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Onu, Onu! Che fare?

Un articolo per una nuova Onu dei diritti e dell’equità
15 maggio 2003
Luca Benedini
Fonte: "Rocca" del 15 maggio 2003 (http://www.rocca.cittadella.org)

La recente guerra per il petrolio iracheno non è la prima gravissima violazione registratasi negli ultimi anni nei confronti della Carta dell’Onu (1). Tra le altre, la più eclatante - benchè nascosta piuttosto bene all’opinione pubblica internazionale a quell’epoca - è avvenuta nel 1999 con il conflitto tra la ventina di nazioni della Nato e la Jugoslavia del regime di Milosevic.

Tra Kosovo ed Iraq

Già con quel conflitto si erano aperte colossali crepe nella speranza di veder finalmente, dopo la fine della "guerra fredda", una diplomazia internazionale mirante alla pace e alla cooperazione tra i paesi. In quell’occasione - come ricordò p. es. Antonio Gambino su Aprile del 26/5/99 - nei negoziati di Rambouillet che furono immediatamente seguiti dalla guerra avvenne che «Milosevic disse di sì all’autonomia del Kosovo, anche se come regione dello Stato serbo, e disse di no alla presenza di una forza militare diretta dalla Nato. E' sulla base di quel no che la Nato ha sferrato l’attacco aereo», rifiutando possibilità come «una forza Onu con all’interno reparti della Nato». Ora, il ripristino dell’autonomia regionale e la presenza di una forza internazionale di garanzia nell’area costituivano le richieste di base della grande maggioranza della popolazione kosovara. Il regime di Milosevic aveva finalmente accettato di concedere l&#! 8217;uno e l’altra, ma a Rambouillet i governi dei maggiori paesi della Nato pretesero anche il controllo di quest’ultima su tale forza militare. Non fu altro, in pratica, il concreto "motivo del contendere" sulla cui base la Nato nel marzo del ’99 diede inizio alla guerra.

Lo stesso Lamberto Dini, allora ministro degli Esteri italiano, ha poi riconosciuto nel suo libro Fra Casa Bianca e Botteghe oscure (Guerini, 2001): «Fu [...] un intervento armato contro la Serbia, un paese sovrano, senza previa autorizzazione dell’Onu. Si trattò di un taglio netto con cinquant’anni di storia e politica della Nato. Un fatto senza precedenti». E fu per di più - ha ammesso ancora Dini - un intervento armato ufficialmente giustificato asserendo la necessità di «fermare un possibile genocidio», benchè fosse «vero, però, che solo dopo l’inizio dei bombardamenti i rastrellamenti serbi contro i civili in Kosovo causarono il grande esodo verso il sud con un milione di persone in movimento»... In altre parole, persino un ministro coinvolto direttamente come Dini ha riconosciuto a posteriori che fu proprio il conflitto avviato dalla Nato a ridare corpo a quel tentativo di genocidio, e che la giustificazione del conflitto fornita dal! la Nato era priva di fondamento.

La principale spiegazione della scelta bellica del marzo ’99 - aveva concluso Gambino in pieno accordo con numerosi altri commentatori e con l’evidenza stessa degli eventi - non poteva essere altro che il fatto che tale scelta «serviva [...] a lanciare la nuova Nato, una sorta di nuovo governo mondiale che ignorando le Nazioni Unite intende operare come potere imperiale americano sul mondo». Ecco dunque, evidentemente, quel che è stato in realtà l’aspetto predominante del conflitto Nato-Jugoslavia: un’azione attraverso cui - mirando a dissolvere sempre più la funzione, il ruolo e il significato dell’Onu e l’efficacia del diritto internazionale - coloro che già detenevano gran parte del potere economico e politico mondiale hanno cercato di accrescere ulteriormente il loro potere politico ai danni di chi già ne aveva pochissimo, e cioè soprattutto i popoli dei paesi in via di sviluppo. Un’azione non dissimile da quelle attraverso cui l! a medesima cerchia sta cercando da anni di accrescere sempre più il proprio potere economico attraverso i tentativi di subordinare l’intero mondo - compresi i suoi vari aspetti sociali, ambientali, sanitari, culturali, ecc. - agli immediati interessi produttivi, commerciali e finanziari delle principali élites dell’economia internazionale.

Altri evidenti segni del sostanziale scontro in atto tra "Nato&dintorni" ed Onu sono i sempre più radicali contrasti esistenti da tempo tra molti governi dei paesi "sviluppati" e le branche dell’Onu che si occupano della fame nel mondo, dell’ambiente, dei diritti umani, dello sviluppo, dei bambini, dei rifugiati, ecc.. Non è raro che tali governi trattino con palese disprezzo ed estremo disinteresse le strutture dell’Onu e i tentativi con cui esse cercano - in pieno accordo con la sua Carta istitutiva - di difendere tanto i diritti delle popolazioni povere che costituiscono un’ampia maggioranza dell’umanità quanto un ambiente planetario che, per ammissione pressochè unanime degli scienziati della stessa Onu, è ormai ridotto agli sgoccioli.

Alla luce di tutto ciò emergono anche le effettive radici dell’opposizione piuttosto vivace che, durante il 2002 e l’inizio del 2003, alcuni dei principali governi dello "scacchiere internazionale" hanno manifestato alla guerra che Bush e Blair stavano promuovendo contro l’Iraq. In sintesi, non appare per niente casuale che quei governi avessero o rapporti economici molto intensi con l’Iraq di Saddam Hussein (i governi di Francia e Russia) o forti motivi di politica interna contro questa guerra (il governo Schroeder, che di fronte a crescenti difficoltà economiche nazionali reggeva in qualche modo nell’opinione pubblica tedesca solo dando espressione alla volontà di pace di gran parte di quest’ultima). E si comprende anche come mai, una volta avviata l’invasione armata dell’Iraq, i medesimi governi non abbiano fatto praticamente nulla per sollevare con forza la questione della legalità internazionale lacerata in modo g! ravissimo da questa guerra e per cercare di opporsi davvero alla sua prosecuzione. Non erano affatto i diritti umani del popolo iracheno e la legalità ciò che essi stavano difendendo, ma solo i propri interessi governativi: e questi ultimi risulteranno molto più facilmente difendibili in futuro mediante un accordo con i vincitori della "II guerra del Golfo", piuttosto che mediante un insistere su dei diritti e una legalità che erano già stati tranquillamente fatti a pezzi, p. es., dai governi di Francia e Germania qualche anno fa nel "caso jugoslavo" e dal governo russo anno dopo anno nel "caso ceceno".

In breve, quello che sta succedendo ora è il tentativo dell’amministrazione Bush di passare da un governo mondiale di una Nato sotto tutela Usa ad un diretto impero delle élites statunitensi, e ciò genera qualche tensione con altre élites che si vedono restringere gli spazi economici e politici.

L’agonia dell’Onu

Chiunque può vedere da solo che, di fatto, l’Onu sta morendo, uccisa in due modi paralleli: politicamente, dalla sostanziale guerra che da tempo molti governi stanno facendo ai suoi princìpi costitutivi di solidarietà, pace, affermazione dei diritti umani e collaborazione internazionale; e, tecnicamente, dal diritto di veto che hanno all’interno dell’Onu proprio cinque di questi governi (Usa, G. Bretagna, Francia, Russia e Cina), in quanto rappresentanti delle principali nazioni vincitrici della II guerra mondiale.

Molto probabilmente, l’unico modo concretamente efficace per cercare di iniziare a salvare lo spirito originario da cui era nata l’Onu sarà affiancare a quest’ultima una nuova ed analoga organizzazione mondiale delle Nazioni Unite (N.U.) nella quale, rispetto a quella attuale, vi siano alcuni cambiamenti strutturali resi finalmente possibili dalla fine della "guerra fredda", dall’ampia integrazione economica mondiale e dalla vasta diffusione internazionale delle forme di democrazia rappresentativa. Lo Statuto (o Carta) di questa nuova organizzazione, anche per poter essere approvato abbastanza facilmente nei vari paesi senza dar luogo a discussioni infinite da un capo all’altro del globo, dovrebbe riprendere in gran parte quello dell’Onu attuale. In particolare, fra gli scopi e princìpi dell’organizzazione esplicitati statutariamente si potrebbero semplicemente aggiungere due temi divenuti sempre più essenziali negli ultimi decenni: ! tra gli scopi, la difesa dell’equilibrio ambientale ed ecologico planetario; tra i princìpi, il diritto/dovere di intervenire a difesa di popolazioni che subiscono gravi violenze nell’ambito specifico della loro nazione.

Cambiamenti strutturali proponibili

Ecco quei cambiamenti strutturali che appaiono ormai fondamentali:

a) non dovrebbero più esservi diritti di veto, ma andrebbero richieste maggioranze molto ampie - indicativamente anche l’80% del Consiglio di Sicurezza (Cds) o dell’Assemblea Generale (Ag) - per prendere le decisioni più importanti e significative;

b) il Cds dovrebbe essere composto esclusivamente da membri eletti da parte dell’Ag;

c) al Cds dovrebbero essere eleggibili solamente i paesi che abbiano ratificato i due "Patti internazionali" dell’Onu sui diritti umani e che stiano rispettando tali Patti e lo Statuto delle N.U. in modo sostanziale e verificabile da osservatori indipendenti internazionali; la deliberata violazione di qualcuno di questi atti da parte di un governo presente nel Cds dovrebbe costituire per la sua nazione motivo di immediata decadenza dal Cds stesso per alcuni anni;

d) ogni deliberazione del Cds o dell’Ag, prima di poter entrare in vigore, dovrebbe venire approvata dalla Corte internazionale di giustizia (che è un organo delle N.U. e che attualmente ha sede all’Aja) dopo una rapida ed esauriente valutazione di legittimità che attesti la coerenza della deliberazione con lo Statuto e in generale con il diritto internazionale;

e) per poter entrare in vigore, ogni deliberazione che dovesse dar luogo ad un intervento armato dovrebbe anche, tranne nel caso di interventi urgenti ad esclusiva difesa di popolazioni attaccate violentemente da forze militari o paramilitari, venir confermata da referendum popolari organizzati dopo qualche settimana in tutti i paesi i cui rappresentanti governativi hanno votato a favore di tale deliberazione (e quei voti favorevoli che non venissero specificamente suffragati dal referendum condotto nel proprio paese dovrebbero venir in pratica annullati);

f) andrebbe posto specificamente in evidenza che le strutture operative delle N.U. dovrebbero collaborare il più direttamente possibile con le popolazioni stesse e con le effettive organizzazioni della società civile.

Le formazioni politiche e i governi che volessero tener fuori i loro paesi da questa nuova organizzazione mondiale delle N.U. si qualificherebbero come difensori di un "ordine internazionale" basato non sulla solidarietà, sulla collaborazione e sui diritti umani di tutti, ma sul privilegio, sul potere di pochi e sulla prevaricazione. Evidentemente le due organizzazioni potrebbero coesistere per un certo periodo, ed è possibile che per i paesi membri della nuova risultasse temporaneamente opportuno continuare ad essere membri anche dell’altra, ove ciò non si rivelasse una flagrante contraddizione. Alla fine, la vecchia Onu dovrebbe sostanzialmente estinguersi lasciando il suo posto a questa nuova organizzazione che conservi le molte cose buone dell’Onu stessa ma riesca finalmente ad affiancare ad esse anche un’effettiva democrazia interna ed una maggiore efficacia nell’applicare coerentemente i propri princìpi costitutivi.

Già il 17 dicembre scorso Papa Giovanni Paolo II, sottolineando in un messaggio di pace che «la prospettiva [...] di un’autorità pubblica internazionale a servizio dei diritti umani, della libertà e della pace [...] non si è ancora interamente realizzata», ha posto la questione dell’evidente inadeguatezza dell’attuale Onu: «Non è forse questo il tempo nel quale tutti devono collaborare alla costituzione di una nuova organizzazione dell’intera famiglia umana, per assicurare la pace e l’armonia tra i popoli, ed insieme promuovere il loro progresso integrale? E' importante evitare fraintendimenti: non si vuol qui alludere alla costituzione di un super-stato globale. Si intende piuttosto sottolineare l’urgenza d accelerare i processi già in corso per rispondere alla pressoché universale domanda di modi democratici nell’esercizio dell’autorità politica, sia nazionale che internazionale, come anche alla richiesta di traspare! nza e di credibilità ad ogni livello della vita pubblica». La successiva tragedia della guerra scatenata in Iraq e dell’impotenza dell’Onu di fronte ad essa non fa che rendere tutto ciò ancor più evidente.

NOTE

(1) Cfr. p. es. l’articolo Guerra e diritto internazionale - Tra carta Onu e dichiarazione dei diritti umani, su Rocca n. 3/2003.

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