La sfida organizzativa della Rete di Lilliput
La Rete di Lilliput nasce all’interno di quel complesso arcipelago di associazioni e di movimenti che, sotto il generico appellativo di “no-global” (o del più recente e corretto new-global), è divenuto in un lasso di tempo relativamente breve uno dei protagonisti della scena politica mondiale di questo inizio secolo.
Ad una prima analisi del fenomeno, l’impressione è che gli obiettivi comuni a questi movimenti presi nel loro insieme - la lotta contro il potere economico e politico rappresentato dalle multinazionali, la ricerca di un equilibrio sociale più equo e di una diversa distribuzione delle ricchezze - abbiano finito per mettere in ombra, quando non proprio per negare, le differenze legate alla loro origine nazionale, teorica ed organizzativa.
Per fare un esempio, se l’azione dei new-global in Sudamerica è stata sempre collegata all’attività dei partiti politici della sinistra istituzionale, in Europa occidentale essa si è invece sviluppata per lo più indipendentemente, ed anzi spesso in opposizione rispetto a questi. Ciò ha portato, all’interno di alcuni movimenti, a rimettere in discussione non solo i temi più strettamente legati al fenomeno della globalizzazione, ma anche le questioni teoriche di fondo della vita politica democratica, prime fra tutte quella della rappresentanza, della legittimità delle azioni del gruppo, dei metodi e delle strutture decisionali che esso debba assumere.
Un processo simile è avvenuto anche nel contesto della cosiddetta Rete di Lilliput, movimento nonviolento, caratterizzato da origini e da un’evoluzione alquanto peculiari nel panorama new-global italiano. In questo quadro, Lilliput rappresenta un gruppo particolarmente sensibile ai problemi di natura organizzativa, ed al rapporto critico con le forme della democrazia rappresentativa propria dei raggruppamenti politici ed associativi tradizionali.
Queste osservazioni pongono alcuni interrogativi, che costituiranno le linee generali di ricerca di questo lavoro.
a) Che cosa ha spinto Lilliput ad affrontare un dibattito interno estremamente complesso, nel tentativo di formalizzare una struttura reticolare, diversa da quella delle organizzazioni già sperimentate ?
b) Che tipo di conseguenze ha avuto il dibattito ? Il movimento è o meno riuscito a generare una forma innovativa di struttura politica ?
La prima questione affonda le radici nella storia delle origini di Lilliput, che verranno esaminate e discusse in relazione allo sviluppo successivo del movimento. La seconda questione sarà invece articolata attraverso il confronto con alcuni aspetti delle strutture classiche della democrazia rappresentativa, e più precisamente gli organi decisionali, i processi decisionali e l’organizzazione della rappresentanza.
1. Le origini della Rete di Lilliput
All’origine della Rete di Lilliput sta un coordinamento fra gruppi diversi - movimenti di volontariato, associazioni religiose, ambientali, pacifiste - riunitisi intorno ad un progetto di lotta comune nei confronti di un’economia gestita da gruppi transnazionali, accusata di essere fonte di pesanti disparità sociali a livello globale, di danni ad ampio raggio in campo ambientale e di esplosioni belliche. Al di là degli obbiettivi condivisi - il raggiungimento di un’economia più giusta, la diffusione di uno stile di vita improntato alla solidarietà ed alla sobrietà - viene richiesto a tutti gli aderenti di sposare nell’azione pratica i metodi della nonviolenza gandhiana.
Queste associazioni promotrici hanno costituito, alla fine degli anni ottanta, il Tavolo Intercampagne, che non è ancora Lilliput, ma da cui, come vedremo, Lilliput nascerà. Attraverso l’analisi di questa origine, si tenterà di mettere in luce alcune delle motivazioni che porteranno questo movimento ad elaborare una struttura organizzativa indipendente.
Le associazioni che compongono il Tavolo Intercampagne hanno caratteristiche formali assai diverse fra loro. Ad alcuni piccoli gruppi, esistenti solo a livello locale (CO.CO.RI.CO.) e privi di un’ossatura organizzativa vera e propria, si affiancano grandi movimenti presenti su tutto il territorio nazionale e legati ad ONG internazionali. Questi ultimi hanno alle spalle strutture organizzative complesse, di tipo ecclesiale (ad esempio Nigrizia, l’associazione dei missionari comboniani), di tipo elettivo classico su vari livelli assembleari, cittadino, regionale, nazionale, internazionale (l’AIFO, il WWF) o di una forma più semplificata di esso (Pax Christi). Fra tutte queste esperienze associative, Rete Radiè Resch è l’unica che rifiuti strutture di tipo piramidale e proponga un disegno organizzativo privo di vertici, a rete, appunto, che come vedremo servirà da ispiratore al progetto lillipuziano.
L’ispirazione riguardo al nome ed al concetto di Lilliput viene dall’opera di due sindacalisti statunitensi, spesso citati nei documenti di presentazione del movimento, Jeremy Brecher e Tim Costello, che nel 1996 hanno iniziato a parlare di “strategie lillipuziane”, per sintetizzare un progetto di lotta contro le multinazionali, che colleghi “gli interessi individuali con quelli collettivi, il globale con il locale, i produttori con i consumatori, le piccole associazioni con le grandi…” ovvero un coordinamento ideale di proporzioni più vaste rispetto a quello del Tavolo.
Cos’è effettivamente Lilliput, alle sue origini ? Lilliput è il tentativo, lanciato ufficialmente nel luglio 1999, di allargare a livello locale la partecipazione alle iniziative del Tavolo Intercampagne, che si preferisce mantenere ristretto ai movimenti fondatori. L’espressione “gettare la Rete”, per i gruppi che si sono già riuniti, significa creare una serie di punti d’incontro, regionali o cittadini, i cosiddetti Nodi, che pubblicizzino nel loro territorio le campagne nazionali, stimolando persone motivate a contribuire a progetti comuni.
Abbiamo già sottolineato la grande varietà di forme organizzative all’interno del Tavolo. In questo contesto è giocoforza chiedersi perché, sia per definire il tipo di coordinamento interno ad esso, sia il suo allargamento a tutto il territorio italiano, ovvero Lilliput, si sia scelto di adoperare il concetto di rete, ed in che senso esso sia stato proposto. Perché, fra tante strutture diverse, proprio quella a rete ha avuto così tanto successo ? Come viene interpretata ?
Leggere il documento progettuale preparato dal Tavolo riguardo a Lilliput, Gettare la Rete, è il modo più diretto per cercare una risposta a tali questioni.
Non si tratta qui di pensare a delle strutture nazionali che soffochino la molteplicità e la diversità in un’unica sigla. Si tratta piuttosto di avviare un processo di comunicazione dal basso, una messa in rete, un percorso federativo per la creazione di un progetto comune.
Struttura a rete, in questa prima accezione datale dal Tavolo Intercampagne, sembra significare piuttosto non-struttura, ovvero, più che il tentativo di sperimentare nuove forme organizzative, il rifiuto di creare una forma organizzativa specifica per il nuovo soggetto in fase di costituzione. Il fatto di dover coordinare realtà molto diverse fra di loro, per forma e contenuti, spinge a cercare di salvaguardare l’identità di ognuna evitando di dar vita ad un nuovo contenitore che le riassorba tutte dentro di sé. Federarsi a rete evita il rischio che questo contenitore si formi involontariamente. Si potrebbe dire che in questo momento originario la Rete di Lilliput, più che un soggetto autonomo, è l’estensione di un coordinamento fra diverse esperienze, e come tale viene vissuto.
2. Il problema della rappresentanza
2.1 La prima Assemblea Nazionale
A distanza di poco più di un anno dalla creazione della Rete di Lilliput, la sua struttura si compone di due elementi principali: a) il Tavolo Intercampagne, che propone e organizza le mobilitazioni, oltre a svolgere incarichi tecnici di segreteria, e b) i Nodi, che a livello locale dovrebbero allargare a quanti più individui e gruppi possibile il richiamo sulle mobilitazioni, ed eventualmente proporne di ulteriori.
La creazione dei Nodi locali segue una dinamica abbastanza informale: il primo passo è raccogliere intorno al progetto lillipuziano una certa quantità di singoli e di associazioni, nè troppo piccola – in modo da poter operare efficacemente - né troppo grande, per evitare che le riunioni perdano il carattere di convivialità desiderata. Successivamente viene scelto un referente che si registrerà come tale nel sito web della Rete, indicando i propri dati e quelli delle associazioni aderenti, e dando così al Nodo esistenza ufficiale. Se i simpatizzanti sono troppo pochi per creare un Nodo locale, possono aderire individualmente a Lilliput tramite una semplice comunicazione al sito, nella quale si annuncia di condividere i valori espressi dal Manifesto. Si formerà allora un Punto Lilliput, che in un secondo momento potrà evolvere in Nodo.
Secondo fonti interne , al momento in cui inizia a prendere piede il dibattito su quale sia l’organizzazione migliore per Lilliput, i Nodi sono caratterizzati a livello strutturale da un’estrema fluidità. Nella maggior parte dei casi mancano uno statuto ed una sede fissa, ma le riunioni sono abbastanza regolari. Ogni Nodo ha un referente ben identificabile, destinato a coordinare le iniziative del gruppo, i dibattiti e le riunioni, ed a gestire i rapporti con il resto della Rete. In genere la rappresentanza diretta verso l’esterno della Rete (in occasione di manifestazioni cittadine, per esempio), viene lasciata a portavoce che cambiano di volta in volta, ma si segnala che anche i referenti assumono talvolta incarichi di rappresentanza.
All’interno dei Nodi sono presenti moltissime associazioni locali, di dimensioni più o meno grandi e di diversa ispirazione culturale. La componente cattolica è ampia, ma non unica. Si registrano infatti le adesioni di gruppi diocesani, di ordini religiosi con vocazione missionaria e di sezioni locali delle Acli, ma anche di sezioni dell’Arci, e di organizzazioni laiche come il Chicco di Senape. Molto frequenti sono le piccole cooperative impegnate nel terzo settore, le associazioni locali di volontariato, prive di connotazioni ideologiche precise, le sezioni di ONG internazionali aderenti al Tavolo e le Botteghe del CTM-Altromercato. Le campagne nazionali più condivise a livello locale sono quella di pressione sul WTO (World Trade Organization), Banche Armate (boicottaggio delle banche che investono in armi), Aquisti trasparenti, Sdebitarsi (per la remissione del debito ai paesi del terzo mondo), a cui si affiancano iniziative strettamente legate alle realtà del proprio territorio, come la protesta per i consumi eccessivi di acqua e pesticidi nel vivaismo pistoiese, il fronte anticemento a Lodi, l’opposizione alla costruzione di fabbriche di armamenti a Cagliari e a Sassari.
Il momento di svolta nell’evolversi del rapporto tra i Nodi ed il Tavolo Intercampagne si ha nel corso della prima Assemblea Nazionale di Marina di Massa, svoltasi nell’ottobre 2000. Il discorso organizzativo, fin qui relativamente marginale all’interno del movimento, almeno rispetto ad altre questioni (l’approfondimento tematico sui varî argomenti alla base delle diverse campagne di Lilliput, ad esempio) si rivela più complesso del previsto, nonché più essenziale, proprio nel corso della preparazione di quest’assemblea e durante lo svolgimento della stessa. La quantità di partecipanti è molto alta, si registrano più di mille presenze.
I Nodi sono la chiave di volta dell’intera questione. Per gli aderenti ai Nodi territoriali, Lilliput non è più solo un coordinamento, è un organismo che va prendendo una fisionomia precisa, sia da un punto di vista teorico - la cultura della nonviolenza gandhiana viene approfondita, in modo da costituire un’ossatura del movimento che sia originale e distinta rispetto a quella degli altri gruppi “new-global” - che pratico, grazie alla ricerca di obiettivi realizzabili non solo su scala globale, ma anche locale: ad esempio la lotta allo sfruttamento, la ricerca di un consumo solidale, il controllo sui danni ambientali, ecc.
Non si vuole creare una nuova associazione, o una “super-associazione”, piuttosto un movimento indipendente che comprenda molte più associazioni e singoli rispetto al Tavolo, e che a differenza di questo, rimasto un semplice coordinamento il più informale possibile, abbia un carattere strutturale definito. In questo senso è significativa la divergenza fra i documenti programmatici del Tavolo, preoccupati di non “soffocare la molteplicità e la diversità in un’unica sigla”, e quelli proposti dai Nodi come soggetto di riflessione al primo convegno nazionale della Rete.
Tale dissidio, per il momento, si concentra in particolare intorno al problema della rappresentanza.
La maggior parte dei Nodi dimostra infatti una certa insofferenza di fronte allo schema che vede il Tavolo Intercampagne in posizione centrale, come portavoce e responsabile dell’attività dell’intera Rete, di cui essi non sono, al momento, che una sorta di “emanazione”. Tale struttura “non-struttura” inizia ad andare loro stretta, soprattutto dal momento che essa, paradossalmente, appare in contrasto con la pratica democratica più diffusa: in effetti non sono state le varie realtà di base ad eleggere un organismo centrale, ma è stato quest’organismo ad essersi “auto-creato” e ad aver dato vita anche alle realtà locali.
Durante il dibattito precedente e contemporaneo alla prima Assemblea Nazionale si delineano varie proposte organizzative per la struttura futura di Lilliput : per il momento, la questione di che tipo di organizzazione sia preferibile non ha ancora dei contorni definiti, e riflette la diversità di vedute sull’argomento che già era evidente nella differenziazione delle strutture delle associazioni di partenza. Si va dalla possibilità di una struttura piramidale, scandita da più livelli assembleari elettivi e con un centro decisionale elettivo (questa proposta viene elaborata e difesa soprattutto dagli aderenti al Nodo nato all’interno dell’università Bocconi ) a quella, opposta, di eliminare qualsiasi vertice e, di conseguenza, chiarire i rapporti tra Nodi e Tavolo, visto ormai come una sorta di “super-nodo” centrale in antitesi con l’idea di una struttura a rete di tipo orizzontale.
Questa seconda proposta viene sostenuta dalla maggior parte dei Nodi. Si tratta tuttavia di un modello per il momento assai vago, che non chiarisce che tipo di organismi di rappresentanza una simile struttura dovrebbe avere.
Da questo scontro emergono tre posizioni, che sintetizzano per la prima volta l’esistenza di un vero e proprio “problema di organizzazione ” all’interno della Rete.
a) una struttura a dimensione orizzontale: sperimentazione della partecipazione diretta e superamento della rappresentanza. In questa ipotesi il Tavolo Intercampagne si posiziona come Nodo della Rete.
b) una struttura orizzontale-verticale: viene riconfermata la democrazia rappresentativa con l’elezione da parte dei Nodi locali e/o dell’Assemblea Nazionale del proprio “centro decisionale ”. Anche in questo caso il ruolo del Tavolo viene drasticamente ridimensionato, in quanto organismo non eletto; al suo posto il “centro decisionale ” dovrebbe essere costituito da un Comitato esecutivo eletto, che scelga fra i suoi membri un portavoce destinato ad essere il rappresentante ufficiale della Rete.
c) il modello attuale va bene, si riconferma al Tavolo Intercampagne la responsabilità di decidere per la Rete di Lilliput ed i Nodi locali sono “amplificatori” delle decisioni prese dal Tavolo.
Il problema, in fondo, è quello della necessità di avere o meno un centro decisionale ristretto distinto dall’Assemblea Nazionale, mantenendo in questa veste un Tavolo non eletto (possibilità c) oppure di dotarsi di una struttura forse più flessibile e leggera di quella partitica, ma non sostanzialmente diversa da essa (possibilità b), o, ancora, di creare una struttura completamente orizzontale e priva di rappresentanza, che applichi realmente, nel concreto dell’azione pubblica, la struttura reticolare nella cui prospettiva Lilliput aveva mosso i primi passi.
2.2 Lo spartiacque di Genova
Pur avendo preso coscienza di questa complessa problematica organizzativa, la Rete di Lilliput, nel suo insieme, sceglie di riflettere su di essa senza prendere subito una decisione in merito. Il ruolo di rappresentanza implicita del Tavolo non viene definito né chiarito ulteriormente, ma è tuttavia indebolito al punto da non costituire più il reale portavoce lillipuziano, né vengono programmate forme alternative attraverso le quali presentarsi in pubblico, dato che la maggioranza dei Nodi è in favore della seconda proposta, ancora assai incerta a riguardo. Si arriva così, in una situazione di sostanziale “stallo” strutturale, alla grande mobilitazione di Genova in occasione del vertice del G8 nel luglio 2001. Ritengo che si possa considerare questo momento uno spartiacque decisivo nella storia del movimento e della sua evoluzione.
Come si ricorderà, il primo motore del dibattito organizzativo all’interno di Lilliput era rappresentato dall’insofferenza verso la rappresentanza del Tavolo, subìta più che scelta. Si trattava tuttavia del gruppo fondatore della Rete, i cui ideali teorici erano condivisi dal resto del movimento. La messa in discussione del suo ruolo pratico non toglieva nulla al sentimento di accordo comune sui temi e le modalità dell’azione politica da intraprendere. È forse per questo che tale motore non era stato sufficiente a dare un impulso ed un orientamento decisivi alla struttura formale del movimento. Un altro conflitto sulla rappresentanza, ben più evidente e difficile da gestire, segnerà l’inizio del cambiamento vero e proprio, e spingerà anche i sostenitori del modello “orizzontale” a porre il problema in modo più approfondito.
Le manifestazioni in occasione dell’incontro del G8 costituiscono per la Rete di Lilliput la prima esperienza pubblica di una certa rilevanza, nonché il primo incontro-scontro con i sistemi dell’informazione mediatica. A questo evento Lilliput giunge senza aver definito chiaramente il modo di rappresentare le proprie posizioni di fronte alla società italiana e internazionale.
Il contatto con realtà dotate di portavoce ben riconoscibili, all’interno del Genoa Social Forum, provoca nella Rete una situazione di profondo disagio, che finirà per segnare tutti i successivi rapporti con i Social Forum locali fino al rifiuto di partecipare direttamente al tentativo di costituzione di un Social Forum nazionale. Per dirla con le parole di uno dei membri del Tavolo Intercampagne, Gianfranco Bologna: “Noi, che non abbiamo voluto darci, per scelta, dei rappresentanti, poi ci siamo trovati quelli degli altri” .
Questa situazione costringe il movimento lillipuziano ad affrontare decisamente la questione organizzativa, ed in particolare il problema della rappresentanza della Rete verso l’esterno, che sarà al centro dei dibattiti successivi.
3. Il dibattito sull’organizzazione
3.1 Premesse del dibattito: il confronto con la forma-partito e la sfida al concetto di democrazia rappresentativa
Nel periodo successivo alle giornate di Genova, la Rete di Lilliput si trova di fronte ad un bivio fondamentale nella propria storia: restare un semplice coordinamento fra associazioni è ormai impossibile, ma d’altra parte è estremamente complesso anche costituirsi formalmente come una “rete” indipendente, autonoma, con una propria struttura ben definita. Durante la seconda fase del dibattito, il modello organizzativo a rete si configura più nettamente come alternativa alle forme classiche della democrazia rappresentativa, esemplificate nella forma-partito tradizionale.
Sebbene manchi una riflessione teorica approfondita su questa opposizione, è interessante notare che essa era già presente, su di un altro piano, fin dalle origini di Lilliput. Nel presentare le “strategie lillipuziane” di Brecher e di Costello, Maurizio Meloni, che all’interno della Rete si occupa in particolare di organizzazione mondiale del commercio, politiche di globalizzazione e strategie di resistenza della società civile, aveva sottolineato che la rete doveva essere “la chiave di volta delle strategie lillipuziane, tanto quanto l’organizzazione piramidale, che ricalcava la fabbrica fordista, lo era dei tradizionali partiti di massa” .
Questa posizione si limitava a considerare la rete come uno strumento più flessibile ed efficace di quello istituzionale da contrapporre alle aziende multinazionali, ed utilizzava il termine nel senso generale in cui lo usava anche il Tavolo Intercampagne, specificandone tuttavia il significato: la rete nasce per combattere un nemico reticolare, come i partiti di massa si erano costituiti in forma piramidale per controbattere un nemico (la fabbrica fordista) a sua volta piramidale. Si tratterebbe insomma di una sorta di “mimetismo di battaglia”. Analizzando il dibattito successivo, l’impressione tuttavia è che, per i membri della Rete di Lilliput, questo mimetismo passi in secondo piano: la rete diventa una struttura apprezzabile in quanto tale, indipendentemente da scopi strategici, mentre la piramide viene rifiutata e spesso giudicata negativamente.
Questa posizione si riconfermerà come largamente condivisa nel corso della prima Assemblea Nazionale, a tal punto da essere inserita come settimo punto nei criterî di fondo ufficiali del movimento:
"[Lilliput] rifiuta la personalizzazione e la professionalizzazione dell’impegno politico, e vuole evitare di essere identificata dal grande pubblico con una o più persone. Sostiene prioritariamente la partecipazione diretta degli aderenti limitando formule di delega e di rappresentanza. In questa chiave può essere letto anche l’orientamento ad escludere l’adesione di partiti e sindacati in quanto tali".
I caratteri del modello a piramide da cui Lilliput prende in particolare le distanze, (siano esse presenti in partiti, sindacati o associazioni), sono dunque, in sintesi: a) gli organi decisionali ristretti (le assemblee provinciali, regionali e nazionali per delegati); b) la figura del segretario eletto, ben definito, destinato ad essere il rappresentante fisico del gruppo, la sua guida ed il suo portavoce.
La struttura organizzativa piramidale, citata da Meloni e ripresa nelle critiche sopra esposte è, in effetti, più che il segno di un mimetismo di battaglia la base stessa della democrazia rappresentativa, fondata sulla professionalizzazione dell’attività politica. Non è infatti raro trovare all’origine dei partiti tradizionali una rete di movimenti e gruppi assai più informali, evolutisi in un modello gerarchico per inserirsi attivamente nella vita politica parlamentare. Lo stesso discorso vale per i sindacati.
Al momento di passare da una dimensione reticolare ad una struttura gerarchizzata, partiti e sindacati erano caratterizzati da due aspetti: a) un grande numero di aderenti, che in alcuni periodi della loro storia superò il milione, e b) un dislivello culturale abbastanza netto fra basi e vertici. Lilliput, alla sua nascita, si trova nella condizione opposta: numeri piccoli , capacità di autogestione della propria attività politica da parte dei membri, maggiore omogeneità culturale. Si tratta insomma delle caratteristiche che Weber aveva riconosciuto come aperte alla possibilità di un’auto-amministrazione non gerarchica , cui perfino Michels concedeva il dubbio di riuscire a sfuggire alla sua legge sulle oligarchie, quando diceva che “una cultura maggiore significa maggiore capacità di controllo” auspicando che anche le grandi masse potessero un giorno aprirsi a questa possibilità.
Per mettere in pratica il modello partecipativo, le decisioni dovrebbero essere sempre prese in comune a maggioranza qualificata. A questo scopo viene utilizzato il Metodo del consenso, fatto proprio anche da altri gruppi no-global.
Cos’è il Metodo del consenso (Mdc)?
Si tratta di un metodo decisionale alternativo a quello basato sull’approvazione a maggioranza semplice o relativa. Nel momento in cui una proposta viene presentata, essa può raccogliere da parte dei singoli membri un consenso pieno (ovvero l’approvazione), un consenso parziale (ovvero l’accettare che il gruppo la porti avanti, pur essendo personalmente contrari e dunque rifiutando il proprio appoggio concreto), un dissenso (ovvero il rifiuto totale di essa come di cosa contraria ai propri principi, al punto da non riconoscersi in un gruppo che la portasse avanti). Se la maggioranza esprime un consenso pieno, ma esiste una minoranza dissenziente, il Mdc prevede un’ulteriore discussione per venire incontro quanto più possibile alle difficoltà della minoranza, riformulando il testo in modo da superarne il dissenso. Nel caso in cui esso continuasse, e la minoranza fosse ampia, sarebbe responsabilità del gruppo abbandonare la proposta, piuttosto che farla approvare con un numero limitato di voti di margine. Si avrebbe allora il consenso sull’abbandono. Se invece, di fronte a proposte di mediazione, la minoranza dovesse ridursi ulteriormente, la proposta passarebbe e gli oppositori potrebbero astenersi dal parteciparvi o (se lo ritengono necessario) abbandonare il gruppo. Un elemento fondamentale per l’utilizzo del Mdc è la presenza del facilitatore, che, a differenza della tradizionale figura del moderatore, interviene frequentemente con compiti più ampi e specifici, aiutando ad applicare le regole ed i singoli passaggi previsti da questa pratica decisionale, senza intervenire nel merito della questione. Lo strumento del voto, se adoperato, serve semplicemente come misuratore del consenso raggiunto, non come strumento decisionale.
Attualmente la Rete sta cercando di potenziare le consultazioni telematiche interne, tramite la creazione e la gestione di siti e mailing list proprie ai singoli Nodi. Particolare interesse riveste il tentativo di dar vita ad un sondaggio informatico, presentato col nome di democrazia a bolle , che permetta ai lillipuziani di esprimere lungo tutto l’anno le loro opinioni su varie proposte i cui testi si trovano sul sito del movimento, sottolineando le parti accettate e barrando quelle rifiutate, in modo da far emergere attraverso l’accumularsi dei segni le idee cosiddette “più forti”, o meglio, più condivise, e quelle più criticate. Si tratta di un processo a lungo termine, che necessita di un’operazione periodica di sintesi e di bilancio realizzata in gruppi più piccoli, da sottoporre al giudizio delle grandi assemblee.
Una simile struttura, in cui il momento decisionale dovrebbe essere demandato a consultazioni generali di tutti i membri, presenta tuttavia dinamiche assai complesse al momento di essere realizzata concretamente. Le dimensioni del movimento, ancora limitate ma in crescita significativa a partire dal post-Genova, pongono già dall’autunno 2001 il problema dell’applicazione del Mdc durante le assemblee nazionali. Dato che le fasi del Mdc richiedono un tempo proporzionale alla quantità ed alla preparazione dei partecipanti, le prime Assemblee Macroregionali, svoltesi a pochi mesi di distanza dalle giornate di Genova, si interrogano in particolar modo su come gestire l’elaborazione decisionale durante le assemblee plenarie, a cui potrebbe potenzialmente intervenire più di un migliaio di persone. Le risposte, come si vedrà, non saranno univoche ne scevre da contrasti.
3.2 Le prime Assemblee Macroregionali
Dopo Genova, mentre il Tavolo assume una posizione di attesa - distinguendo fra una propria esistenza indipendente da Lilliput ed il suo ruolo nei confronti di Lilliput, per il quale si rimette alle decisioni assembleari - inizia il percorso delle Assemblee Macroregionali, la cui esperienza sottolinea una volta ancora la necessità di arrivare a definire una pluralità di luoghi chiaramente riconosciuti di decisione e di rappresentanza.
Le indicazioni provenienti dalle tre Assemblee Macroregionali possono essere sintetizzate in tre diverse proposte, che presentano alcuni punti in comune ed altri di profondo dissenso.
I punti in comune sono:
1) il ruolo del Tavolo, come elemento autonomo che tuttavia ha un ruolo di garante per ciò che riguarda il rispetto del Manifesto lillipuziano da lui creato, di consulente scientifico e di propositore di temi di discussione e campagne;
2) il ruolo dei Gruppi di Lavoro Tematico (GLT), organi a base locale, aperti a tutti, destinati alla discussione ed all’approfondimento scientifico di tematiche precise, sulle quali ciascun gruppo ha il diritto di organizzarsi in riunioni nazionali per elaborare proposte, e, previo consenso dell’Assemblea generale, di prendere decisioni rappresentando pubblicamente la Rete di Lilliput rispetto alla propria area di competenza;
3) il ruolo della Segreteria gestita da persone stipendiate, vista come un organismo tecnico destinato ad occuparsi della mailing list, della tesoreria, della logistica degli incontri, ecc.;
I punti di disaccordo riguardano invece la struttura degli organismi di natura decisionale per le linee strategiche generali di Lilliput, e si delineano nelle seguenti tre proposte:
MILANO (regioni Centro Nord) propone due tipi di Assemblea Nazionale: una biennale, aperta a tutti, che deliberi sulle strategie per l’arco dei due anni successivi, e l’altra, annuale, per portavoce dei singoli Nodi, che deliberi sulle scelte strategiche dell’anno in corso. Propone inoltre la creazione di un Gruppo di snodo, formato da portavoce delle Assemblee Macroregioni e dei Gruppi di lavoro tematici, per facilitare le decisioni rapide (consultandosi con il resto della Rete) e per organizzare la rappresentanza della Rete presso istituzioni e mass-media, indicando dei portavoce che devono agire sotto stretto mandato ed a rotazione continua.
ROMA (regioni del Sud) propone un solo tipo di Assemblea Nazionale, annuale e per portavoce. A sua volta sostiene l’idea del Gruppo di snodo, o Nodo dei Nodi, con la composizione e le funzioni già viste nel caso di Milano.
FAENZA (regioni del Centro) propone una sola Assemblea Nazionale, libera, aperta a tutti, annuale, deliberante, unico organismo decisionale della Rete in ambito di direttive generali. Nella sua proposta il Gruppo di Snodo ha una funzione esclusivamente tecnica e di servizio (gestire il web, elaborare le proposte dei Nodi, dei GLT, del Tavolo) in collaborazione con la Segreteria, che fa parte di esso pur essendo caratterizzata dal fatto di essere gestita da personale stipendiato.
Come si può vedere, lo scontro è soprattutto incentrato sulla struttura da dare all’Assemblea Nazionale, e sui poteri decisionali e rappresentativi che il Gruppo di snodo debba o meno assumere.
La proposta di Roma, fra le tre, è quella che si mette più risolutamente sulla strada dei Portavoce, distinguendoli tuttavia dai Rappresentanti, in quanto mandatari e non autonomi nelle proprie decisioni, verosimilmente per sfuggire all’accusa di riproporre logiche di delega. Non viene però affrontato il problema di come queste caratteristiche si concilino con l’applicazione del Mdc, che prevede per forza di cose una certa flessibilità decisionale. Questa posizione è condivisa almeno in parte da Milano, la cui proposta cerca tuttavia di mediare maggiormente fra l’istanza della partecipazione diretta e quella della partecipazione delegata. In entrambe le posizioni il processo decisionale appare ripartito a vari livelli di immediatezza e di complessità, che trovano espressione pratica nel rapporto tra Assemblea-assemblee e Gruppo di snodo, organo ben più ristretto delle assemblee per portavoce, destinato a formulare scelte improvvise, in seguito ad un contatto (via e-mail o telefonico) con il resto della Rete.
Dall’altra parte resta la proposta di Faenza, che va invece in direzione di una radicale democrazia diretta, priva di mediazioni di alcun genere, dotata di un’unica Assemblea deliberante, quella generale, ed in cui il Gruppo di Snodo non esiste se non come organo di puro servizio, per facilitare i rapporti con i singoli Nodi. Anche questa proposta ammette tuttavia, previo assenso dell’Assemblea, la possibilità deliberativa per i GLT. Le loro decisioni riguardano temi specifici, e tuttavia di vitale importanza per la vita della Rete.
3.3 L’assemblea dei portavoce e la seconda Assemblea Nazionale
L’Assemblea Nazionale tenutasi a Marina di Massa nel gennaio 2002 (MM2) ha avuto, fra gli altri compiti, quello di arrivare ad una prima decisione riguardo alle tre proposte organizzative uscite dalle Macroregionali. In questa prospettiva si è scelto — tramite consultazione via rete — di far precedere l’Assemblea Nazionale da un’assemblea più ridotta, ristretta ai portavoce dei singoli Nodi accompagnati al massimo da un osservatore per Nodo. L’Assemblea dei portavoce è stata incaricata di proporre un piano organizzativo che rappresentasse una sorta di mediazione fra i tre modelli macroregionali. Tale piano è stato poi sottoposto al giudizio dell’Assemblea Nazionale aperta a tutti, come la precedente.
Oltre ai portavoce ed agli osservatori ha presenziato all’assemblea ristretta anche il gruppo di persone incaricato di sintetizzare i risultati delle Macroregionali, nel tentativo di facilitare lo sviluppo dei lavori. La difficoltà di gestire una discussione allargata su temi tanto complessi ha fatto preferire l’idea che l’incontro generale servisse ad esprimere un parere su quanto svolto a livello più ridotto. L’importanza di entrambi i momenti resta tuttavia palese, dato che proprio da questa assemblea è uscito il primo tentativo concreto di un’organizzazione strutturale della Rete di Lilliput, destinato a restare in prova fino al successivo incontro nazionale.
Il modello approvato è il seguente :
Elementi di base della Rete
Nodi: I Nodi sono l’elemento fondante della Rete, consentono il radicamento della Rete nella realtà locale e contemporaneamente portano nel locale la dimensione nazionale e globale. Sono luoghi di ricerca, proposta e azione.
Punti Lilliput: Sono costituiti da un singolo gruppo o individuo che aderisce al manifesto in una zona in cui non esistono Nodi, ed essendo da solo non può ancora formare un vero e proprio Nodo.
Organi decisionali della Rete
Assemblea Nazionale: L’Assemblea Nazionale si tiene annualmente, è libera ed aperta a tutti. È riservata ai lillipuziani in fase deliberante. Orienta le strategie, verifica il lavoro dei GLT, promuove nuove iniziative e campagne. È l’unico organo decisionale della Rete ( a parte i GLT per ciò che riguarda i singoli ambiti tematici). Opera tuttavia con possibilità predefinite di delegare le decisioni a sotto-assemblee parallele, simultanee o meno a quella generale, per portavoce e osservatori e/o per temi. Utilizza metodi decisionali orientati al consenso.
Gruppi di lavoro tematico: I GLT nascono dalla Rete, sono a partecipazione aperta a tutti. Il momento di delibera è riservato ai lillipuziani. I GLT godono di ampia autonomia e, se ratificati dall’Assemblea Nazionale, hanno potere di rappresentare la Rete sui temi di propria competenza.
Organi tecnici e di servizio della Rete
Segreteria: svolge un ruolo tecnico-organizzativo (gestione sito web, mailing list, tesoreria, logistica, etc.) È formata da due persone retribuite, grazie sia all’auto-tassazione libera dei membri di Lilliput che a finanziamenti ottenuti tramite iniziative della Rete come feste, incontri, vendita di prodotti legati all’immagine di Lilliput, ecc. I due membri della Segreteria sono nominati a termine dall’Assemblea.
Magroregioni/incontri laboratorio: si ritengono utili per la Rete luoghi d’incontro generali che precedono e/o si aggiungono alle assemblee nazionali e tematiche.
Gruppo di Snodo o Subnodo: funge da elemento di raccordo e servizio tra i Nodi, la Segreteria ed il Tavolo. Propone ed organizza le Assemblee Nazionali, coordina l’attuazione delle decisioni assembleari, collega fra di loro i vari elementi della Rete indicendo consultazioni rapide in modo da facilitare i processi decisionali di emergenza. Affida la rappresentanza della Rete verso l’esterno ai luoghi della Rete ritenuti di volta in volta più adatti. Ne fanno parte: 1 portavoce di ogni GLT, 2 portavoce del Tavolo Intercampagne, 4 portavoce delle aree macroregionali dei Nodi.
Elementi esterni collegati alla Rete
Tavolo Intercampagne: può essere considerato un luogo autonomo dalla Rete ma “in” Rete, in quanto garante del Manifesto, consulente culturale e scientifico, destinato a svolgere un ruolo di accompagnamento e di sostegno nei confronti della Rete stessa.
4. Reazioni e commenti al nuovo modello di struttura a rete
Il modello organizzativo proposto dalla seconda Assemblea Nazionale è rimasto in vigore all’interno di Lilliput lungo tutto il corso del 2002. Siamo quindi di fronte alla prima formalizzazione concreta ed effettivamente sperimentata della struttura a rete lillipuziana. Le analogie con l’esperienza già citata di Rete Radié Resh (d’ora in poi RRR), una delle associazioni fondatrici, sono importanti soprattutto per il modo in cui vengono applicate ad un contesto che rimane assai differente. RRR dispone infatti di un coordinamento generale di tutti i membri che si riunisce una volta ogni due mesi per deliberare tramite consenso, e di una segreteria nazionale eletta a rotazione triennale con compiti puramente esecutivi. Per il resto, l’attività è demandata ai gruppi locali. Si tratta però di un gruppo di dimensioni assai più ridotte rispetto a Lilliput (il coordinamento generale conta in media trenta o quaranta presenze), in cui l’uso di strumenti telematici è praticamente assente. Lo stesso profilo d’intervento ha un carattere soprattutto internazionale, dunque mette meno in gioco il rapporto fra gruppi locali e coordinamento generale. Lilliput ha un’ipotesi organizzativa più ambiziosa: tentare di tradurre il progetto reticolare su scala molto più ampia, attraverso tecniche innovative, puntando sulla dimensione locale e nazionale.
L’esperienza diretta di questo modello ha suscitato nei varî luoghi della rete molteplici commenti e reazioni nei confronti degli organismi indicati, dando vita ad un ricco dibattito interno, che ha trovato una sua prima espressione durante le Macroregionali dell’autunno 2002. Elementi utili a ricostruirne i varî passaggi provengono anche dalle riflessioni del Subnodo precedenti le Macroregionali e da alcune interviste realizzate da chi scrive fra il gennaio e l’aprile 2003.
Il dibattito si è articolato soprattutto intorno alle questioni poste dall’uso del metodo del consenso, ed al tentativo di stabilire come, se ed in che misura gli organi decisionali, tanto a livello locale che nazionale, siano o meno riusciti a mettere in pratica dinamiche partecipative piuttosto che logiche di delega, percorrendo la strada della democrazia diretta basata sul consenso.
4.1 Organi decisionali locali: questioni aperte e spunti di riflessione
I Nodi hanno potere decisionale per ciò che riguarda le scelte da assumere a livello del proprio territorio di appartenenza. Inoltre sono gli organismi di base della rete, dunque devono esprimere un’opinione anche su problematiche di interesse nazionale o internazionale. Questo comporta un dibattito interno costante, le cui maggiori difficoltà sembrano essere da un lato l’equilibrio fra le istanze generali e quelle locali, dall’altro l’applicazione del Mdc nel corso delle discussioni interne ed al momento dell’elaborazione delle decisioni.
A giudicare dalle fonti disponibili, il Mdc è considerato anche a livello locale l’elemento portante della struttura a rete, e come tale esercita un’attrazione significativa sui partecipanti alle riunioni. Il coinvolgimento personale di tutti i membri dev’essere non soltanto affidato alla libera volontà dei singoli, ma anche ricercato attivamente, facendo leva sulle comuni motivazioni e sugli obiettivi condivisi. Resta tuttavia presente in un certo numero di casi un’interessante biforcazione fra il tentativo, mantenuto come prioritario, di raggiungere una partecipazione più ampia e diretta possibile, e l’uso del Mdc in quanto tale. A riguardo si lamenta il perdurare di metodi decisionali tradizionali all’interno delle riunioni locali, dato confermato anche da una parte delle interviste, ma con alcune sensibili sfaccettature.
I referenti che ammettono apertamente all’interno del loro Nodo di appartenenza l’uso di strumenti decisionali diversi da quello del consenso sono pochi. Tuttavia, anche altri Nodi segnalano difficoltà o ambiguità nell’uso interno del Mdc. Ciò non significa che in questi Nodi si registri una scarsa partecipazione al momento propositivo o di dibattito. Durante le riunioni la quantità di persone che prendono direttamente la parola è altrettanto o più alta che nei Nodi che non lamentano problemi con il Mdc.
Ad ogni riunione partecipano in media 10/12 persone, il livello culturale medio è elevato ed abbastanza omogeneo, le riunioni hanno una cadenza regolare. Le piccole dimensioni dei gruppi favoriscono rapporti di fiducia reciproca, di entusiasmo e di attività collettiva, ma allo stesso tempo si segnala l’esitazione individuale nella presa di parola ed il rischio di passività di una parte più o meno significativa dei membri. In alcuni casi, la difficoltà di conciliare a) l’applicazione del Mdc con b) lo sforzo di far intervenire realmente tutti i presenti nel breve lasso di tempo della riunione, ha portato a privilegiare l’una o l’altra scelta, affidandosi nel secondo caso alla capacità di sintesi del referente ed alla fiducia del gruppo nei suoi confronti. Altre volte è prevalso un metodo a metà fra quello del consenso e quello a maggioranza.
La figura del referente, che nella quasi totalità dei casi intervistati emerge in base alla disponibilità personale, è assai complessa. In generale si tratta di un ruolo faticoso (tenere i contatti con il resto della rete, organizzare le riunioni, coordinare le attività, spesso fare da portavoce con l’esterno) e solo i più motivati se ne accollano il peso. Per ovviare al rischio di eccessiva passività del gruppo nei confronti dei propri referenti è stata ipotizzata in alcuni Nodi la possibilità di una gestione collegiale, priva di figure fisse di riferimento.
Rispetto a queste osservazioni, è interessante notare come anche nel corso delle Macroregionali l’area del nord abbia confermato da un lato un grande interesse locale verso il Mdc, dall’altro la necessità di studiare “procedure inclusive” che cerchino di mediare con le ambiguità nei modi e nei tempi delle decisioni locali. Ad esempio si è richiesta da più parti la preparazione di facilitatori esperti, di cui al momento si lamenta spesso l’assenza all’interno dei singoli Nodi.
Va sottolineata in ogni caso una forte tendenza ad una partecipazione che sia più attiva e cosciente possibile, soprattutto rispetto allo sviluppo di dinamiche di intervento legate al territorio di appartenenza. A questo riguardo i problemi sono più sensibili nel rapporto tra il livello locale e quello nazionale. Tanto le analisi del Subnodo che il dibattito interno alle Macroregionali, hanno messo in rilievo una “scollatura” fra una forte presenza sul territorio, sia pure vissuta in modi spesso tradizionali, ed una più scarsa partecipazioni ai dibattiti nazionali.
4.2 Organi decisionali nazionali: quale ruolo e quale struttura ?
L’Assemblea Nazionale
Il dibattito interno alle Macroregionali del 2001 aveva mostrato una forte incertezza rispetto al ruolo ed alla composizione delle assemblee generali. Il modello approvato durante MM2 andava visibilmente in direzione di quello di Faenza, ovvero quello favorevole alla più radicale democrazia diretta, pur conservando la possibilità di convocare sotto-assemblee per portavoce in caso di necessità.
Sembrava probabile che l’Assemblea Nazionale, in quanto riunione plenaria di tutti i lillipuziani in fase deliberante, dovesse presentare serie difficoltà all’attuazione pratica del Mdc, strettamente legata alla disponibilità di tempo, al numero ed alla preparazione dei partecipanti. Tutte le fonti hanno in realtà testimoniato come il dibattito interno all’Assemblea di MM2 sia stato un modello di applicazione del Mdc, a tal punto da coinvolgere anche coloro che trovavano difficile praticarlo all’interno dei Nodi di appartenenza, su scala più ridotta e con tempi assai più flessibili. Le cause di questa situazione apparentemente paradossale vengono fatte risalire ad un’affluenza relativamente ridotta, ed al fatto che a partecipare in prima persona siano stati, oltre ai referenti, singoli aderenti particolarmente preparati e motivati. La presenza di molti facilitatori e l’organizzazione assai curata dei dibattiti hanno ulteriormente favorito il corretto svolgersi dell’incontro generale. Tuttavia, l’obiettivo primario delle Assemblee generali previste da MM2 è la partecipazione di tutti i lillipuziani, anche se una grande affluenza - potenzialmente assai superiore al migliaio di presenze della prima Assemblea - potrebbe creare difficoltà alle deliberazioni tramite Mdc.
Per ovviare a questa possibilità si è proposto di “costruire” il dibattito nazionale attraverso lo sviluppo di dibattiti interni ad ogni Nodo sui temi previsti per le Assemblee Nazionali, interponendo fra questi e quelle il filtro delle Macroregionali. Ciò dovrebbe permettere di poter contare su tempi abbastanza lunghi per le discussioni interne ai Nodi, durante le quali verrebbe stimolata la partecipazione diretta ed effettiva di tutti i membri. In questa prospettiva si delinea il ruolo dei portavoce dei singoli Nodi, destinati a presentare le posizioni discusse e approvate dal proprio Nodo di appartenenza nel corso delle grandi assemblee, tanto macroregionali che nazionali.
I portavoce, a differenza dei rappresentanti nei sistemi piramidali, dovrebbero essere rigidamente mandatari. Se tuttavia i Nodi si presentassero alle grandi assemblee con posizioni diverse, un’applicazione del Mdc sarebbe necessaria per poter pervenire ad una decisione comune. Nel momento in cui essa, attraverso le sotto assemblee, venisse limitata ad un dibattito fra portavoce, questi ultimi finirebbero per assumere in prima persona l’eventuale responsabilità di modificare le posizioni del proprio Nodo di appartenenza per tentare una mediazione con quelle altrui.
Di fronte a questa eventualità ci si richiama in genere al rapporto di fiducia esistente fra portavoce e membri dei Nodi, elemento fondamentale del funzionamento della Rete. Questo rapporto di fiducia viene tuttavia articolato intorno al bisogno di migliorare e sviluppare i contatti fra i singoli Nodi, soprattutto attraverso il potenziamento degli strumenti tecnici già disponibili (mailing list “mirate”, luoghi di discussione telematica, ecc.) Di contro a contatti ritenuti ancora insufficienti, si spera che una conoscenza continua delle reciproche proposte permetterebbe di discutere in maniera puntuale le varie posizioni, e di ridurre quanto più possibile le responsabilità dei portavoce durante le grandi assemblee.
I Gruppi di lavoro tematico
La struttura dei GLT si compone di organi locali e di assemblee tematiche nazionali, che ripropongono in piccolo la stessa struttura della Rete. La possibilità di esprimere in proprio delle decisioni, pur costituendo gruppi più ristretti rispetto all’Assemblea generale, rappresenta un nuovo tema di discussione rispetto alle forme della democrazia lillipuziana. Si può parlare di delega decisionale per gruppi del genere ?
Se esiste in Lilliput un consenso unanime sull’importanza di valorizzare competenze specifiche, il modo di affrontare i rapporti fra i GLT ed il resto della Rete presenta alcune divergenze abbastanza sensibili. Una parte significativa dei lillipuziani ritiene che non si possa parlare di reale delega per gruppi che non sono “eletti e chiusi”, ed a cui chiunque lo voglia può partecipare. Inoltre, come nel caso delle assemblee per portavoce, viene messo l’accento sul rapporto di fiducia reciproca esistente fra tutti i membri di Lilliput, su cui è basata l’esistenza stessa del movimento.
Restano tuttavia alcune difficoltà irrisolte. In primo luogo la partecipazione è ancora scarsa: nel primo anno di vita della Rete, solo 18 Nodi su 51 avevano al loro interno sezioni dei GLT, e nel Nodo di Milano, di cui si hanno dati più precisi, contro una partecipazioni a riunioni trimestrali generali di circa 120-150 persone, le riunioni di studio dei GLT, più frequenti, non ne contavano più di qualche decina. Anche i dati più recenti hanno confermato la persistenza di questa situazione iniziale. In secondo luogo, la specificità dei temi trattati rende difficile a chi si trova all’esterno pronunciare un giudizio sulle loro deliberazioni. Il fatto che essi siano aperti a tutti non toglie che difficilmente la stessa persona abbia la possibilità fisica di far parte di più di un GLT, pur essendo interessata a più problematiche. In terzo luogo, la non-elettività dei membri dei GLT permette a chiunque sia interessato di approfondire e deliberare riguardo a qualsiasi tematica, ma, senza un reale controllo assembleare, potrebbe far valere posizioni che non necessariamente rispecchiano quelle della maggioranza dei lillipuziani. Questo punto è stato riproposto al dibattito macroregionale dal Subnodo, secondo il quale le influenze sociopolitiche dei gruppi di base avrebbero un’influenza eccessiva sulle decisioni dei GLT:
In generale, sembra che la moltiplicazione dei luoghi di partecipazione non si trasformi automaticamente in maggior democrazia, anzi nel caso dei GLT sembra vero il contrario. Si rischia quindi di trovarci con decisioni prese da un singolo nodo o da alcune persone di un GLT, che poi valgono per l’intera Rete. In linea generale, si dovrà pertanto evitare che i GLT diventino lo strumento utilizzato da singole persone o associazioni per organizzare iniziative a nome della Rete Lilliput.
Come risolvere queste ambiguità ? Il tentativo di farlo sembra affidato soprattutto ad una crescita della partecipazione, sia a livello locale che nazionale, ma ancor di più ad una maturazione del rapporto tra Rete e GLT, proposta da più parti. In questo caso la fiducia è vista come una conseguenza di una costante messa in comune non solo delle decisioni, ma anche delle singole posizioni dibattute nei GLT, a livello locale prima ancora che nazionale, tramite la moltiplicazione dei GLTl (o gruppi tematici locali).
4.3 Il rifiuto dell’urgenza e la differenza fra soggetto politico e protagonista politico
La possibilità che nel corso dell’anno vengano richieste alla Rete decisioni urgenti su argomenti non previsti dall’Assemblea Nazionale è stata più volte oggetto di discussione interna. L’opinione più diffusa è che in questi casi non si dovrebbe intervenire, a meno di occasioni particolarmente significative. Rispetto a queste ultime si potrebbe arrivare ad una consultazione generale telematica, o ad una riunione straordinaria dell’Assemblea. Questa soluzione è tuttavia inadatta alle urgenze, date le difficoltà logistiche ed organizzative proprie ad un convegno simile, che necessitano tempo per essere risolte. D’altra parte, una rapida consultazione telematica o telefonica non permetterebbe di avanzare e discutere proposte, bensì solo, nel caso funzionasse efficacemente, di esprimere un consenso o un dissenso su proposte già preparate.
Tenuto conto di queste difficoltà, all’interno di Lilliput sta prendendo piede l’idea di rifiutare totalmente la presa di posizioni a carattere urgente, considerate incompatibili con la specifica struttura del movimento. Questo orientamento è confermato dalla maggior parte delle fonti consultate, documenti ed interviste.
Luca Esposito (Nodo di Lecco)
Rosa D’Elia (Nodo di Valsangone)
Claudia Carbone (Nodo di Pesaro)
Luca Brivio (Nodo di Como)
Sara Galletti (Nodo di Lodi)
Cristina Graziani (Nodo di Verona)
Michele Altomeni (Nodo di Fano)
Andrea Alessandrini (Nodo di Padova)
Yukari Saito (Nodo di Pistoia)
Federico Vitale (Nodo di Livorno)
Michele Sciarabba (Nodo di Pavia)
Fausto Poggioli (Nodo di Piacenza)
Daniele Scotti (Nodo di Fidenza-Salsomaggiore)
Sergio Dalmasso (Nodo di Cuneo)
Luca Salvadorini (Nodo di Pisa)
Maria Teresa Gavazza (Nodo di Alessandria e Casale Marittimo)
In tal senso va la recente proposta di distinguere fra il ruolo di un soggetto politico, termine con cui vengono indicati gli organismi tradizionali della vita politica, ovvero partiti, sindacati, associazioni di interessi, ed un protagonista politico come Lilliput.
Si cerca in questo modo di aprire un dibattito, non ancora affrontato pienamente, sulla possibilità che strutture diverse abbiano ruoli diversi, ma eventualmente complementari. Scegliendo di porsi un numero limitato di obiettivi sui quali intervenire, Lilliput mirerebbe a dimostrare l’efficacia e la realizzabilità di un sistema organizzativo diverso da quello piramidale, senza entrare in concorrenza con esso, cui pure si continua a rimproverare l’involuzione verticistica, bensì mirando ad essere una fonte di stimoli e di provocazioni per la politica istituzionale.
L’ipotesi formulata è che le strutture di tipo rappresentativo dispongano di una maggiore rapidità di reazione rispetto alle cosiddette urgenze, mentre una struttura reticolare sarebbe in condizione di agire più efficacemente su una serie di problemi propri all’attuale universo socio-politico globale. Naturalmente il dibattito su questa posizione è ancora aperto, per esempio fra chi ritiene che le urgenze (guerre, riunioni internazionali, ecc.) in quanto tali non esistano se non a causa della carenza di osservazione e di analisi a lungo termine dei governi, carenza che la Rete riuscirebbe già ora ad evitare.
5. Considerazioni finali: delega o fiducia ?
La prima questione affrontata da questo lavoro riguardava i motivi che avevano spinto la Rete di Lilliput ad affrontare un dibattito tanto complesso sui temi dell’organizzazione e della rappresentanza, abbandonando la struttura iniziale proposta dalle associazioni che l’avevano tenuta a battesimo.
La risposta a questa domanda, come abbiamo visto, si articola in diversi aspetti: da una parte c’è il desiderio espresso dalle basi, i Nodi, di costituire Lilliput come un movimento autonomo rispetto al coordinamento che l’ha creato, ovvero il Tavolo Intercampagne; in questo senso è stato mostrato che differenza ci fosse fra i due modi in cui il concetto di rete veniva percepito dalla prima e dal secondo.
In secondo luogo si è sottolineato come a dare una decisiva accelerazione alla formalizzazione della questione organizzativa sia stata, più ancora dell’insofferenza per la rappresentanza del Tavolo, la spinta nata dalla mancanza di organi rappresentativi durante le giornate di Genova. Le tappe verso l’approfondirsi del dibattito sul modello di “organizzazione a rete” sono state dunque molteplici.
In questo modo si è così arrivati alla seconda domanda contenuta nell’introduzione: che genere di conseguenze ha avuto questo dibattito ? Lilliput ha dato realmente vita ad una struttura efficace diversa da quella piramidale ?
Vediamo meglio la situazione. I due punti su cui soprattutto verteva lo scontro con il modello partitico erano a) l’eccessiva personalizzazione dei movimenti politici istituzionali, e b) il fatto che avessero organi di decisione e di rappresentanza ristretti, piramidali. La questione sta dunque nel vedere se Lilliput sia riuscita o meno ad affrancarsi da questi aspetti, formalizzando una struttura orizzontale a rete credibile, contrapposta a quella verticale a piramide.
Rispetto al primo punto, quello della personalizzazione, si è evitato di avere un unico portavoce, sia pure a tempo limitato: a seconda delle situazioni, il Subnodo è tenuto ad individuare gli organismi da cui debba uscire un portavoce ogni volta diverso, siano essi i GLT, le sotto-assemblee, dei Nodi specificamente coinvolti su particolari problemi legati al proprio territorio, ecc. La decisione su quanto ogni dato portavoce è tenuto a comunicare dovrebbe essere ratificata da una consultazione almeno telematica di tutti i membri, sempre per il tramite del Subnodo. Al momento i vari portavoce nazionali, in quanto individui, non hanno in effetti alcuna importanza rappresentativa legata alla propria persona. Il carisma dei padri spirituali di Lilliput, ovvero delle personalità cui Lilliput fa idealmente riferimento, non sembra avere ricadute sul piano della rappresentanza politica.
Per ciò che riguarda i suoi rappresentanti fisici Lilliput è dunque riuscita, almeno per il momento ed a livello nazionale, nell’intento di non averne nessuno fisso, in modo da evitare derive leaderistiche. Il problema degli organi decisionali l’ha invece messa di fronte a maggiori difficoltà, anche solo a livello puramente formale.
Il rischio, come abbiamo visto, è che l’Assemblea non riesca a coinvolgere in prima persona tutti i lillipuziani, oppure, intesa come riunione reale di tutti i partecipanti alla Rete, secondo il modello approvato a MM2, si affidi eccessivamente alle decisioni prese nei sotto-gruppi. Naturalmente, finché è possibile avere in assemblea un dibattito serio su queste decisioni, arrivando eventualmente anche a modificarle, verrebbe comunque salvaguardato un ruolo importante a tutti i membri. Sarà interessante vedere, nel corso delle prossime assemblee generali, se e quante volte saranno convocate sotto-assemblee parallele, e quante decisioni prese all’interno dei sotto-gruppi verranno effettivamente rielaborate, anche solo parzialmente, dal gruppo nel suo insieme, quante rifiutate, quante semplicemente ratificate. Al momento in cui scrivo, il modello in questione, divenuto operativo all’inizio dell’anno scorso, non è ancora stato applicato alla realtà di un’Assemblea Nazionale.
Lo stesso discorso vale per i GLT: tutto sta nel grado di controllo che la Rete ha sulle loro decisioni. Se il livello di cultura generale in Lilliput si dimostrasse abbastanza omogeneo ed elevato, anche persone non inserite in un GLT potrebbero avere al riguardo di tematiche specifiche opinioni credibili, e manifestarle in Assemblea.
In entrambi i casi (sotto-assemblee e GLT) è stata riproposta da più parti l’importanza della fiducia esistente fra i lillipuziani, indipendentemente dal diverso ruolo decisionale che essi assumano nella Rete. Per dirla con le parole di uno dei referenti locali di Lilliput, in casi simili il rapporto reciproco “non si chiama delega, si chiama fiducia”.
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In realtà, dietro alla stessa parola fiducia esiste un’ambivalenza importante, presente a mio avviso tanto nelle strutture a rete che in quelle rappresentative. Da una parte, una fiducia generica nei confronti di “chi ne sa di più”, di chi offre più disponibilità di tempo o di competenze, può significare semplicemente passività rispetto al farsi carico di un impegno diretto. Dall’altra, una fiducia vista non tanto come pre-condizione ma come conseguenza di una costante interazione reciproca e di un reale controllo da parte degli aderenti sull’attività degli organi decisionali, è, sotto diversi aspetti, la condizione del corretto funzionamento tanto di un sistema rappresentativo che di un sistema partecipativo. Da questo punto di vista le due parole (delega e fiducia) non sono necessariamente in contraddizione. Come osservava un altro referente, una delega basata su una fiducia motivata può essere accettata finché non nascano eventuali alternative praticabili.
I sistemi rappresentativi, sia per la loro struttura che per gli obiettivi che si pongono, applicheranno logiche di delega in forma molto più ampia di quanto non accada in un gruppo reticolare, ma, a seconda che questa delega sia basata su una fiducia intesa come passività o come impegno al controllo da parte di tutti i membri, i risultati saranno ovviamente diversi. Questo, su scala diversa e con diverse strategie, vale anche per un sistema partecipativo.
Ciò che caratterizza un gruppo come Lilliput, dotato di obiettivi delimitati e concreti, di piccole dimensioni ed abbastanza omogeneo, è la possibilità, ottenuta già in parte, di ridurre quanto più possibile il ricorso alla delega, ampliando la partecipazione diretta tanto a livello locale che nazionale. In tale sforzo, ovvero nel riuscire o meno a realizzarlo pienamente, risiede la sfida che i prossimi anni porranno all’evoluzione del movimento a rete.
Allegati
“Non si chiama delega, si chiama fiducia”. La sfida organizzativa della Rete di Lilliput
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