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Al cinema a New York tra gli spettatori

Tutto esaurito nelle sale Usa per "Fahrenheit 9/11", il film pacifista di Moore

Prime proiezioni in 868 sale americane: ovunque si registra il tutto esaurito e vengono aggiunte proiezioni mattutine e notturne. Ma il film "non convince" il critico del Corriere della Sera Massimo Gaggi, di cui riportiamo qui di seguito una sintesi del viaggio nelle sale dei cinema Usa.
29 giugno 2004
Redazione

Tom, ventenne spilungone che sfida la gelida aria condizionata con bermuda e infradito, lascia sette dollari sul banchetto e apre, sghignazzando con gli amici, il suo mazzo di carte. Una parodia di quelle stampate dal Pentagono un anno fa: qui i « ricercati » non sono gli uomini di Saddam ma quelli dell'Amministrazione Usa.
Il jack di picche è Andrew Card, capo dello staff di Bush. La didascalia recita: ex capo dei lobbisti della General Motors, fa ancora un po' di confusione. Quando gli chiesero se l'invasione dell'Iraq poteva iniziare in agosto rispose: « Dal punto di vista del marketing, non si introduce un nuovo prodotto sul mercato in agosto » . La donna di cuori non può che essere Condoleezza Rice: « Ex consigliere d'amministrazione della Chevron che aveva dato il suo nome ad una petroliera ».

In sala il tifo è abbastanza contenuto: l'ovazione più sonora è per Paul Wolfowitz, viceministro della Difesa e « neocon » a 24 carati che in un « fuorionda » prima di un'intervista televisiva si infila un pettine in bocca, lo imbeve per bene di saliva e poi lo passa tra i capelli. Grandi risate anche per le immagini che documentano l'accusa a Bush di aver trasformato la prima parte del suo mandato presidenziale in una lunga serie di vacanze (42% del tempo trascorso in ferie prima della strage delle Torri gemelle, secondo il Washington Post ). I contestatori si limitano a qualche fischio e a qualche urlo quando la voce fuori campo di Moore formula le accuse politiche più dure nei confronti del presidente americano. Ma durante la sequenza più drammatica - più ancora delle immagini di morte e distruzione riprese a Bagdad e tra i mutilati dell'esercito americano - si ode solo un silenzio attonito: la telecamera riprende Bush in una scuola elementare della Florida la mattina dell' 11 settembre del 2001. Il presidente scherza con i bimbi della seconda elementare, ripete filastrocche.

Andrew Card gli sussurra all'orecchio che anche la seconda torre è stata colpita: l'America è sotto attacco. Bush non sa cosa fare, le immagini sono impietose: per sette lunghi minuti continua a leggere con i bimbi « La mia capretta preferita » , mentre i suoi occhi trasmettono incertezza e disperazione.

Sono immagini che il pubblico americano non avrebbe visto se
Fahrenheit 9/ 11 (il riferimento è a Fahrenheit 451 , il romanzo di fantascienza del 1953 nel quale un potere assoluto invia dappertutto pompieri che bruciano case e libri per distruggere la capacità della gente di pensare in modo indipendente) non avesse vinto la Palma d'oro a Cannes. La Disney - guidata da Michael Eisner, un convinto sostenitore di Bush - aveva infatti deciso di non distribuire in America il film prodotto da una delle sue società, la Miramax, giudicandolo troppo sbilanciato politicamente. Ma dopo il successo a Cannes il presidente della Miramax, Harvey Weinstein - ormai a un passo dal divorzio con la Disney per questa e altre vicende - ha deciso di acquistare i diritti del film affidandolo ad alcuni distributori indipendenti.
Così il documentario atterra nelle sale americane nel bel mezzo della campagna elettorale. Non farà bene a Bush, ma una censura o un boicottaggio (come quello chiesto dagli ultraconservatori di « Move America Forward » , secondo i quali la pellicola andrebbe proiettata nei campi di addestramento di Al Qaeda, non nei cinema americani) sarebbero stati più dannosi. La Casa Bianca ha evitato commenti specifici sul film, liquidandolo come spazzatura farcita di falsità.

Moore nel film afferma che all'indomani degli attentati, con i cieli americani totalmente chiusi, la Casa Bianca autorizzò il decollo di sei voli privati con i quali 142 cittadini sauditi, tra i quali diversi membri della famiglia di Bin Laden, lasciarono gli Stati Uniti senza subire alcun controllo di polizia.
L'indagine parlamentare ha invece dimostrato che quei voli privati partirono tre o quattro giorni dopo l'attentato, quando i cieli erano ormai stati riaperti al traffico commerciale e che quasi tutti i sauditi furono interrogati dall'Fbi prima di lasciare l'America.

Note: Le critiche di Massimo Gaggi al film di Moore sono su http://www.corriere.it/Primo_Piano/Spettacoli/2004/06_Giugno/27/gaggi.shtml

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