Morto un altro italiano
Un altro soldato italiano è morto in Iraq “nell’espletamento del proprio dovere”: difendere il buon nome dell’Italia. Il padre dell’ucciso, nell’apprendere della morte del figlio, ha detto che quella italiana non è più una missione di pace.
E’ triste dover ammettere che solo quando ci si trova coinvolti direttamente in una vicenda si riesca a considerarla nella sua vera essenza. Quella dell’Italia non è mai stata una missione di pace, perché la pace non ammette l’uso delle armi. Nemmeno l’aiuto umanitario può poggiare su un supporto armato, perché diventa costrizione. Ogni aiuto è gratuito e se non viene gradito non può essere imposto.
Non è giusto da parte di chi ci governa nascondere i propri interessi dietro belle parole, perché i fatti le smentiscono e costringono ad accatastare bugie su bugie per evitare di chiedere scusa.
Considerato come stanno andando le cose, non credo che i genitori dei nostri soldati desiderino che essi rimangano in territorio di guerra. Occorrerebbe che facessero sentire più forte la loro voce. Occorrerebbe tener presente che il loro dolore, per i figli morti e per quelli che stanno combattendo, è lo stesso di quello che provano le madri e i padri iracheni nei confronti dei loro figli. L’angoscia che occupa i loro pensieri e le loro giornate è identica a quella che provano le famiglie irachene.
Se queste famiglie riuscissero a scavalcare i filtri politici, forse troverebbero un’intesa in nome del rispetto per la vita che i governi non mostrano d’avere. Certo, è un sogno, che serve a evidenziare che dobbiamo allargare il nostro sguardo, per ricordarci che esiste sempre un altro modo di risolvere i conflitti che non richieda un sacrificio umano.
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