Sconfiggere la fame riducendo dell'1% le spese militari
Albert - Bollettino quotidiano pacifista
Edizione speciale per la Giornata Mondiale dell'Alimentazione
Sconfiggere la fame riducendo dell'1% le spese militari
Oggi, 16 ottobre, in occasione della Giornata Mondiale dell'Alimentazione, è doveroso riflettere sulla piaga della fame, una condizione che affligge milioni di persone in tutto il mondo, mentre le risorse vengono destinate a spese militari astronomiche. Nel 2023, oltre 705.000 persone sono state classificate a rischio di morte per fame a livelli di catastrofe di insicurezza alimentare. Questo numero, tragicamente quadruplicato dal 2016, rappresenta il picco massimo nella storia dei rapporti del Global Report on Food Crises (GRFC). Ogni giorno migliaia di bambini e adulti affrontano la malnutrizione e la carestia, mentre i governi continuano a spendere miliardi per la guerra.
La fame è aumentata mentre aumentavano le spese militari
Dal 2016 a oggi, le spese militari globali hanno registrato un significativo aumento. Ecco un'analisi dettagliata di questo trend elaborata tramite la piattaforma di Intelligenza Artificiale di Perplexity.
Aumento delle spese militari
- Spesa totale nel 2016: Nel 2016, la spesa militare globale era di circa 1.686 miliardi di dollari.
- Spesa totale nel 2023: Nel 2023, la spesa ha raggiunto un record di 2.443 miliardi di dollari, con un incremento del 6,8% rispetto all'anno precedente, il più alto dal 2009.
Incremento percentuale
- Crescita dal 2016 al 2023: Questo rappresenta un aumento complessivo di circa il 45% in sette anni, passando da 1.686 miliardi a 2.443 miliardi di dollari.
Ridurre le spese militari per eliminare la fame nel mondo
Un dato allarmante emerge dalle analisi di PeaceLink: basterebbe una riduzione del 5,7% delle spese militari dei soli Paesi del G7 per eliminare la morte per fame, la malaria e la mortalità infantile in eccesso nel mondo. Questo ridurrebbe:
- La morte per fame del 0,94%;
- La morte per malaria del 1,06%;
- La mortalità infantile in eccesso del 3,7%.
E tutto ciò potrebbe avvenire senza compromettere la superiorità militare dell'Occidente sulla Russia. I Paesi del G7, che insieme spendono 1.166 miliardi di dollari all'anno in armamenti, non perderebbero il loro vantaggio rispetto alla Russia, che spende "solo" 109 miliardi di dollari all'anno.
Il costo della guerra contro il diritto al cibo
Oggi, più che mai, è evidente l'assurdità di un mondo che investe enormi risorse nel conflitto mentre le persone muoiono di fame. Il World Food Programme e altri enti umanitari continuano a lanciare allarmi sulle crisi alimentari globali, aggravate dai conflitti in corso. Le guerre, oltre a distruggere vite umane, distruggono anche la capacità di produrre cibo, minacciando intere comunità agricole e peggiorando ulteriormente le condizioni di vita dei più vulnerabili.
Un messaggio di pace e giustizia sociale
La soluzione è alla portata: tagliando appena l'1% del bilancio militare del G7 si potrebbe eliminare la fame nel mondo. Non si tratta solo di un sogno utopico, ma di una reale possibilità se si avessero la volontà politica e morale di agire. Investire in cibo, salute ed educazione piuttosto che in armi significherebbe un cambiamento di paradigma verso un futuro più giusto, equo e pacifico.
Agire ora per un mondo senza fame e senza guerra
Come movimento pacifista, occorre avere il coraggio di dire la verità: è ora di invertire la rotta e di investire nella vita, non nella morte. È urgente costruire una mobilitazione globale per ridurre drasticamente le spese militari e destinare quelle risorse alla lotta contro la fame e alle emergenze umanitarie. Solo così possiamo creare un futuro dove la pace e il benessere siano davvero alla portata di tutti.
Unisciti a noi in questa lotta: la pace non è solo assenza di guerra, è anche il diritto a vivere in dignità, senza fame e ingiustizia.
L'obiezione di coscienza alla guerra
La resistenza dal basso contro la guerra: l'impegno di obiettori israeliani e attivisti palestinesi
Mentre la violenza in Medio Oriente sembra inarrestabile, con l’esercito israeliano che continua a seminare morte tra Gaza, Cisgiordania e Libano, e le condanne internazionali non producono effetti concreti, esiste una speranza: una resistenza pacifista e nonviolenta che sfida la logica dell'odio e della guerra. È una resistenza incarnata da giovani israeliani e palestinesi che rifiutano la violenza e l’occupazione militare, offrendo al mondo un esempio di coraggio morale.
In Israele, il movimento Mesarvot, una rete di giovani obiettori di coscienza, si oppone con forza all’obbligo del servizio militare e al regime di occupazione. Questi ragazzi, nonostante le pesanti condanne al carcere militare, continuano a protestare contro la guerra, organizzando manifestazioni congiunte con attivisti palestinesi e chiedendo una soluzione diplomatica al conflitto. Mesarvot sostiene gli obiettori durante tutto il loro percorso, offrendo assistenza legale e tutoraggio, e incoraggia i giovani israeliani a disobbedire agli ordini bellici del loro governo.
Parallelamente, in Palestina, il Community Peacemaker Teams (CPT), attivo dal 1995, lavora a sostegno della resistenza nonviolenta contro l'occupazione israeliana, monitorando le violazioni dei diritti umani e supportando le comunità locali. Il loro impegno si concentra in particolare nell’area di Hebron, dove documentano le oppressioni subite dai palestinesi, fornendo informazioni anche alle Nazioni Unite.
Questi due movimenti collaborano con il Movimento Nonviolento italiano, che ha organizzato un tour congiunto di obiettori israeliani e attivisti palestinesi dal 15 al 27 ottobre in diverse città d’Italia. Tra i partecipanti, Sofia Orr, obiettrice di coscienza incarcerata più volte per il suo rifiuto di arruolarsi nell’esercito israeliano, e Daniel Mizrahi, figlio di coloni ebrei nei territori occupati che ha rifiutato il servizio militare per motivi di pacifismo, così come le attiviste palestinesi Tarteel Al-Junaidi e Aisha Omar.
Questo tour culminerà nella Giornata di mobilitazione nazionale per la pace del 26 ottobre, organizzata dalla Rete Italiana Pace e Disarmo. È un’opportunità per tutti di sostenere l’obiezione di coscienza e la resistenza nonviolenta, unendo le voci di chi, come Carlo Rovelli, afferma: “Per cessare il fuoco bisogna non sparare, per fermare la guerra bisogna non farla”.
Si ringrazia Pasquale Pugliese per l'invio di queste informazioni e il Movimento Nonviolento per l'organizzazione dell'iniziativa.
Gaza e Libano
Resoconto degli ultimi sviluppi in Medio Oriente
La situazione in Medio Oriente continua a degenerare con nuovi raid aerei israeliani in Libano e Gaza, proteste internazionali e reazioni diplomatiche contrastanti. Ecco un riepilogo degli eventi più significativi.
Manifestazioni pro-Gaza a New York
Lunedì scorso, circa 200 manifestanti pro-Gaza sono stati arrestati dalla polizia fuori dalla Borsa di New York. I dimostranti, seduti in protesta pacifica, hanno intonato slogan come "Lasciate vivere Gaza!" e "Giù con l'occupazione!" prima di essere presi in custodia. L'episodio rappresenta l'ultimo esempio della crescente ondata di solidarietà internazionale con la causa palestinese, che si sta diffondendo anche nei principali centri economici globali.
Raid israeliani in Libano e Gaza
Nonostante le crescenti obiezioni da parte degli Stati Uniti, Israele ha intensificato i bombardamenti su Beirut e altre località libanesi, causando decine di morti e feriti. Solo ieri, un raid nel sud del Libano ha provocato 10 morti e 15 feriti a Qana, mentre un altro attacco aereo a Riyaq ha ucciso cinque persone, tra cui tre bambini. Il bilancio complessivo della giornata ha visto 41 morti e 124 feriti in varie parti del Libano. La tensione tra Israele e Hezbollah continua a crescere, con 20 razzi lanciati da Hezbollah verso Haifa e la Galilea, molti dei quali intercettati dalle forze israeliane. In risposta, Hezbollah ha minacciato di colpire tutte le zone di Israele, dal nord al sud.
Condanna internazionale e inchieste Onu
Il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, ha dichiarato che gli attacchi contro le forze di pace Unifil nel sud del Libano potrebbero costituire un crimine di guerra. Dal 1° ottobre, le basi delle Nazioni Unite sono state colpite almeno 20 volte, con cinque peacekeepers feriti. L’Onu ha chiesto un’inchiesta indipendente e approfondita sull’attacco che ha ucciso 22 persone nel villaggio cristiano di Aïto, compresi 12 donne e due bambini.
La posizione degli Stati Uniti
Il governo americano ha espresso preoccupazione per i recenti raid israeliani su Beirut. John Kirby, portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, ha dichiarato che Washington non sostiene questi attacchi "così come sono stati portati avanti". Gli Stati Uniti hanno chiesto a Israele di rispettare il ruolo di Unifil in Libano e di evitare ulteriori escalation. Matthew Miller, portavoce del dipartimento di Stato americano, ha inoltre chiesto a Israele di apportare immediati cambiamenti nella sua gestione del conflitto a Gaza, sottolineando la necessità di una risposta diplomatica.
Conclusione
Mentre le violenze si intensificano e le vittime aumentano, la comunità internazionale sembra divisa tra chi condanna fermamente l'azione israeliana e chi invoca soluzioni diplomatiche senza però intervenire concretamente. L'attuale situazione pone in pericolo non solo le vite dei civili, ma anche la stabilità dell'intera regione, con il rischio di un'escalation ancora più devastante. Le informazioni sono state tratte dal Sole 24 Ore ed elaborate con l'Intelligenza Artificiale.
Immigrazione e solidarietà
"Altri Mondi": incontro a Torino sui temi dell'immigrazione e della cooperazione internazionale
Il 17 ottobre 2024, la Rete delle Comunità Solidali (Recosol), in collaborazione con la Città Metropolitana di Torino e Generazione Cooperazione, organizza l'evento "Altri Mondi" presso la Città Metropolitana di Torino (Corso Inghilterra 7). L'incontro, che inizia alle ore 14:30, ha l’obiettivo di aprire un dialogo sui temi dell’immigrazione, della cooperazione internazionale e della costruzione di una società inclusiva.
Recosol, impegnata dal 2003 in progetti di cooperazione decentrata, promuove la conoscenza dei Paesi di provenienza dei migranti, cercando di contrastare pregiudizi e favorire un dialogo costruttivo. Tra i temi trattati, vi sarà un focus sulle migrazioni causate dai cambiamenti climatici, come le siccità nel Sahel che hanno creato tensioni locali.
L'evento sarà moderato da Elena Apollonio, con interventi istituzionali di Rossana Schillaci e Filippo Guerra. Edgar José Serrano dell'Università di Padova presenterà un'analisi sulle transizioni identitarie dei migranti, seguita da testimonianze dirette di operatori e rappresentanti di associazioni legate alla cooperazione. Tra questi: Arnaud Yao (Costa d'Avorio), Lucia Okiemute (Nigeria), Berthin Nzonza (Congo), e Silvana Cavallo (Mali).
L’incontro mira a promuovere la cittadinanza globale e la cooperazione tra territori, con interventi di Stefania Di Campli, Davide Gandolfi, e Edoardo Daneo, e il consigliere comunale somalo Ahmed Abdullahi Abdullahi, che parlerà del coinvolgimento delle diaspore nelle dinamiche sociali.
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