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Il mito del Gipper*

Reagan non ha posto fine alla guerra fredda

9 giugno 2004
William Blum - trad. C. Panzera

Il crimine più grande di Reagan furono le sanguinose azioni militari per la soppressione sociale e il cambio politico in Nicaragua, EL Salvador, Guatemala e Afghanistan, ma qui mi piace trattare le calorose smancerie dei media riguardo al ruolo svolto da Reagan nella fine della guerra fredda. In verità lui la prolungò, di seguito un pezzo che ho scritto per il mio libro "Killing Hope".

È diventata leggenda popolare che fu l'inesorabilmente dura politica anticomunista dell'amministrazione Reagan, con la sua animata razza armata, che portò al collasso e alla riforma dell'unione sovietica e dei suoi satelliti. I libri di storia americana hanno già incominciato a inciderlo nel marmo. I conservatori in Gran Bretagna dicono che Margaret Tatcher e la sua risoluta politica contribuirono anch'essi al miracolo. E anche gli ex Tedeschi orientali ci credono.

Quando Ronald Reagan visitò Berlino Est le persone lo applaudirono e lo ringraziarono "per il suo ruolo nella liberazione dell'Est." Sempre più analisti di sinistra, particolarmente quelli di tendenza cospiratoria, lo credono. Ma questa visione non è universalmente sostenuta e nemmeno lo deve essere. Anche secondo il massimo esperto sovietico sugli Stati Uniti, Georgi Arbatov, capo dell'Istituto di Mosca per gli Studi sugli Stati Uniti e Canada, che scrisse le sue memorie nel 1992. Una testo del Los Angeles Times rivisto da Robert Scheer riassunse una parte di esso:

Arbatov capì anche troppo bene le debolezze del totalitarismo sovietico in comparazione all'economia e alla politica occidentali. È chiaro da questa candida e sfumata testimonianza che il movimento di cambiamento si è sviluppato saldamente dentro ai più grandi corridoi del potere sin dalla morte di Stalin. Arbatov non si premurò solamente di mettere considerabilmente in evidenza la controversa teoria per cui questo cambiamento sarebbe avvenuto ugualmente senza pressione dall'esterno, lui insiste che l'aumento dell'esercito americano durante gli anni di Reagan impedì questo sviluppo.
George F. Kennan è d'accordo. L'ex ambasciatore americano in unione Sovietica e padre della teoria del "contenimento" della stessa nazione, asserisce che "la suggestione che una qualche amministrazione americana aveva il potere di influenzare decisamente il corso di tremendo sollevamento interno in un'altra grande nazione dall'altra parte del globo è semplicemente infantile." Lui contesta che l'estrema militarizzazione della politica americana rafforzò gli integralisti in Unione Sovietica. "Di conseguenza l'effetto generale dell'estremismo nella guerra fredda era di ritardare piuttosto che affrettare il grande cambiamento che colse l'Unione Sovietica."
Sebbene la corsa alle armi spendendo senza dubbio danneggiò la fabbrica dell'economia civile sovietica e la società molto più di come lo fece negli Stati Uniti. Ci sono voluti 40 anni prima che Mikhail Gorbachev salì al potere senza il minimo cenno di impedimenti del destino. Il consigliere più stretto di Gorbachev, Aleksandr Yakovlev, quando gli fu chiesto se le alte spese per la spesa militare dell'amministrazione Reagan combinate con la loro retorica di "impero del diavolo", forzò l'Unione Sovietica ad una posizione più conciliatrice, rispose:

Non giocò alcun ruolo. Nessuno. Lo Posso dire con la più piena responsabilità. Gorbachev e io eravamo pronti ad un cambiamento nella nostra politica dell'indifferenza se il presidente americano Reagan o Kennedy, o qualcuno di ancor più liberale. Era chiaro che le nostre spese militari erano enormi e dovevamo ridurle.
Comprensibilmente, alcuni russi potevano essere riluttanti ad ammettere che erano stati forzati a fare dei cambiamenti rivoluzionari da suoi nemici più acerrimi e ammettere che avevano perduto la guerra fredda. Comunque, per questa domanda non abbiamo da fare assegnamento all'opinione di nessuno, né americano, né russo. Noi dobbiamo solamente guardare ai fatti storici. Dalla fine degli anni Quaranta fino a metà degli anno Sessanta, obiettivo della politica americana era l'istigazione alla caduta del governo sovietico così come di alcuni regimi dell'Est Europa. Alcune centinaia di civili russi vennero organizzati, addestrati ed equipaggiati dalla CIA, quindi sguinzagliati nella loro madre patria per allestire circuiti di spionaggio, per provocare combattimenti politici armati e portar a termine sabotaggi e assassini, come il deragliamento di treni, distruzione di ponti, danneggiamenti di fabbriche di armi e di posti del potere, eccetera.
Il governo sovietico, che catturò molti di questi uomini, era ovviamente ben consapevole di chi ci fosse dietro e tutto ciò. Comparata a questa politica, quella dell'amministrazione Reagan può essere catalogata come quella di una capitolazione virtuale.

Ma quali furono i frutti di questa ultra dura politica anticomunista? Ripetuti confronti tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica a Berlino, Cuba e altri posti, l'intervento sovietico in Ungheria e Cecoslovacchia, la creazione del Patto di Varsavia (in diretto contrasto con la NATO), nessuna glasnost, nessuna perestroika, solo sospetti, cinismo e ostilità da entrambe le parti.

Si capì che i Russi erano umani dopo tutto...risposero alla durezza con durezza. E il corollario: ci fu per molti anni una stretta correlazione tra l'amichevolezza delle relazioni americano-sovietiche ed il numero di ebrei a cui fu permesso di emigrare dall'Unione Sovietica. Morbidezza produce morbidezza. Se c'è qualcuno a cui attribuire i cambiamenti in Unione Sovietica e nell'Europa dell'Est, entrambi beneficiari e discutibili, è sicuramente Mikhail Gorbachev e gli attivisti da lui ispirati.

Si dovrebbe ricordare che Reagan era in carica da quattro anni quando Gorbachev salì al potere e la Thatcher da sei, ma in quel lasso di tempo niente di significativo si mosse per una riforma nell'Unione Sovietica a discapito dell'incessante malizia nei confronti dello stato comunista.

Note: William Blum è l'autore di "Killing Hope", "U.S. Military and CIA Interventions Since World War II, Rogue State, a guide to the World's Only Super Power" e "West-Bloc Dissident: a Cold War Political Memoir." Può essere raggiunto a Bblum6@aol.com

articolo originale http://counterpunch.org/blum06072004.html

* Gipper" è il soprannome di Reagan. Lo chiamavano così da un film in cui aveva impersonato un allenatore di football di nome Gipp (da cui "Gipper"), e da questo personaggio Reagan aveva tratto una frase ("win one for the Gipper") che aveva poi utilizzato come slogan politico (nota di Sabrina Fusari)

traduzione di Chiara Panzera a cura di Peacelink

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