La pace non è ancora perduta. Enorme manifestazione a Berlino
La mobilitazione a livello nazionale per questa manifestazione per la pace nella Giornata dell’Unità tedesca è stata uno sforzo enorme, soprattutto in questi tempi politicamente polarizzati. Gli organizzatori sono riusciti a costruire un ponte tra gli schieramenti politici. Al comizio finale sono intervenuti rappresentanti di spicco di vari partiti, tra cui Gesine Lötzsch (deputata di Die Linke), Ralf Stegner (deputato socialdemocratico), Peter Gauweiler (deputato dell’Unione Cristiano Sociale) e Sahra Wagenknecht (deputata del movimento che porta il suo nome). Il messaggio centrale è stato chiaro: per creare la pace, o almeno per evitare il peggio, è necessario che si uniscano le voci di tutti gli schieramenti politici.
Gli organizzatori meritano il nostro ringraziamento per essere riusciti in questo difficile compito. Se l’ampiezza politica del movimento abbia contribuito alla mobilitazione o sia stata un ostacolo – vista la tendenza odierna a prendere le distanze e a escludere chi la pensa diversamente – rimane una questione aperta e non dovrebbe essere il criterio decisivo.
Il movimento per la pace ha raggiunto quello che oggi è possibile come mobilitazione di piazza nel mondo attuale, tuttavia i sostenitori della pace possono essere sicuri di avere un ampio sostegno tra la popolazione. Ci sono molte ragioni per cui questo non si riflette in una maggiore presenza nelle strade.
Tutti gli oratori si sono trovati d’accordo su due punti centrali: il rifiuto dello stazionamento di missili a medio raggio statunitensi in Germania e la richiesta urgente di negoziati per porre immediatamente fine alle guerre in Ucraina e in Medio Oriente.
Unica eccezione il socialdemocratico Ralf Stegner, che ha evidentemente cercato di trovare un equilibrio tra il sostegno a una politica di pace e la fedeltà al Cancelliere federale Olaf Scholz, cosa che non gli è riuscita affatto. Proprio all’inizio del suo discorso, ha chiarito che è giusto sostenere l’Ucraina nella sua autodifesa, giustificando così le forniture di armi. Tuttavia, questa dichiarazione è stata accolta da forti fischi. Quando poi ha ribadito che la Germania deve fare tutto il possibile per garantire la sicurezza di Israele, l’appello della moderatrice Wiebke Diehl ad ascoltare opinioni diverse non è servito più. I presenti non avevano più la pazienza di ascoltare le stesse argomentazioni diffuse quotidianamente dai media tradizionali.
L’esponente socialdemocratico ha però ricevuto l’elogio di Peter Gauweiler, che ha osservato come Stegner si trovi in una situazione molto più difficile della sua e gli ha espresso rispetto. “Abbiamo bisogno di più voci in Parlamento che si esprimano in questa direzione”, ha aggiunto Gauweiler.
Il discorso di Gauweiler ha suscitato stupore ed entusiasmo tra il pubblico. “Da qualche tempo stiamo venendo meno a una promessa che può essere definita la promessa fondante dell’esercito tedesco: impiegare le forze armate solo per la difesa nazionale”, ha sottolineato. “Se l’esercito spara il primo colpo, ha fallito la sua missione”, ha detto Gauweiler, citando il politico bavarese Franz Josef Strauß a proposito del ruolo dell’esercito.
Gauweiler ha ricordato che il governo Kohl si era rifiutato di inviare in Jugoslavia anche un solo soldato tedesco, persino con i caschi blu dell’ONU. Dagli anni ’90, tuttavia, ha proseguito Gauweiler, la Germania ha intrapreso guerre al di fuori della difesa nazionale, presumibilmente “per i nostri valori”. I risultati di queste missioni sono stati disastrosi: l’inutilità di queste guerre era inversamente proporzionale all’alto numero di vittime. Dal 1999 più di un milione di persone sono morte nelle guerre condotte dall’Occidente.
Ha riassunto così i due pesi e le due misure: “I giudici sanno che si può mentire anche con la verità. Questo vale anche per l’Unione Europea. Essa è stata concepita come fondamento per l’intera Europa e non come elemento di una nuova divisione e Bruxelles sa meglio di chiunque altro che non è giusto incolpare solo una parte per la storia di questo conflitto, perché ciò non corrisponde ai fatti”.
Anche Sahra Wagenknecht ha espresso il suo rispetto a Stegner per aver parlato in questa sede, ma ha aggiunto che i socialdemocratici sotto Scholz e Pistorius non fanno certo parte del movimento per la pace. “Tuttavia, sono felice di tutte le voci che si esprimono a favore di un percorso diverso. Abbiamo bisogno di queste voci per evitare che venga portata avanti la linea di Scholz, Pistorius e altri, che fanno ciecamente ciò che viene dettato loro da Washington”.
La Wagenknecht ha anche fatto riferimento al giorno della riunificazione della Germania, in cui si è svolta la manifestazione, e ha ringraziato Mikhail Gorbaciov per aver reso possibile la riunificazione e i cambiamenti in tutta l’Europa orientale. “L’Unione Sovietica ha ritirato le sue truppe senza sparare un colpo e senza essere costretta a farlo. Ha teso la mano per la pace”.
Tuttavia, ha anche posto la domanda: “Dove siamo oggi, trent’anni dopo? Ancora una volta in un mondo in fiamme: in Medio Oriente si profila una grande guerra, in Ucraina da due anni e mezzo infuria un terribile conflitto che potrebbe degenerare in una grande guerra europea”. Si è detta particolarmente indignata per il possibile stazionamento di missili statunitensi a medio raggio in Germania. “Ci viene detto che è normale e che non c’è motivo di protestare. Mio Dio, è una follia!”.
Rivolgendosi al Ministro degli Esteri Annalena Baerbock, che aveva definito il risultato delle elezioni nella Germania dell’Est un rischio per la sicurezza, Wagenknecht ha detto: “Coloro che si affidano a soluzioni militari e ci trascinano sempre più a fondo nelle guerre sono il vero rischio per la sicurezza del nostro Paese”.
Anche se oggi il movimento per la pace non porta in piazza un milione di persone come contro la guerra in Iraq nel 2003, ciò non significa che non sia profondamente radicato nella popolazione. Lo sforzo vale la pena, come la manifestazione di giovedì ha dimostrato in modo impressionante. La pace non è ancora perduta.
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