Sull'azione diretta nonviolenta delle mongolfiere della pace
Chi scrive queste righe è da tempo persuaso della necessità che la nonviolenza divenga l'asse dell'impegno politico (e non solo sociale e culturale), e che si sviluppi una riflessione ed una prassi ad essa ispirata che sappiano essere concreto intervento, lotta incessante, affermazione limpida e persuasa di umanità nel vivo del conflitto, contrastando la violenza ovunque essa operi e comunque si mascheri. La nonviolenza è lotta, se non è lotta non è affatto. La nonviolenza è la scelta del rigore intellettuale e morale, o non è. La nonviolenza è l'unica scelta che invera pace, democrazia, diritti umani e difesa della biosfera, che afferma la coerenza tra mezzi e fini, che riconosce la dignità di tutti, che istituisce una convivenza non oppressiva, che rompe incessantemente le complicità con l'ingiustizia, che suscita la rivolta contro il male, che chiama incessantemente alla responsabilità ed alla solidarietà. Vale la pena farne misura e strumento del nostro agire, e specchio al nostro riflettere.
Ma ancora una parola sentiamo che va detta: c'è un trauma che occorre saper dichiarare e discutere, per elaborarne il lutto e per ricavarne ammaestramenti necessari ed urgenti: la vicenda della guerra dello scorso anno e la correlata catastrofe del movimento pacifista in Italia. Ci si permetta di esprimere una nostra franca opinione, che offriamo quale semplice contributo ad una discussione che ci sembra improcrastinabile.
La guerra balcanica del 1999 non è stata soltanto un eccidio barbarico, per eseguire il quale è stata altresì infranta la nostra Costituzione italiana, e con essa la carta delle Nazioni Unite ed i cardini stessi del diritto internazionale; è stata anche la catastrofe di una cultura, di un comune sentire e di una esperienza organizzata, quella del pacifismo italiano come movimento di massa e orientamento diffuso così come lo avevamo costruito, sviluppato e verificato a partire da quel grande momento di verità e di ricerca che fu l'opposizione ai missili nucleari a Comiso vent'anni fa, quando culture diverse si incontrarono e si riconobbero e trovarono un forte elemento di coesione proprio nell'incontro con la nonviolenza (sebbene per molti limitatamente al suo aspetto meramente metodologico, di repertorio di strategie e di tecniche, e quindi con un raintendimento, un'ambiguità di fondo).
Ebbene, quel movimento pacifista è crollato alla prova della guerra dei Balcani.
Abbiamo più volte proposto la nostra analisi di questo collasso; qui ne riassumiamo di scorcio i termini essenziali.
Da un lato ha clamorosamente rivelato la sua inanità il pacifismo parastatale e burocratico, subalterno e incapace a contrastare frontalmente il governo guerriero, stragista e fuorilegge, e ad opporsi operativamente alla macchina bellica che dispiegava la sua furia.
Dall'altro ha dimostrato definitivamente agli occhi di tutti la sua inammissibilità morale ed intellettuale, ed il suo esito nichilista, il preteso pacifismo urlatore ed ambiguo, quello che si dichiara contro la pena di morte, ma quando gli assassini sono "amici" e "liberatori" allora non sono assassini ma "giustizieri" e vanno osannati; quello che è contro la guerra, ma quando a fare la guerra sono "i nostri compagni" allora la guerra è "giusta e necessaria", e così via in un'orgia di retorica oscena e scellerata. Questo sedicente pacifismo in realtà è omologo nei suoi fondamenti e nei suoi esiti ai poteri che dichiara di combattere: è omologo a chi glorifica le uccisioni "in nome di Dio" o della patria o della purezza o di altre ideologie adoratrici della morte; è omologo alla Nato che commette stragi "in nome dei diritti umani". E dunque non è lotta per la pace, ma qualcosa d'altro e di oscuro.
Nel 1999 era possibile contrastare efficacemente la guerra ed occorreva farlo qui, in Italia, di dove il grosso dei bombardieri stragisti decollava a recar morte alle genti balcaniche: ma occorreva aver fatto la scelta della nonviolenza, occorreva l'azione diretta nonviolenta per bloccare concretamente i decolli dei bombardieri. Era possibile riuscirci: per poche ore ad Aviano ci siamo riusciti con l'azione diretta nonviolenta delle "mongolfiere per la pace". Se invece di essere poche persone, fossimo stati in migliaia, avremmo fermato la guerra (fosse pure solo in parte e per poco, ed al prezzo di innumerevoli fermi e denunce ed arresti di militanti
rigorosamente nonviolenti), dimostrando che la nonviolenza può essere più forte della macchina bellica, dimostrando che la nonviolenza non è testimonianza vittimistica, ma lotta la più rigorosa e concreta, che alla violenza ed ai suoi apparati si oppone in campo aperto, operativamente, per fermarla e sconfiggerli.
Ma la guerra non fu fermata, la legalità costituzionale non fu adeguatamente difesa, perché la gran parte del movimento pacifista italiano era interessata ad altro: a comparire in televisione, a coltivare carriere, ad occhieggiare le elezioni, a buscare una fetta di "aiuti" da gestire, a recitare le predicazioni vaniloquenti e le squallide e sciagurate simulazioni delle guerriglie nei week-end, a contrattare qualche prebenda o anche solo a sgravarsi la coscienza facendo qualche allegra marcetta o qualche nobile mozione o qualche idiota e criminale sassaiola.
E la guerra non fu fermata perché la gran parte del movimento pacifista italiano era ambiguo sulla violenza; ed invece solo con la scelta della nonviolenza si poteva fronteggiare e contrastare la macchina bellica; sì, solo con la nonviolenza era possibile affrontare sul terreno, operativamente, la macchina bellica e riuscire ad infliggerle una sconfitta.
La nonviolenza restò minoritaria, incompresa, irrisa perfino (e pagò lo scotto altresì della confusione e delle piccinerie che regnano tra gli stessi amici della nonviolenza, che sovente confondono nonviolenza e buone maniere, nonviolenza e mero volersi bene, nonviolenza e astensione, la nonviolenza riducendo a devozione privata così denegandone la decisiva dimensione di lotta di massa, di "omnicrazia" per dirla con Capitini). Ed il movimento pacifista fu annientato dalle sue stesse ambiguità, dalla sua stessa pusillanimità.
Lo scriviamo per l'ennesima volta: di questo dovremo pur ragionare una buona volta: altre guerre si preparano, e o si avrà la capacità di costruire un movimento di massa fondato sulla nonviolenza che la guerra contrasti concretamente, oppure si continuerà a recitare il pacifismo, e si resterà di fatto complici e scimmie degli stragisti. O si comincia davvero a contrastare praticamente, operativamente, gli eserciti e le armi, le guerre e le violenze, oppure meglio sarebbe starsene zitti.
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