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«La deriva totalitaria del governo Bush»

Intervista a Howard Zinn
11 dicembre 2004
Miguel Álvarez Sánchez
Fonte: Liberazione

Howard Zinn, chi è lei? Un radicale?

Lo spero; però la parola "radicale" è spesso male utilizzata. Negli Stati Uniti si ha un'idea piuttosto vaga del suo vero significato, la si usa spesso come sinonimo di "estremista" ma per me significa andare alla radice del problema, qualcosa di molto più profondo di una semplice critica. Per esempio la differenza fra un punto di vista liberale e uno radicale…

Qual è?

Le faccio alcuni esempi. Un liberale dice: «Diamo maggiori garanzie di salute a più persone possibile; diamo, non so, più incentivi ai datori di lavoro affinché possano garantire maggiori benefici ai propri impiegati». Un radicale invece direbbe: «Evitiamo la mediazione coi datori di lavoro e le compagnie di assicurazione, la salute deve essere gratis per tutti». Questo è un punto di vista radicale. Facciamo un esempio d'attualità. Un liberale direbbe: «Ok, la guerra in Iraq non sta andando bene, esiste una forma migliore per litigare, coinvolgiamo più paesi…»

Questo è l'approccio di Kerry

Proprio così, John Kerry dice di voler coinvolgere le Nazioni Unite. La logica è diventata una merce rara, se la guerra è immorale dovremmo evitare di coinvolgere altra gente. Un punto di vista radicale, se la guerra è immorale, prevederebbe il ritiro dell'esercito dall'Iraq con la conseguente fine della guerra. Col Vietnam ci trovammo nella stessa situazione…

Cosa significò il Vietnam per la popolazione nordamericana?

Per il popolo statunitense il Vietnam fu un fatto senza precedenti nella storia. Non era successo mai niente di simile prima, ossia non s'era mai formato un movimento così esteso e grande come quello contro la guerra del Vietnam. Nelle guerre fatte dagli Stati Uniti ci sono sempre state dissidenze e ribellioni, anche in quella d'indipendenza, che fu una guerra sacrosanta e giusta; ma anche in quel frangente furono molti gli americani, soprattutto gente di colore e indios, a dubitare che la guerra rivoluzionaria venisse combattuta per loro. I soldati poveri che s'erano uniti all'esercito rivoluzionario non erano sicuri che quella guerra avrebbe recato loro benefici perché sapevano dell'esistenza di una classe coloniale ricca e legale che avrebbe presumibilmente ottenuto più vantaggi. Certo, non mancarono manifestazioni di dissenso durante la guerra rivoluzionaria, succede in tutte le guerre.
Durante quella messicana del 1946-48, in cui gli Stati Uniti occuparono quasi la metà di Città del Messico, molti soldati statunitensi disertarono rifiutandosi di combattere. Durante la Prima Guerra Mondiale ci fu una grande opposizione e anche durante la Seconda, chiamata «la guerra giusta». Mai però c'è stato un movimento così grande e forte come quello contro il conflitto del Vietnam. Cominciò in sordina, con poche persone e sparute manifestazioni, e la gente diceva: «non vinceremo mai, non possiamo nulla contro gli Stati Uniti, il suo governo è potentissimo, questa è la più grande spedizione militare sulla faccia della terra, come potremo fermarla?»; ma il movimento crebbe, crebbe e crebbe ancora.

Per quale motivo? Perché gli americani morivano, perdevano vite?

Credo che i motivi fossero molteplici e uno era sicuramente la morte di molti soldati americani, ma non credo che fosse l'unico, altrimenti non si spiegherebbe l'interessamento del popolo americano per la gente del Vietnam. L'unica cosa certa è che al governo degli Stati Uniti non premeva né la sorte del popolo vietnamita né quella dei propri soldati; però credo di sì, le perdite, le crescenti perdite di soldati americani in Vietnam ebbero un grande effetto sulla popolazione. Ma ci fu qualcosa di più: il popolo americano cominciò a vedere alla televisione fotografie di marines che appiccavano il fuoco ai villaggi, corpulenti soldati puntare pistole contro donne e bambini vietnamiti. Tutto questo commosse la gente e fu allora, nel 1969, che si seppe del massacro di My Lai del 1968: la notizia giunse con un anno di ritardo perché la stampa è sempre lenta nel riportare fatti del genere. Il popolo nordamericano vide fotografie orribili di soldati nordamericani che assassinavano centinaia e centinaia di donne e bambini vietnamiti e questo, insieme alle ingenti perdite di soldati americani e al crescente convincimento che ciò che il governo stava facendo in Vietnam era disumano e ingiusto, contribuì alla crescita del movimento contro la guerra.

Parliamo dell'11 settembre. Cosa ha cambiato negli Stati Uniti?

Come tutti sanno l'11 Settembre è stato un evento catastrofico senza precedenti nella storia statunitense, è stato uno shock per il popolo americano ed è chiaro che i responsabili sono alcuni terroristi. Bush era appena stato eletto presidente, tutti si chiedevano come avrebbe reagito e lui risponde dichiarando guerra al terrorismo. Ma come si può entrare in guerra col terrorismo? Non è mica un paese! Non si può dire: «dichiarerò guerra a questo paese, lo bombarderò e i terroristi saranno sconfitti». I terroristi sono dappertutto, lo stesso governo degli Stati Uniti lo ha dichiarato indicando trenta, quaranta paesi in tutto il mondo.

Sono più di sessanta.

Sì, il numero cambia continuamente, ma il fatto è che il terrorismo non è un fenomeno che si può combattere con una guerra. Questo non era chiaro al popolo o alla stampa americani, che stavano accettando questa idea della guerra contro il terrorismo; ma molti di noi capivano che si trattava solo una scusa, un trucco per permettere agli Stati Uniti di fare qualcosa che era nei loro progetti già molto prima dell'11 settembre: l'espansione della propria influenza in Medio Oriente. Così la prima cosa che Bush fece fu bombardare l'Afghanistan. Morirono migliaia di persone, migliaia di cittadini, mentre altre migliaia dovettero abbandonare le proprie case. Bush disse che stava dando la caccia a Osama Bin Laden, il cervello del terrorismo; non l'ha mai trovato, ma nel frattempo è morta tanta gente. L'unico modo di opporsi al terrorismo è domandarsi: quali sono le sue cause, le sue radici? Cosa motiva i terroristi? Prendiamo la situazione in Israele: terrorismo, bombe suicide e via dicendo. Il governo Sharon risponde con la forza imitando Bush. Qual è il risultato? Le bombe suicide continuano. Se Israele volesse fermare il terrorismo dovrebbe eliminarne la causa, ossia l'occupazione dei Territori palestinesi.

Prima parlavamo del Vietnam. Ci sono somiglianze e differenze con l'Iraq?

Beh, ci sono differenze ovvie. Nel caso del Vietnam, gli Stati Uniti ebbero a che fare non solo con un movimento ribelle organizzato nel sud ma anche con un governo reale nel nord che appoggiava i ribelli del sud. In Iraq gli Stati Uniti hanno a che fare con qualcosa che somiglia ai ribelli del Vietnam del sud, ai guerriglieri della resistenza. Tutto in Vietnam, dalle perdite di soldati ai bombardamenti alle lotte, avvenne su scala maggiore rispetto all'Iraq: in Iraq finora sono morti circa mille soldati, in Vietnam ne morirono 50mila. Ma ci sono anche similitudini importanti, una fondamentale è che in Vietnam gli Stati Uniti attaccarono un paese innocuo che non rappresentava una minaccia, esattamente come l'Iraq. Abbiamo dunque questo paese enorme, gli Stati Uniti, con 280 milioni di abitanti che invia un esercito al di là dell'oceano, in Iraq, paese con 25 milioni di abitanti, per bombardarlo e invaderlo senza che esso rappresenti una minaccia per gli Stati Uniti o per qualche altro paese. Questa è la similitudine fondamentale fra le due situazioni ma ce ne sono anche altre, per esempio che in entrambi i casi al popolo americano sono state raccontate gravi bugie. Durante il Vietnam ci volle del tempo affinché il popolo americano si rendesse conto delle menzogne del Governo e capisse che la guerra era ingiusta; per la situazione irachena invece quel lasso di tempo è stato brevissimo, è successo tutto più rapidamente. Gli Stati Uniti sono entrati in guerra contro l'Iraq solo un anno fa ma il popolo americano sa già che la storiella delle armi di distruzione di massa è una farsa, ed è per questo che il movimento contro la guerra negli Stati Uniti è cresciuto più rapidamente rispetto al Vietnam.

L'attività militare degli Stati Uniti è stata condotta in nome della democrazia e della libertà. Perché?

Come si può giustificare davanti al popolo americano l'invio di truppe a ottomila chilometri dal proprio paese? Come si può giustificare davanti al popolo americano l'invasione di una piccola isola? Bisogna creare dei consensi. Leggendo 1984 di George Orwell si vede come, per creare uno stato totalitario, si usino parole e frasi che offuscano la mente. Così il governo dice che stiamo combattendo per la libertà, per la democrazia, e alle guerre dà anche un nome. Gli americani credono nella libertà e nella democrazia… ma che dico? Tutti crediamo nella libertà e nella democrazia. E agli americani dicono che si sta combattendo per questo. Qui, a mio parere, c'è qualcosa in più che credo sia importante menzionare: il ricordo della Seconda Guerra Mondiale, che negli Stati Uniti è ancora molto forte perché è la guerra accettata come giusta e lo fu realmente, perché combattuta contro il fascismo in favore della libertà e della giustizia. Ma la Seconda Guerra Mondiale non fu solo e soltanto una guerra per la democrazia. Essa ha ancora una potente influenza negli Stati Uniti, la chiamano la «guerra buona», sicché il governo e la stampa la usano come termine di paragone. Dicono «con la Seconda Guerra Mondiale combattemmo contro Hitler», Saddam Hussein è Hitler, un altro Hitler; allora dicevano «dobbiamo lottare per la democrazia» e così fanno anche ora.

E usano questi paragoni e queste analogie appropriandosi indebitamente di elementi morali della Seconda Guerra Mondiale e appioppandoli a tutte le guerre ingiuste compiute in seguito dagli Stati Uniti.

E Cuba? La politica statunitense, sin dal principio, voleva attuare un cambiamento di regime a Cuba ma ora se ne sta parlando apertamente
Sì. Be', hanno sempre parlato di un cambiamento di regime ed è interessante perché gli americani non imparano nulla dalla storia che s'insegna nelle loro scuole. Ci sono diversi capitoli, nei libri di storia americana, sui cambiamenti di regime ma cosa succede quando gli Stati Uniti sono coinvolti in uno di essi? Torniamo al 1898, alla guerra contro la Spagna. Quello fu un cambiamento di regime con cui gli Stati Uniti liquidarono la Spagna ma a Cuba non giunse la libertà ma il potere americano. Certo, nella storia recente gli Stati Uniti hanno cercato di cambiare i regimi di tutto il mondo, compresi quelli democratici eletti in Cile e in Guatemala, e qual è il risultato? Dittatura e morte, ma il popolo america no non sa niente di tutto questo. Washington ha sempre voluto cambiare il regime di Cuba ma cosa c'è dietro? Libertà e democrazia? No di certo, dietro c'è solo la volontà di insediare dei governi subordinati ai loro interessi. Durante la Guerra Fredda dicevano di voler rovesciare solo governi comunisti ma in Cile e in Guatemala non c'erano governi comunisti: gli Stati Uniti vogliono rovesciare tutti quei governi che non cooperano con loro, quindi il loro problema con Cuba non riguarda la forma di governo (marxista, comunista o socialista) ma il fatto che Cuba insiste nel voler essere indipendente dagli Stati Uniti, nel non voler essere sottomessa, questo è il vero problema. E il governo statunitense non dice agli americani ciò che la rivoluzione cubana ha significato per i cubani, salute, educazione, cultura; non dice nulla di tutto questo e si preoccupa solo di creare l'immagine di un paese, Cuba, che ha un governo dittatoriale che deve essere rovesciato. E ora sono più aggressivi di prima perché vogliono accontentare i cubani in Florida.

Note: fonte http://www.rebelion.org/noticia.php?id=7998.
Traduzione di Andrea Strallo

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