Ucraina: è finita la fiducia della vittoria militare
ALBERT
BOLLETTINO PACIFISTA
La voce della ragione in tempi di guerra
Dopo tante illusioni, la realtà prevale sulla propaganda
Con grande ritardo Zelensky ha detto ciò che gli analisti militari sostenevano da molto tempo e con dovizia di dati.
Zelensky ha ammesso che l’Ucraina non ha le forze necessarie per riconquistare la Crimea e il Donbass. Una dichiarazione che suona come una pietra tombale sulle speranze alimentate da mesi di retorica bellica. Dopo innumerevoli vittime, indicibili sofferenze e un’escalation che ha devastato famiglie e territori, la cruda realtà emerge: ciò per cui migliaia di soldati ucraini sono stati mandati a morire non è realizzabile.
Nel frattempo non solo l'Ucraina non si è ripresa la Crimea e il Donbass ma ha continuato a perdere terreno e uomini. La retorica di combattere a oltranza la "guerra giusta" è stata controproducente per gli ucraini e ha dato a Putin l'occasione di continuare a conquistare terreno mentre anche la sinistra europea vaneggiava su improbabili sogni di vittoria.
Zelensky ha dovuto guardare i dati di realtà, quelli che PeaceLink ribadiva fin dal dicembre dello scorso anno.
Questa dolente ammissione del presidente ucraino, ora tragicamente consapevole che non può vincere contro forze militari russe tre o quattro volte superiori, non è solo un segno di lucidità tardiva, ma anche una denuncia implicita del fallimento di una strategia costruita sull’illusione. L’illusione che le armi potessero essere la soluzione. L’illusione che la vittoria fosse inevitabile. L’illusione che il sostegno militare incondizionato potesse cambiare la geografia della guerra. A marzo di quest'anno tanti europarlamentari hanno votato per la vittoria e PeaceLink ne ha mantenuto la lista dei nomi.
Vi ricordate Zelensky che distribuiva il "piano della vittoria" nei vertici internazionali dell'ottobre scorso?
Era pura propaganda. E l'ammissione odierna che non vi siano le forze necessarie per vincere ne è la conferma perché è impossibile che Zelensky non sapesse due mesi fa come stessero realmente le cose. Qualche giorno fa la presidente dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo ritornava su questa assurda teoria della "vittoria".
Oggi sappiamo che tutto questo era propaganda senza fondamento.
Quante vite si sarebbero potute salvare se si fosse analizzata meglio la realtà anzichè fare propaganda? La retorica della "vittoria", promossa da leader occidentali come Ursula von der Leyen, ha infiammato animi e spinto un’intera nazione in un conflitto senza fine, ma ora risulta chiaro che le promesse di gloria non avevano basi solide.
Per i tanti che non ci sono più, questa ammissione arriva troppo tardi. E per chi resta, non sarà facile fare i conti con la verità che è stata nascosta o distorta per giustificare sacrifici inutili.
Ogni guerra finisce con un negoziato, a meno che non ci sia la disfatta di uno dei due contendenti e la resa senza condizioni. C'era chi immaginava la disfatta di Putin così come è avvenuto con Assad. E invece no.
Ma quanti morti ci saranno ancora prima che si torni a parlare, prima che si costruisca ciò che questa guerra ha distrutto: ponti tra i popoli, speranza e pace?
È il momento di abbandonare la retorica delle armi e pretendere un cambio di rotta. La verità, anche quando arriva tardi, deve essere l’inizio di un nuovo cammino.
Alessandro Marescotti
Mao Valpiana (Movimento Nonviolento): "Noi l'avevamo detto"
Kursk, fotografia del fallimento di un'operazione militare
Basta vedere questa mappa dell'ISW per rendersi conto che le conquiste ucraine nella regione russa di Kursk (a nord) sono irrisorie rispetto alle conquiste russe nel Donbass. E questo smentisce l'assunto di fondo di Zelensky, ossia che le conquiste nella regione russa di Kursk potessero essere merce di cambio utile in un negoziato per rivendicare il Donbass.
La fotografia della situazione sul campo è impietosa e spazza via ogni propaganda.
L'operazione militare pensata da Zelensky invadendo la Russia è stata un fallimento e un grave danno all'immagine di una guerra presentata come "difensiva".
L'8 agosto scorso scrivevamo su PeaceLink: "Quest'azione, considerata sotto il profilo militare come un'incursione confusa e pericolosa, presenta rischi significativi per l'assenza di prospettive di successo strategico a lungo termine".
E lo scorso 13 ottobre scrivevamo: "Kursk è una regione della Russia dove Zelensky sta facendo affluire truppe per dimostrare che sta mettendo in difficoltà Putin. Ma così facendo le sottrae alle difese del Donbass, dove il suo fronte difensivo sta infatti progressivamente cedendo. Il suo ex comandante delle forze armate gli aveva detto: non farlo, è sbagliato. Lo ha ascoltato? Macché: lo ha sostituito. E così Valerij Fedorovyč Zalužnyj, brillante generale che ha tenuto testa alle armate russe, adesso è declassato ad ambasciatore".
Italiani: nei sondaggi disobbediscono alla Nato
Invio armi in Ucraina: diminuiscono i favorevoli
Aumento delle spese militari: in crescita i contrari
Una cosa interessante che emerge dai sondaggi è che la percentuale dei favorevoli all'aumento delle spese militari diminuisce quando la stessa domanda viene rifatta in presenza di nuove informazioni. La risposta "informata" restituisce un sostegno all'aumento delle spese militari che risulta inferiore almeno dell'11% (ma anche del 13%).
Altre informazioni interessanti sono presenti in un sondaggio commissionato da Greenpeace.
La persecuzione degli obiettori di coscienza in Ucraina
Dall’estate del 2024, il numero di nuovi casi penali contro gli obiettori di coscienza in Ucraina ha registrato un preoccupante aumento. Una lettera dell’ufficio del procuratore generale ai pubblici ministeri locali sembra aver dato il via a una stretta repressiva, incoraggiando azioni giudiziarie anche contro coloro che fossero stati precedentemente assolti dai tribunali.
Trecento processi in corso
Attualmente, circa 300 obiettori di coscienza stanno affrontando indagini penali. Se queste porteranno a condanne, i diretti interessati rischiano pene detentive da 3 a 5 anni, secondo quanto previsto dall’articolo 336 del codice penale. Degli 89 casi già giunti in tribunale, 9 si sono conclusi con pene detentive (sebbene un solo obiettore sia attualmente in carcere), 11 con condanne sospese, mentre 66 processi restano in corso.
La situazione si inserisce in un contesto segnato dalla legge marziale, dichiarata dall’Ucraina all’inizio della rinnovata invasione russa nel febbraio 2022. Con la mobilitazione generale, tutti gli uomini tra i 18 e i 60 anni sono stati resi eleggibili per il servizio militare e privati del diritto di lasciare il paese. Il Ministero della Difesa ha inoltre dichiarato che il servizio alternativo previsto in tempo di pace non è applicabile in tempo di guerra, privando così gli obiettori di una via legale per esercitare il proprio diritto alla nonviolenza.
Questa escalation solleva interrogativi profondi. Perché perseguitare chi rifiuta la guerra per convinzione etica o religiosa? Gli obiettori di coscienza non sono criminali, ma cittadini che scelgono di non alimentare il ciclo di violenza. La loro scelta dovrebbe essere rispettata come un diritto umano fondamentale, riconosciuto anche da organismi internazionali come il Consiglio d’Europa e le Nazioni Unite.
Zelinsky contro Zelensky
Di particolare interesse è la storia di Dmytro Zelinsky, obiettore di coscienza avventista del settimo giorno che è stato incarcerato per il suo rifiuto a portare le armi. Il 13 giugno, la Corte Suprema di Kiev ha respinto il suo appello finale contro la sua condanna e la sua incarcerazione. Qui potete vedere la sua foto.
Un altro esempio è il caso di Mykhailo Yavorsky, condannato a un anno di carcere per il suo rifiuto di partecipare alla mobilitazione. Nonostante i tribunali di primo grado e di appello abbiano ritenuto che Yavorsky avesse profonde e sincere convinzioni religiose incompatibili con il servizio militare, per cui, ai sensi dell’articolo 35 della Costituzione ucraina, avrebbero dovuto esonerarlo, le sue convinzioni sono state considerate solo una “circostanza attenuante”.
"Continue vessazioni nei confronti degli attivisti per la pace e gli obiettori di coscienza"
“L'Ucraina viola palesemente i diritti umani degli attivisti per la pace e degli obiettori di coscienza”: è intitolato così il comunicato stampa congiunto diffuso a fine anno dall’Ufficio europeo per l’obiezione di coscienza (EBCO), da War Resisters’ International (WRI), da International Fellowship of Reconciliation (IFOR) e dall’organizzazione tedesca Connection e.V., che insieme hanno espresso profondo rammarico e grave preoccupazione per “le continue vessazioni nei confronti degli attivisti per la pace e degli obiettori di coscienza”.
La repressione in Ucraina rappresenta un duro colpo ai diritti umani, ma anche un’occasione per riflettere. Come può un paese che dice di lottare per la libertà negare la libertà di coscienza ai propri cittadini?
Noi, che lottiamo per la pace, chiediamo che la comunità internazionale intervenga per garantire il rispetto dei diritti degli obiettori di coscienza. L’Ucraina non può continuare questa guerra negando quei principi di libertà e dignità umana che dice di voler difendere.
Altre informazioni sono qui. E anche qui.
La situazione degli obiettori di coscienza in Russia
Anche in Russia molti obiettori si trovano in situazioni disperate. Ad esempio gli obiettori fuggono all'estero in paesi come il Kazakistan o la Georgia.
Stretta repressiva
Nel 2023, la Russia ha intensificato la sua repressione nei confronti degli obiettori di coscienza attraverso modifiche legislative che rendono più difficile per le persone esprimere la loro opposizione alla guerra. Il movimento degli obiettori è stato messo fuorilegge, e le autorità hanno utilizzato leggi antiestremismo per perseguire attivisti pacifisti e dissidenti.
Questo ha portato a procedimenti giudiziari arbitrari e a pene detentive severe per coloro che si oppongono pubblicamente al servizio militare.
L'attrice russa Chulpan Khamatova, nota per i suoi ruoli in Arrivederci, Lenin! e l'influenza di Petrov, è stato costretto a lasciare la Russia dopo aver firmato una petizione contro la guerra.
I processi
Nel 2023, diversi attivisti sono stati condannati a pene detentive significative per aver rifiutato il servizio militare o per aver espresso opinioni contrarie alla guerra. Più di 100 testimoni di Geova sono stati arrestati e perseguitati da quando la loro religione è stata bandita nel 2017.
Reazioni internazionali
La comunità internazionale ha espresso preoccupazione per la situazione degli obiettori di coscienza in Russia. Organizzazioni come War Resisters’ International hanno denunciato le continue vessazioni e le ingiustizie subite dagli attivisti pacifisti. In risposta a questa crisi, è stata lanciata una campagna internazionale per chiedere protezione per gli obiettori e i disertori russi, ucraini e bielorussi che si rifiutano di partecipare alla guerra. La petizione associata ha superato le 50.000 firme.
Fonte: Perplexity
Altre informazioni qui e anche qui. Vedere anche Wikipedia in inglese.
Lettera a Marco Tarquinio per richiedere di un’indagine sui crimini jiadisti in Siria
Siria: ingerenze di Turchia e Qatar e un grido di allarme da Roma
Sabato 21 dicembre, a Roma vi sono stati due happening spontanei per denunciare la situazione in Siria e per esprimere preoccupazione riguardo al potere in mano alle forze jihadiste, sostenute dalla Turchia e con la compiacenza del Qatar. Il messaggio dei cartelli esposti è stato chiaro: la Siria non può essere lasciata nelle mani di coloro che alimentano il terrorismo. Gli organizzatori hanno inoltre evidenziato il ruolo ambiguo delle potenze occidentali, spesso silenziose di fronte alle violazioni per ragioni geopolitiche o economiche.
Le ingerenze di Turchia e Qatar
Il Qatar, da tempo accusato di sostenere finanziariamente gruppi ribelli e fazioni estremiste, gioca un ruolo ambiguo in Siria. Dietro una facciata di interventi umanitari, Doha ha spesso alimentato la rete di finanziamenti che ha rafforzato gruppi jihadisti come Hay'at Tahrir al-Sham (HTS). L’azione del Qatar ha contribuito a destabilizzare ulteriormente il paese, già devastato da oltre un decennio di conflitto.
Ankara, dal canto suo, ha adottato una strategia espansionista sotto la guida del presidente Recep Tayyip Erdogan. La Turchia ha occupato diverse aree del nord della Siria, collaborando apertamente con gruppi jihadisti per mantenere il controllo del territorio. Questa alleanza, che ha il doppio obiettivo di combattere le forze curde e consolidare la propria influenza regionale, ha aggravato le violazioni dei diritti umani, causando morti, sfollamenti e devastazioni.
I curdi sotto attacco
Le operazioni turche hanno preso di mira in particolare la popolazione curda, già martoriata da anni di oppressione. Le forze curde che hanno lottato contro l’ISIS ora si trovano vulnerabili e sotto il costante attacco delle forze sostenute da Ankara.
Gli happening del 21 dicembre ci ricordano che la pace non si costruisce sdoganando le forze jiadiste responsabili di gravi attentati in tutto il mondo.
Rutte, "cattivo maestro"
Giovedì 12 dicembre, alla Fondazione Carnagie Europe di Bruxelles, Rutte diceva che ormai “è ora di passare a una mentalità di guerra”,aggiungendo che non è sufficiente l’obiettivo del 2% del PIL da dedicare alle spese militari dei Paesi membri della Nato, ma è necessario aumentarlo ulteriormente – nonostante essi coprano già il 55% della spesa militare globale (a fronte del 12% della Cina e del 4% della Russi, dati SIPRI) – recuperando ulteriori risorse a questo scopo “dalle pensioni, dalla sanità e dalla previdenza sociale”. Rutte non è nuovo a queste dichiarazioni, se possibile più violentemente oltranziste di quelle del suo predecessore Stoltenberg: già ad inizio dicembre aveva intimato ai ministri degli esteri dei paesi Nato di avere, rispetto alla guerra in Ucraina, “meno idee su come organizzare il processo di pace” e dare “più aiuti militari”.
Un’ossessione bellicista da “cattivo maestro” indirizzata a modificare la “mentalità” pacifista dei popoli europei, particolarmente radicata nel nostro Paese grazie ad una importante tradizione di educatori di pace – da Maria Montessori ad Aldo Capitini, da don Lorenzo Milani a Danilo Dolci, da Alex Langer a Gianni Rodari – ed all’implicita pedagogia pacifista svolta dall’Articolo 11 della Costituzione, che nel “ripudio della guerra come mezzo di risoluzione della controversie internazionali” ha indicato a generazioni di italiani la strada della ricerca e della costruzione di mezzi alternativi e nonviolenti per affrontare i conflitti. Ne sono conferma sia il Rapporto del Censis 2024, secondo il quale circa il 70% degli italiani è contrario all’aumento delle spese militari e il 66,3% ritene i paesi occidentali (USA in testa) come “principali responsabili delle guerre in corso in Ucraina e in Medio Oriente”, che la recente ricerca Demopolis per la Caritas, secondo la quale l’80% degli italiani considera le guerre “avvenimenti evitabili” nei quali la “Comunità internazionale” dovrebbe “intervenire con la mediazione politica senza l’uso della forza”.
Processo Open Arms: ai confini del diritto
Ostacolare il salvataggio dei naufraghi vietando lo sbarco produce effetti lesivi nella sfera giuridica delle persone recuperate in alto mare. Per questo riteniamo sbagliata la sentenza di Palermo che ha assolto Matteo Salvini
L’assoluzione “perché il fatto non sussiste”, non esclude la sussistenza del fatto materiale contestato (cioè di aver impedito di portare a termine il salvataggio dei profughi recuperati in alto mare dalla nave Open Arms, vietando lo sbarco), ma esclude che il fatto contestato sia qualificabile come reato. Se in ordine all’imputazione di sequestro di persona poteva sorgere qualche dubbio sulla corrispondenza con la fattispecie tipica di cui all’art. 605 del codice penale, l’assoluzione anche per il reato di rifiuto doloso di atti d’ufficio, dimostra che il Tribunale di Palermo non ha effettuato una valutazione di merito della condotta ascritta al Ministro, ritenendola insindacabile in quanto “atto politico”, come rivendicato dalla difesa di Salvini. Il nodo giuridico in questo processo verte proprio in ordine alla natura e alla delimitazione dei confini dell’atto politico, cioè di quegli atti delle autorità di governo che non sono sindacabili dal potere giudiziario.
Domenico Gallo continua su https://www.domenicogallo.it/2024/12/processo-open-arms-ai-confini-del-diritto/
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