Statement di Carola Carazzone
Ginevra, 8 novembre 2004
STATEMENT alla 33° sessione del Comitato delle Nazioni Unite per i diritti economici, sociali e culturali, Ginevra 8-26 Novembre 2004
in occasione dell’esame del quarto rapporto periodico del Governo italiano sull’attuazione del Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali
CAROLA CARAZZONE, VIS-VOLONTARIATO INTERNAZIONALE PER LO SVILUPPO
a nome del COMITATO PER LA PROMOZIONE E PROTEZIONE DEI DIRITTI UMANI
Illustri Membri del Comitato delle Nazioni Unite, Gentili Signore, Egregi Signori,
innanzitutto consentitemi, a nome del Comitato per la promozione e protezione dei diritti umani e di ciascuna delle 48 organizzazioni non governative ed associazioni in esso rappresentate, di ringraziare il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti economici, sociali e culturali non soltanto per la odierna importantissima opportunità di dialogo, confronto e partecipazione offertaci, ma anche per il costante impegno nel rafforzamento della promozione e della tutela dei diritti economici, sociali e culturali.
Il mio intervento è finalizzato a presentare il primo rapporto non governativo elaborato da un network di 48 ONG nel corso di un processo di preparazione altamente democratico e partecipato durato più di anno, processo di preparazione che ha costituito una importante occasione di ricerca, discussione, aggregazione e crescita del terzo settore italiano.
Da giorni il rapporto supplementare è pubblico (www.comitatodirittiumani.org, www.volint.it).
Concentrerò il mio breve intervento su alcune questioni fondamentali relative alle disposizioni generali del Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e alla attuazione di tutti i diritti economici, sociali e culturali intesi come diritti universali, indivisibili ed interdipendenti.
Lascerò poi la parola ai miei colleghi della delegazione non governativa italiana perché possano rilasciare brevi statements su questioni specifiche.
Troppo spesso i Paesi sviluppati, e l’Italia tra questi, presumono di garantire già i diritti umani e le libertà fondamentali e di potersi astenere dal rafforzarne ulteriormente la promozione e la protezione o, addirittura, dal rispettare nuovi o anche vecchi obblighi sottoscritti a livello internazionale.
Proprio come qualunque Paese, sia esso sviluppato o in via di sviluppo, l’Italia è responsabile, da una parte, delle violazioni dei diritti universali che avvengono sia nel suo territorio che all’estero a danno sia dei suoi cittadini sia degli stranieri e, dall’altra parte, di migliorarne e rafforzarne ulteriormente la promozione e la tutela..
L’Italia, come qualunque altro Stato, non è immune dal rischio né di violare i diritti fondamentali né di non prevenirne le violazioni.
Consentitemi allora di sottolineare che:
- l’Italia (in violazione degli impegni assunti con la Risoluzione 134/48) non ha, unico Paese europeo ancora inottemperante, una Istituzione Nazionale Indipendente per i diritti umani,
- l’Italia (in violazione degli impegni assunti con la Raccomandazione Finale di Vienna) non ha una strategia integrata e di lungo periodo sui diritti umani,
- in Italia l’insegnamento dei diritti umani non è materia obbligatoria né alla scuola dell’obbligo né alla scuola superiore né a livello universitario e di scuole di specializzazione per avvocati e magistrati (come una nostra ricerca ad hoc dimostra, solo due tra le Facoltà di Giurisprudenza italiane prevedono l’insegnamento dei diritti umani come obbligatorio, si veda p.34 del rapporto supplementare).
Tutto ciò è ancora più preoccupante se specificamente riferito ai diritti economici, sociali e culturali che, purtroppo, in Italia sono ancora considerati diritti deboli, di secondo rango, talvolta mere enunciazioni di principio, in particolare in termini di giustiziabilità ed effettività ma anche di conoscenza (come dimostra una nostra ricerca ad hoc sulla applicazione nella giurisprudenza italiana del Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, citato appena 2 volte in quasi 30 anni dalla ratifica da parte della magistratura italiana, si veda p.34 del rapporto supplementare).
Il differente riconoscimento teorico e la diversa tuela pratica che caratterizza in Italia la relazione tra diritti civili e politici e diritti economici, sociali e culturali è particolarmente evidente in riferimento alla posizione del Governo italiano su alcune questioni fondamentali: il Protocollo Opzionale al Patto (p.36), la responsabilità legale delle imprese (p.38), il diritto allo sviluppo umano (p.41) e i diritti fondamentali dei migranti e richiedenti asilo (p.43, 67, 97, 105).
In merito alla posizione del Governo italiano su queste 4 questioni vogliamo esprimere notevole preoccupazione, in quanto l’Italia ha recentemente utilizzato il riferimento ad una futura non ancora identificata posizione europea al fine di evitare di assumere pubblicamente una posizione politica chiara e trasparente in merito.
Consentitemi ora di terminare sollevando alcune domande puntuali che 48 ONG italiane intendono porre al loro Governo:
1) Quando e come l’Italia intende dare attuazione alla Dichiarazione finale di Vienna del 1993 ed elaborare una strategia integrata e di lungo periodo (con relativo piano di azione) per la promozione e protezione di tutti i diritti umani, strategia e piano di azione capaci di andare oltre la frequenza dei cambi di Governo che caratterizza la politica italiana?
2) Come e quando l’Italia intende istituire una Istituzione Nazionale Indipendente per la promozione e protezione dei diritti umani?
3) Perché il Governo italiano non è in grado di fornire efficaci indicatori di misurazione dei risultati delle politiche governative in termini di diritti umani e di pubblicare statistiche affidabili per la valutazione del grado di adempimento delle disposizioni del Patto e delle altre norme internazionali in materia di diritti umani?
4) Perché in Italia l’insegnamento dei diritti umani non è materia obbligatoria ed interdisciplinare in tutte le scuole primarie e secondarie, così come nelle Università?
5) Perché il Governo italiano invoca la non giustiziabilità dei diritti economici, sociali e culturali al fine di non affrontare l’importantissima questione dell’approvazione di un Protocollo Opzionale al Patto?
6) Perché il Governo italiano invoca la non giustiziabilità dei diritti economici, sociali e culturali al fine di non affrontare l’importantissima questione della responsabilità legale delle imprese in materia di diritti umani?
7) Qual’è la posizione del Governo italiano sulle Norme delle Nazioni Unite sulla responsabilità delle imprese, approvate dalla Sotto-Commissione delle Nazioni Unite per la promozione e protezione dei diritti umani il 13 agosto 2003?
8) Perché l’Italia si astiene dal promuovere il riconoscimento, in una norma di diritto internazionale legalmente vincolante, del diritto fondamentale allo sviluppo umano e dei corrispondenti obblighi in termini di cooperazione internazionale?
9) Nell’esprimere forte preoccupazione in materia di percentuale del PIL da devolvere a programmi ed interventi di cooperazione internazionale per la contraddizione tra gli impegni formalmente presi e il non corrispondente impegno di spesa, qual è la posizione del Governo italiano in merito all’urgente necessità di una riforma sistemica e strutturale, sia a livello quantitativo sia a livello qualitativo, della cooperazione allo sviluppo italiana?
10) In merito alla consultazione delle ONG durante la preparazione del rapporto periodico governativo, in base a quali procedure il Comitato Interministeriale per i diritti umani afferma di consultare le ONG? Esistono verbali di queste consultazioni?
Allegati
Carola Carazzone
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