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Da Nablus: diario in diretta sull'occupazione israeliana

Alcuni volontari del nostro gruppo sono andati nella citta' vecchia per
verificare la situazione delle famiglie con la casa occupata dai soldati,
perche' questa pratica continua anche nei momenti di relativa calma.
Io decido di recarmi da sola alla tenda allestita in sostegno allo sciopero
della fame dei prigionieri e dei loro parenti.
29 agosto 2004
BiDiTi
Fonte: Associazione per la pace

26 AGOSTO 2004

Sembra impossibile essere qui a scrivere tranquillamente stamattina, a
poche ore dalla delirante esperienza che abbiamo vissuto.
Si alternano senza nessuna prevedibilita' momenti sereni e di speranza a
ore di panico e violenza.
Ieri la giornata era partita bene, con l'uscita dell'esercito dalla maggior
parte della citta' e la ripresa di alcune tra le normali attivita'.
le strade affollate, le bancarelle del mercato esposte, centinaia di
persone per strada, facevano sperare in una tregua significativa.
Alcuni volontari del nostro gruppo sono andati nella citta' vecchia per
verificare la situazione delle famiglie con la casa occupata dai soldati,
perche' questa pratica continua anche nei momenti di relativa calma.
Io decido di recarmi da sola alla tenda allestita in sostegno allo sciopero
della fame dei prigionieri e dei loro parenti.
C'e' un clima leggero per la strada.
Alla tenda trovo donne vestite di nero che espongono i ritratti dei loro
parenti: figli e mariti arrestati, la maggior parte pare giovanissima.
Non ho il tempo di soffermarmi su nulla: un improvviso fragore, fatto di
clacson ed urla travolge chiunque.
I soldati, le jeep.
Arrivano in velocita' tra la folla fittissima, sparando all'impazzata.
Sono due, sufficienti in questo contesto a mettere in pericolo centinaia di
persone: anziani col bastone, donne con bambini piccoli, qualcuno coi
pacchi della spesa,..
Tutti corrono mentre i colpi continuano, qualcuno cade travolto dalla
ressa, le donne della tenda cercano di portare in salvo i preziosi ritratti
con cornice dei loro cari, i negozi chiudono.
Mi riparo vicino ad un negozio, poi vedo una donna incinta in mezzo alla
piazza e corro a portarla al riparo.
In quel momento parte la sassaiola: impressionante, fitta..efficace.
Le due jeep vengono respinte ai lati della piazza, decine di ragazzini
lanciano di tutto, alcuni mi raggiungono e soridendo dicono il solito
"ello', uozziurneim?" in uso se si incontra un internazionale.
Mi rendo conto a posteriori che cerco di interessarli a me per evitare che
si espongano, che si lancino coi sassi piu' grandi di loro verso le jeep
che esplodono colpi ripetutamente.
Temo per questi bambini abituati a tutto questo, vorrei che si riparassero
e basta.
Osservo che alcuni adulti li appoggiano, altri li sgridano ed allontanano.
Quialcuno fa come se nulla stesse succedendo, ma appena arriva il secco
suono dello sparo, tutti si buttano contro i muri o negli
anfratti.
Spari e sassi, sassi e spari: la situazione si stabilizza in questo
modo,fino a quando da un tetto cade un sasso grandissimo che centra una
delle jeep.
Parte un applauso fragoroso, pacche sulle spalle, sguardi compiaciuti che
cercano anche in me complicita'.
Non posso non sorridere, anche se so che questa labile soddisfazione sara'
a breve sgretolata dalla riposta israeliana.
Infatti ripartono i colpi, ricominciano le fughe a caccia di un qualsiasi
riparo, che non sempre si trova.
Arrivano le ragazze che da un mese vivono a Nablus e da loro apprendo che
c'e' stato qualche sparo da parte palestinese.
Rimandando ad altre sedi e situazioni i commenti di tipo politico, non
possiamo non pensare alle conseguenze che tutto cio' provochera'.
Decidiamo di andare alla clinica in centro per metterci a disposizione dei
volontari del Medical Relief.
E' pericoloso avventurarsi nella casbah, ma il passaparola palestinese ci
guida nei vicoli piu' sicuri e giungiamo a destinazione.
Gli spari sono ripetuti e vicini, ci consigliano di aspettare che la
situazione si calmi.
Gia', ma quando?
Dopo circa un'ora ci raggiunge W., un amico volontario il cui fratello e'
stato ferito la mattina ed ora e' a casa, per fortuna non in condizioni
gravi.
Passiamo a trovarlo e poi di nuovo nella citta' vecchia per essere al fianco
degli abitanti sotto pressione da ore.
Si susseguono esplosioni e spari molto vicini.
Passiamo in una piazzetta e da una finestra vengono esplosi dei colpi
vicino a noi: 5 donne e un volontario in divisa.
Sento la paura e l'imprevedibilita' della situazione, sento che siamo molto
esposti e accelero, mentre W. urla in ebraico ai soldati di non sparare.

I vicoli e gli anfratti sono la fortuna e la maledizione della citta'
vecchia: in quel labirinto riesci a trovare il modo di ripararti, ma puoi
anche sbagliare angolo e capitare all'improvviso davanti a un cecchino.
Inoltre i soldati stanno perfezionando l'orribile tecnica di passare casa
per casa facendo esplodere i muri intermedi, per non strare allo scoperto.
E' cio' che avviene in queste ore e nei giorni scorsi.
I botti sono ripetuti, ci tappiamo le orecchie, alcuni bambini piangono ad
ogni scoppio, altri si eccitano e gli adulti li riparano contro i muri.
Sono segregati in casa da settimane e convivono con la violenza delle armi
e degli esplosivi, con lo spettro dell'occupazione della propria casa o
dell'arresto indiscriminato, con la possibilita' del proiettile vagante o
deliberatamente sparato.
Sono di questi giorni infatti i casi dell'uomo ucciso mentre si affacciava
alla finestra di casa sua, o della bimba ferita al volto nel bagno.
Nel nostro angolo piu' o meno riparato convergono volontari, uomini e
bambini.
Qualcuno porta il caffe', ci si rilassa un attimo.
Ci pensano gli Apaches dall'alto a ricordarci che non va bene e che
l'esercito non intende mollare la presa.
Si sentono raffiche di mitraglia dagli elicotteri, ma qualcuno sostiene che
sono rumopri registrati per terrorizzare, non vedendosi tracce di fumo.
In effetti l'effetto spavento funziona, alcune persone abbandonano
spontaneamente le proprie case.
Accompagniamo fuori donne e bambini, anziani e uomini che devono per forza
attraversare la piazza col cecchino per andarsene.
Mentre cammino al fianco di queste persone sento di essere in pericolo e di
dipendere dagli umori di qualcuno appostato dietro alla finestra, ma come
tutte le altre ragazze e i volontari mi metto spontaneamente dalla parte
piu' esposta.
A volte arrivano gli spari vicino a noi, altre volte in aria, altre
volte ancora
passiamo senza problemi.
A discrezione...
Passano le ore, siamo stanchi e coi nervi a fior di pelle per i botti, ma
nel vicolo si e' creato un piccolo mondo, fatto di caffe', scambi
linguistici italiano arabo, giochi col palloncino, sguardi complici tra
donne, chiacchiere sulla tv italiana con gli uomini.
Ogni tanto ci compattiamo perche' qualcuno deve passare e ci si alterna per
scortarlo.

Arriva la sera, i colori della citta'- presepio di Nablus virano al rosa,
come e' rosa il palloncino su cui un bambino di 10 anni ci chiede di
scrivere il nostro nome.
E' sempre difficile andare da via da queste case, dove sappiamo che nei
prossimi giorni, purtroppo, questa situazione si ripetera'.
Salutiamo tutti, ci ringraziano, gran pacche sulle spalle coi ragazzi e
tanti ciao.
Un braccio ingessato si agita piu' degli altri: e' di M.,13 anni, che e'
stato ferito qualche giorno fa dai cosiddetti proiettili di gomma e che ha
passato almeno mezz'ora nel disperato e caparbio tentativo di insegnarmi a
contare in arabo.
Penso a come si puo' crescere in questa situazione, guardo ancora una volta
questi bambini e ragazzi, poi mi soffermo su I., volontario giovanissimo
del M.R., che in questi giorni ci sta dimostrando una maturita' ed un senso
di responsabilita' nella situazioni di crisi assolutamente encomiabile.
Sembra che si formino nel dramma ragazzi eccezionali, coraggiosi e forti,
ma a cui qualcuno ha rubato la giovinezza: prima ancora e' successo ai loro
genitori e ai nonni.
Da parte di altri si notano scompensi e segni di squilibrio, vien da
chiedersi quale futuro li aspetta e come sara' possibile riparare a tutti
questi traumi.
Ce ne andiamo pensando a cosa accadra' stanotte nella citta' vecchia e nei
campi profughi.
L'aria e' fresca e i colori della sera incantevoli.
Potrebbe essere una sera meravigliosa.
Domani e' venerdi', potrebbe essere giorno di festa.

Due giorni di relativa calma hanno dato tregua alla citta' e ai suoi abitanti.
Scandita pur sempre dall'incertezza e dall'imprevedibilita',
la vita a nablus ha ricominciato a scorrere.
Ho rivisto la via principale finalmente dopo 10 giorni sgombra delle
pietre che gli israeliani avevano accumulato con i bulldozer per impedire l'accesso alla citta' vecchia.
Le botteghe e i negozi hanno riaperto, sono tornati anche i venditori ambulanti in strada, ogni singola attivita' ha ripreso il suo corso.
Questa mattina siamo allo youth center a comunicare con il mondo (internet) a capire come mai
sulle testate italiane e non solo non si parli mai di Nablus,
dell'ingiustizia che qui si consuma ogni giorno.
Troviamo solo brevi ed insignificanti trafiletti. E' anche vero che altrove prende forma
un'ingiustizia altrettanto assurda incomprensibile (l'Iraq...)che catalizza tutte le attenzioni.
Alle 10 alcuni volontari ci invitano a recarci con loro per verificare le condizioni di alcune famiglie le cui abitazioni sono state occupate.
Si ha notizia di almeno tre edifici occupati.
Nel primo, sul retro del vecchio Khan ormai ridotto in macerie, i soldati
sono entrati da questa notte.
Tra mezzanotte e le due un numero consistente di jeep ha infatti invaso la old city.
Da una finestra socchiusa si intravede la canna del fucile del soldato:proviamo a
chiedere di entrare, di farci parlare con il capitano. Nessuna risposta.
Intanto nella piazzetta antistante l'edificio prende il via la consueta sassaiola.
Alcuni vetri della casa vengono infranti.
Proviamo nella seconda casa.
Dopo tentativi che durano 20 minuti, i soldati ci fanno dire attraverso uno dei familiari "in
ostaggio"che se non andiamo via entro 5 minuti spareranno a tutte le persone nella casa.
Facciamo un giro ma siamo subito richiamati dallo scoppio di un ordigno nei pressi della prima abitazione visitata.
Siamo nel mezzo:
da una parte i soldati che sparano, lanciano lacrimogeni per disperdere la folla di ragazzini che lancia pietre; dall'altra i ragazzini appunto ma anche alcuni combattenti che rispondono al fuoco.
Il gesto del cecchino e' sempre uguale: socchiude la finestra, prende la mira, lancia bombe acustiche o spara sopra le nostre teste e oltre. La calce del palazzo a cui siamo addossati ci cade tra i capelli.
Arrivano 2 jeep e 2 blindati, si posizionano con il muso verso di noi. Prosegue la sparatoria, proseguiamo a stare attaccati uno all'altro, uno dietro l'altro sperando di non essere colpiti.
Riusciamo a spostarci.
La resistenza palestinese si scatena: riesce a forare due gomme della jeep e il radiatore.
I soldati si innervosiscono, per 10 minuti sparano senza interrruzione.
Mentre una jeep spinge quella danneggiata dal retro,
ci rifugiamo all'interno di una casa.
Intanto veniamo a sapere che anche nel city center proseguono gli scontri, l'arrivo di nuove jeep e blindati. Ci sono dei feriti.
Decidiamo di non muoverci dalla nostra postazione, la piazza in cui si trovano le case occupate e' un passaggio obbligato da un quartiere all'altro della old city.
Cerchiamo di tutelare le persone che devono raggiungere le loro abitazioni, accompagnandole da un lato all'altro.
Ad ogni passaggio i volontari dall'altro lato ci avvertono se ci sono cecchini pronti a tirare.
Nonostante accompagniamo solo donne e bambini i soldati sparano al di sopra delle nostre teste cosi' per il puro gusto di intimidirci.
In una abitazione al centro della piazza, la famiglia decide per stanotte di lasciare la casa.
Accompagno la donna anziana: e' disperata, non smette di piangere, i suoi nipoti camminano turandosi le orecchie con le mani, terrorizzati.
Per quattro ore abbiamo tentato di tutelare l'attraversamento di donne, bambini e qualche ragazzo. Alcune donne mi hanno stretto il braccio cosi' forte da farmi male.
Non sapevano che avevo paura anche io.
Per tutto il pomeriggio gli Apache non hanno smesso di sorvolare Nablus; tre volte hanno sparato, un suono simile ad una mitragliatrice.
Ci sembrava sparassero sulla citta' vecchia, piu' tardi ci hanno detto che miravano alle colline a protezione forse delle basi militari.
Solo il giorno abbiamo saputo che in realta' i colpi erano frutto di suoni registrati per scatenare il panico tra la folla, fare uscire allo scoperto i combattenti, costringere qualche famiglia della old city ad abbandonare le loro case.
Alle 19 dobbiamo lasciare la citta' vecchia, non c'e' piu' luce e diventa pericoloso per gli internazionali come per i volontari aggirarsi a piedi.
Di nuovo sopraffatti dall'impotenza lasciamo i soldati ad occupare le case dei palestinesi....
Il bilancio della giornata e' di 17 feriti nella sola Nablus.

27 AGOSTO 2004

Oggi e' venerdi, Nablus vive tranquillamente il suo giorno di festa...
Cominciamo le visite presso le famiglie dei nostri amici , considerando che il nostro soggiorno a Nablus sta per terminare.

Alle 19 A. ci chiede se vogliamo accompagnarlo presso il Nablus hospital dove e' ricoverata una bambina ferita ieri.
Era nella sua casa, nella old city, suo padre ha aperto la finestra per fare uscire il vapore della doccia appena fatta, i soldati hanno sparato in casa ferendo prima lui alla schiena, poi sua figlia Diana sullo zigomo.
Sua madre mi mostra un frammento del proiettile che le e' stato estratto. Diana ha il volto tumefatto, gli occhi quasi chiusi, non parla, a fatica prende in mano i nostri regali.
Tornando dall'ospedale il taxista ci informa che ci sono scontri a Faisal Street, la grande via che dalla old city conduce verso Balata.
Vediamo il fumo di alcuni pneumatici in fiamme, fatti ardere per impedire il passaggio delle jeep.
Quando arriviamo allo youth center ci informano che 24 persone sono state arrestate , portate al checkpoint di Huwwara (dopo tre ore sono state rilasciate.).

28 AGOSTO 2004

Per ora le incursioni dell'esercito israeliano a Nablus sembrano limitate quotidianamente ad aree circoscritte della citta; avvengono per lo piu' nel tardo pomeriggio, quando cioe' la maggior parte delle attivita' quotidiane sono cessate.
Stasera e' il turno del campo profughi di EL AIN.
Verso le 19.30 due tank e un altro blindato percorrono avanti e indietro le vie di accesso al campo. Nessuna automobile puo' entrare o uscire.
Siamo in ambulanza con F. parliamo molto di quale senso abbia per questi ragazzini tirare pietre a mezzi blindati con la consapevolezza di non poter fare assolutamente nulla per scalfirli e anzi rischiando la vita o comunque di essere feriti.
F mi dice che tirare le pietre e' comunque un modo per dire no, per esprimere un rifiuto, il rifiuto della presenza giornaliera degli occupanti...
IO penso che sia un gesto simbolico fortemente stereotipato....Ho visto bambini tirare sassi su qualsiasi cosa, ambulanza, su cani o gatti, senza consapevolezza alcuna quindi di cosa stessero colpendo....E' un gesto che tutti fanno perche' l'hanno visto fare da altri...
I ragazzi ad El ain creano una barricata di pneumatici in fiamme, i soldati sparano tre lacrimogeni, bombe acustiche.
La situazione va avanti cosi' per due ore circa, il blindato va avanti e indietro perlustrando le finestre degli appartamenti intorno con un faro potentissimo.
Tre edifici sono occupati, tra cui anche la casa di due volontari (fratelli) del MR.
Uno di loro scherzando mi dice che suo padre dovrebbe far pagare all'esercito un affitto visto che la loro casa e' stata occupata tre volte in un mese.
In tarda serata ci dicono che operazioni militari ci sono anche nei villaggi di Salem e Kufar Al-Khalil.

29 Agosto 2004

F. ci porta con l'ambulanza a fare un giro nei dintorni di Nablus, ovviamente senza oltrepassare i checkpoint.
Le vie di comunicazione intorno alla citta' sono per lo piu' interrotte, in condizioni disastrose con crateri o cumuli di pietre che ostruiscono qualsiasi passaggio.
Sulla strada verso il checkpoint di Beit Furik la desolazione e' devastante.
Intorno il nulla, solo le torrette di avvistamento dell'esercito israeliano.
I villaggi intorno sono completamente isolati dalla citta': nessuna possibilita' di entrarvi in automobile, quindi gli abitanti dei villaggi intorno per lo piu' poverissimi, devono percorrere a piedi le colline per arrivare al checkpoint, tentare di superarlo affidandosi alla discrezionalita' dei soldati e poi proseguire con un taxi che li porta in citta'.
Molti usano i muli.
Dalla strada si vede un enorme cratere lungo kilometri scavato dall'esercito per impedire l'attraversamento. Oltre il cratere, gli insediamenti dei coloni.
Le aree rurali sono quindi isolate dalla citta'...
Basta pensare a questo: sulla strada verso il checkpoint incontriamo un gruppo di pecore e capre, brucano nella discarica, in mezzo a montagne di spazzatura, e' impossibile per i pastori portarle a pascolare fuori sulle colline. Un'immagine terrificante.
Se a questo isolamento totale delle zone rurali si aggiunge che le infrastrutture della citta' sono state distrutte piu' di 28 volte solo negli ultimi tre anni, si comprende come mai l'area di Nablus sia ora la piu' povera della west bank.
Il 50% delle persone sono soto la soglia di poverta' e il tasso di disoccupazione e' del 69%.
Molti dei villaggi intorno, non sono dotati ne' di ospedali ne' di servizi primari come le scuole e risultano dipendenti quindi dalla citta'; in realta' questa dipendenza e' impedita dall'esercito israeliano.
Dopo le 7 pm le ambulanze e le mobile clinic non hanno accesso ai villaggi; piu' del 65% delle donne incinte dell'area rurale partoriscono in casa con evidenti rischi di complicazioni.
Il problema educazione ha risvolti altrettanto drammatici: nelle aree rurali molte volte non ci sono scuole, o dove ci sono il normale svolgimento delle lezioni e' impedito dalle incursioni dell'esercito.
A beit Furik per esempio, tutti gli insegnanti provengono da Nablus e se per giorni interi i checkpoint vengono chiusi, la scuola viene interrotta.
Per non parlare dell'umiliazione quotidiana ai checkpoint.
A. ha fatto l'insegnante di geografia a Beit Furik.
Ogni giorno doveve passare il checkpoint in uscita e in entrata.
Mi racconta che piu' volte i soldati gli hanno sottratto l'id card o lo hanno sottoposto a domande-quiz prima di lasciarlo passare (del tipo...quante stelle ha la bandiera degli Stati Uniti?).
Vediamo da lontano i checkpoint di Beit Furik (oltre si prosegue verso Jenin) e Beit Iba (verso Qualqylia e Tulkarem).
Stessa scena che ho gia' visto a Huwwara e Qualandia.
Una fila di persone in piedi che attendono...Nessun commento all'aberrazione del checkpoint.
Su un altra strada dissestata c'e' un luna park abbandonato.
Dall'inizio della seconda intifada e' chiuso.
La strada anche qui e' interrotta e presidiata da un posto di blocco.

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