro sicurezza o del buon senso strategico.
L’episodio della rimozione di Emil Ishkulov si inserisce in una più ampia riflessione sulla guerra e sul prezzo umano che essa comporta.
Come pacifisti, non possiamo ignorare il sacrificio di queste vite per decisioni politiche che non sembrano orientate verso una reale risoluzione del conflitto, ma verso il mantenimento di un’immagine e di una posizione di potere.
È fondamentale continuare a denunciare queste ingiustizie, perché i soldati non dovrebbero mai essere considerati pedine da sacrificare per la gloria personale di alcun leader.
La caduta di Vuhledar
Un altro esempio emblematico di spreco delle vite umane per la gloria di Zelensky è la recente caduta di Vuhledar, conosciuta in russo come Ugledar, situata nel sud della regione di Donetsk. Le truppe ucraine, già sotto pressione da parte delle forze russe, si sono trovate intrappolate a causa di ordini tardivi e di una strategia dettata più dalla necessità di Zelensky di apparire vittorioso agli occhi degli alleati occidentali che da considerazioni tattiche sul campo.
Secondo quanto riportato dal generale Maurizio Boni su Analisi Difesa, l'esercito russo ha intensificato gli attacchi ai lati della città di Ugledar, provocando il crollo delle linee difensive ucraine. Nonostante la gravità della situazione, il comandante in capo delle forze armate ucraine, generale Alexander Syrsky, avrebbe atteso troppo a lungo prima di ordinare la ritirata, eseguendo così un ordine esplicito del presidente Zelensky. Quest'ultimo, impegnato a presentare il suo "piano per la vittoria" durante la visita negli Stati Uniti del 27 settembre, non poteva permettersi di apparire sconfitto sul campo di battaglia proprio mentre cercava di ottenere il sostegno internazionale.
La realtà sul terreno racconta una storia drammatica. La 72a brigata meccanizzata ucraina, che aveva difeso Vuhledar per oltre due anni, si è trovata in una situazione disperata. Il colonnello Ivan Vinnik, comandante della brigata, sarebbe stato rimosso dal suo incarico dopo lo sfondamento russo, in un chiaro tentativo di trovare un capro espiatorio per il fallimento della difesa della città. Nel frattempo, le truppe ucraine hanno ricevuto troppo tardi l'autorizzazione a ritirarsi, con la strada per Bogoyavlenka ormai sotto il controllo russo, bloccando di fatto ogni possibile via di fuga.
L’accusa del generale Boni è chiara: la città di Ugledar è stata sacrificata non per ragioni strategiche, ma per calcoli politici. Zelensky ha preferito mantenere la posizione il più a lungo possibile, per evitare che la notizia della caduta della città oscurasse la sua presentazione del "piano per la vittoria" negli Stati Uniti. Così facendo, ha messo in pericolo la vita di centinaia di soldati ucraini, lasciandoli alla mercé del fuoco russo.
Il cinismo di Zelensky e il servilismo del generale Syrsky
Non è la prima volta che il generale Syrsky viene descritto come un uomo troppo docile nei confronti delle richieste politiche. Già in passato, il Economist lo ha definito un comandante "pronto a sacrificare truppe e mezzi" per soddisfare le esigenze della leadership politica di Kiev. Ricordiamo che Zelensky aveva sostituito con Syrsky il precedente capo delle forze armate Valery Zaluzhny perché era poco malleabile. A Zelensky serviva un militare obbediente, anche nel commettere forzature ed errori richiesti dal decisore politico per ragioni di prestigio internazionale.
In questo contesto, la tragica caduta di Vuhledar appare come l'ennesimo esempio di come la vita dei soldati venga sacrificata per fini di immagine.
La caduta di Vuhledar (ora Ugledar) non rappresenta solo una sconfitta militare, ma un simbolo della strategia fallimentare di Zelensky, il quale, nel tentativo di mantenere il sostegno dei suoi alleati occidentali, sembra disposto a sacrificare il suo stesso esercito.
Noi pacifisti abbiamo un dovere: quello di denunciare queste condotte disumane nella già disumana guerra. Dobbiamo continuare a esigere che le vite umane non siano mai considerate merce di scambio per calcoli politici.
La guerra, in tutta la sua brutalità, rivela in modo crudo l'ipocrisia di una leadership che sacrifica i propri cittadini per mantenere il potere.
2. Una guida all'azione per i pacifisti
Il dossier "Fermare le guerre, costruire la pace" è una guida illustrata che analizza in modo approfondito il legame tra la produzione di armi, i conflitti globali e la necessità di costruire un mondo basato sulla pace e sulla nonviolenza. Curato dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo ODV con l'adesione di organizzazioni come Altreconomia, Attac Italia, Eco Istituto del Veneto, Peacelink e Pax Christi, questo dossier propone una riflessione sulle scelte economiche e politiche necessarie per evitare le guerre e promuovere la pace.
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