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Vincono le identità forti

Perché ha perso Kerry. Una riflessione per il futuro del movimento pacifista

E' possibile imparare dagli errori solo se si impara riconoscerli. La politica delle due facce e delle campagne emozionali momentanee ha fatto il suo tempo. Occorre un radicamento sociale e un lavoro di formazione culturale e ideale a cui gli alchimisti del centrosinistra italiano non sembrano né propensi né adeguati.
5 novembre 2004

Eppure negli Stati Uniti vi erano tutti gli elementi per cambiare il presidente. Per la prima volta nella seconda metà del 2004 si erano registrati più contrari alla guerra che favorevoli, più contrari alle politiche di Bush che favorevoli, in un trend di malcontento che aumentava inesorabilmente ogni mese. Per fortuna la società è (ancora) dialettica e, se Marx per alcuni o per tanti è andato in soffitta, non sono però ancora andate in soffitta le contraddizioni sociali. Un sistema armonicamente modellato dal potere non è ancora nato.
Tuttavia il presunto perdente ha vinto. Perché? A bocce ferme e con i dati emersi, analizziamo allora quale insegnamento di prospettiva possiamo trarne noi pacifisti dalla vittoria di Bush e dalle modalità che l'hanno resa possibile. Capire le ragioni di una sconfitta è necessario, anche perché gli alchimisti del centrosinistra sembrano non averla voluta capire affatto.

IL REFERENDUM. Le elezioni americane sono state un referendum. Non solo su Bush ma soprattutto su Kerry. Bush non convinceva, ma occorreva una persona convincente che lo sostituisse. Altrimenti l'americano votante indeciso avrebbe votato il più convincente dei meno convincenti, il migliore dei peggiori.
Bush era come un vecchio farmaco con pesanti controindicazioni. Ma Kerry è apparso come un nuovo farmaco con effetti imprevedibili sulla salute. I progressisti hanno appoggiato Kerry a denti stretti, con una convinzione più proclamata che vissuta. Il referendum è stato quindi su quel Kerry ballerino che una settimana faceva l'ecologista e una settimana andava a sparare alle anatre di fronte alle telecamere, tenendo bene in vista il fucile. E' stato un referendum su Kerry che diceva "quando mi sono trovato sotto il fuoco nemico in Vietnam, non ho visto George Bush al mio fianco". Quasi che il Vietnam sia stata una guerra sbagliata in quanto fatta male (e quindi persa) e non in quanto sbagliata. Quasi che l'Iraq sia una guerra sbagliata in quanto errata nei mezzi (mancato coinvolgimento degli alleati storici) e non nei fini. E' sbagliato se perdiamo, è giusto se vinciamo: questa è la morale che accomuna Kerry a D'Alema.

LA VITTORIA. Perché dunque ha vinto Bush? Perché questa identità debole, costruita a tavolino sugli equivoci solo allo scopo di una vittoria elettorale, non è apparsa sincera. Bush ha contrapposto un'identità magari rozza e cinica, ma forte e radicata nel sociale. Ha offerto le terapie d'urto che non servono a combattere la malattia ma ad alleviare il patema d'animo. La società americana vive nel rischio quotidiano con un senso di crescente insicurezza. Non stiamo parlando (solo) del terrorismo, ma dell'intera architettura strutturale di un mondo precario e provvisorio carente di tutele e di certezze. Una società che non ha reti di sicurezza, va a cercare le sue certezze nell'astrazione spirituale, nel mondo della religione tradizionalista e fondamentalista. E' un istinto medievale che paradossalmente nasce nel cuore di società ad alto contenuto di microchip.

L'INSICUREZZA. La società americana del rischio è diventata la società dell'insicurezza diffusa. Quello che un tempo il capitalismo vantava come valore positivo - il gusto della scommessa in condizioni di incertezza - si sta capovolgendo nel suo opposto. E la società che ha votato Bush va alla ricerca degli antidoti. Cerca un quadro di valori forti con cui reagire alla perdita di punti di riferimento, ossia all'anomia prodotta dal sistema.

IL FONDAMENTALISMO. Da qui discende quel fondamentalismo religioso tradizionalista americano che, facendo le opportune distinzioni, sembra speculare a quello islamico. Una parte della società si arricchisce nell'insicurezza e un'altra parte la vive potentemente. Una frazione minoritaria ma significativa dei neri ha votato per Bush contro i propri interessi materiali ma in nome delle proprie insicurezze ideali che si trasfigurano nella rigida osservanza di una religione che dà certezze. Come i fondamentalisti dell'Islam, anche questi americani si danno la zappa sui piedi. Ma questi uomini che hanno perso la speranza cosa possono fare se non pregare per un dio severo, forte e rassicurante? Ai neri, ai perdenti, la destra religiosa apre uno squarcio di speranza: vale la pena vivere quando si può vincere sempre con un dio onnipotente al proprio fianco.

GLI ANSIOLITICI. Questo fondamentalismo religioso funziona da ansiolitico. Vi è una parte dell'America che va in chiesa - protestante o cattolica non importa - con la pistola in tasca. Chiede la pena di morte. Teme le batoste della guerra ma ancor di più la perdita del mito dell'invincibilità che conferisce senso di sicurezza.

IL PLACEBO. Ecco quindi una società che vuole certezze, sicurezze e quindi tradizione in un mondo che invece corre in modo imprevedibile. Una fetta significativa dell'America cerca nella spiritualità ciò che ha perso nella realtà. Il fatto che quei valori non portino nella direzione giusta non è importante. Essi hanno un effetto placebo. Ci sono cioè medicine fatte di zucchero che in certi casi curano e risollevano lo stesso: è appunto l'effetto placebo. E grazie a questo effetto placebo si è mossa una parte della società americana che è andata a votare Bush in nome dei valori perduti o da conservare.

LA PSICOMANIPOLAZIONE. Dall'altra parte, quella di Kerry, i valori identificativi sono stati proposti solo come spot elettorale, ossia come emozione momentanea per suscitare l'afflusso al voto. Come una polpetta in video che fa scendere la bava al cane affamato. Come l'artificio di un esperimento di manipolazione psichica.

L'OPPIO. Inquietudine, inquietudine, ancora inquietudine. Oppio, oppio, ancora oppio. La società americana ha bisogno di stare tranquilla. Con un deficit pubblico colossale, che aumenta con le spese militari e non si colma certo con i tagli fiscali, che si compensa solo virtualmente con un flusso di investimento finanziario estero basato su una fiducia degli investitori che potrebbe svanire di colpo, occorre drogare la società con una buona dose di certezze. Dal mago alla cartomante, dalla preghiera patriottica alla camminata da bulletto che hanno insegnato a Bush: l'importante è placare un animo inquieto.

IL CAMALEONTE. L'animo inquieto dell'America non si poteva placare con un partito democratico che per strappare consensi si avvicinava ai repubblicani con la tecnica del camaleonte. Il candidato democratico al Senato (in Idaho) ad esempio due anni fa si sentì in dovere di dire che possedeva 24 armi da fuoco: "e le uso tutte". Perse comunque. Kerry ha detto di non possedere neppure un SUV, quei mega veicoli sportivi fuoristrada 4 ruote motrici che trangugiano benzina come dannati. Poi si è scoperto che ne aveva tre. "Ma sono di mia moglie", si è giustificato. La gente può essere illusa ma è non del tutto fessa. E quindi si rivolge altrove, lì dove c'è la certezza che le cose non cambino in un mondo dove le verità e le cose cambiano in continuazione.

L'ORGOGLIO. La società della complessità genera il suo opposto, ossia il bisogno di semplicità, di segni fondamentali, di persone magari rozze e incolte ma che interpretano l'anima collettiva profonda - prodotta da un sistema quotidiano di banalità pubblicitarie e ignoranza diffusa - che tuttavia non rinuncia a dare un senso riconoscibile alla vita di tutti i giorni. Ognuno cerca di essere orgoglioso di qualcosa e questa ricerca non può essere elusa proponendo un'identità debole, una propaganda fatta solo di "no" a Bush e di critiche a ciò che è andato storto.

IL RADICAMENTO. Questa fetta religiosa e tradizionalista della società americana è una minoranza, ma è una minoranza attiva, molto motivata e organizzata, fortemente radicata, il cui alle parole corrispondono i fatti di un'organizzazione concreta e capillare. Giunge ad essere maggioranza nelle comunità rurali. Vive un'identità forte ogni giorno o per lo meno ogni domenica. E' dotata di buone scuole, radio e TV molto seguite. I democratici vivono invece un'identità poco alternativa, debole e ballerina, cadenzata dalle campagne elettorali e condita da una buona dose di opportunismo e di ipocrisia. E' un'identità debole che si scioglie come neve al sole. E infatti Kerry, dopo la notte della sconfitta, ha detto che ci addormenta divisi e ci si risveglia uniti in quanto "tutti americani". Le multinazionali che gli hanno pagato la campagna elettorale hanno subito chiuso i rubinetti per passare a corteggiare il vincitore. E Kerry a quel punto era un uomo finito. Ogni sua predica alternativa a Bush avrebbe avuto un'efficacia pari a quella di un missionario.

L'IDENTITA'. Se questa linea di analisi è corretta (il che non esclude assolutamente altre interpretazioni complementari sotto altri profili) possiamo comprendere meglio ciò che necessita oggi: un lavoro quotidiano per fare crescere un'identità forte attorno ad una società civile organizzata della speranza e della concretezza assieme. Un'identità della tolleranza, della pace e della libertà che si proponga come alternativa al clima di scontro, di guerra e di chiusura che anima il progetto degli ideologi di Bush.
Una società civile organizzata a destra c'è. E' fatta di imprese, di potere e di quotidianità religiosa tradizionalista nutrita di scuole, cultura, informazione. E' un'identità forte capace di far vincere un presidente modesto come Bush, figuriamoci cosa sarebbe successo se vi fosse stato un presidente repubblicano più valido.

L'AMBIGUITA'. Nel centro-sinistra in Italia in questo momento vi è chi fa analisi completamente sbagliate o di comodo, puntando, come fa Massimo D'Alema, sull'indebolimento dell'identità di sinistra e su un gioco di conquista del consenso nella "zona grigia" del centro. Liberissimo di farlo, salvo poi perdere una seconda volta dopo l'infausta avventura della guerra del Kossovo. Il punto è questo, e non per fare un discorso più o meno di sinistra: il fascino dell'ambiguità non esiste. In fondo in America ha vinto un estremista, non certo un uomo di centro.

LE POLTRONE. Non essere né carne né pesce è proprio la strada più comoda e più perdente al tempo stesso. Richiede meno investimento culturale e di mobilitazione. Essa tutela le poltrone dei dirigenti che dai movimenti possono essere anche contestati. Far passare Kerry come un come un contestatore che non ha saputo guardare e ascoltare nel campo opposto, fare di Kerry un giacobino della politica che ha incautamente premuto l'acceleratore a tavoletta è proprio grottesco. Chi oggi lo critica nel centrosinistra ne avrebbe tessuto lodi smisurate presentandolo come un alfiere del pragmantismo contro il pacifismo che i democratici americani hanno schivato a più non posso.

IL PACIFISMO. Questo gioco disinvolto ha un chiaro significato: si vuol mettere la sordina al movimento pacifista che in questo momento è uno dei pochi soggetti capaci di conferire identità forte. Dopo aver ingoiato di malavoglia il ritiro spagnolo di Zapatero e, prima ancora, la vittoria del tandem rossoverde tedesco basato sul "no alla guerra", ora è in corso un tentativo di ridimensionamento del "fattore p": la pace e il pacifismo. Forse è questa una delle ragioni per cui il movimento pacifista deve agire in proprio, senza deleghe e senza timori, rivolgendosi a tutti le donne e gli uomini che ricercano la sincerità e che hanno buona volontà da offrire in cambio. E' un lavoro di radicamento che ha bisogno di valori forti e non di identità deboli.

IL GRIGIO. Ad una società in cerca dei colori della vita la carta vincente non può essere una politica grigia per conquistare la zona grigia. E' tempo di capirlo.

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