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Avviso alla terra

7 gennaio 2005
Vandana Shiva
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Una lezione fondamentale che il mondo deve trarre dallo tsunami del 26 dicembre è che dobbiamo prepararci ad altri disastri ambientali in arrivo, ivi compresa un'anticipazione degli effetti del cambiamento climatico. Quando le acque, sollevatesi, hanno sommerso le Maldive, ho sentito che la natura ci stava dicendo: ecco come si presenterà l'innalzamento del livello del mare, ecco come intere società saranno private del loro spazio ecologico per vivere in pace sul pianeta. Mentre l'amministrazione Usa e gli scettici dell'ambiente come Bjorn Lomberg continuano a sostenere che il ricco Nord non può permettersi di intervenire per ridurre le emissioni di Co2 e impegnarsi a ridurre gli effetti del cambiamento climatico, lo tsunami ci dimostra quanto potranno essere alti i costi se si andrà avanti con il business as usual. Lo tsunami dovrebbe risvegliare Lomberg dal torpore dell'autoprodotto «Copenhagen Consensus», secondo cui gli effetti del cambiamento climatico non saranno così gravi da richiedere un cambiamento della politica economica e dei paradigmi economici. Lomberg dovrebbe chiedere agli abitanti delle Maldive se accettano l'inevitabilità di un innalzamento irreversibile del livello del mare indotto dal cambiamento climatico, dovuto al combustibile fossile.

Oltre a mobilitarci in massa per soccorrere le vittime dello tsunami, dobbiamo agire immediatamente per rendere giustizia in futuro alle future vittime del cambiamento climatico. Come un leader della Alliance of Small Island States ha detto durante i negoziati sul trattato Onu sui cambiamenti climatici: «L'istinto umano più forte non è l'avidità. È la sopravvivenza, e noi non permetteremo a qualcuno di barattare la nostra terra, la nostra gente, e la nostra cultura per interessi economici a breve termine». Alla luce dello tsunami, il lavoro incompleto della giustizia del clima deve essere accelerato. I paesi dell'Oceano Indiano subiranno le conseguenze dei dislocamenti dovuti all'inondazione delle coste per l'innalzamento del livello del mare. Lo tsunami ci dice di prepararci per avere un futuro basato sulla giustizia della terra, non sul calcolo ristretto ed egoistico del mercato.

Il prossimo disastro non sarà necessariamente uno tsunami. Esso potrebbe consistere, ad esempio, in un'inondazione causata da un terremoto originato da una diga sul Gange, la diga di Tehri, che è in costruzione su una faglia sismica. Dalla diga, l'acqua viaggerà per centinaia di miglia fino a Delhi per essere privatizzata dalla Suez, il più grande rivenditore d'acqua al mondo. La diga, alta 260,5 metri, raccoglierà 3,22 milioni di metri cubi d'acqua, che si estenderanno fino a 45 chilometri nella valle del Bhagirathi e fino a 25 chilometri in quella del Bhilangana. Se la diga facesse da detonatore a un terremoto, in meno di un'ora e mezza un muro d'acqua alto 260 metri - venti volte più alto dello tsunami - spazzerebbe via le città sacre di Rishikesh e Haridwar; in otto ore, un muro d'acqua alto dieci metri si abbatterebbe su Meerut, 214 chilometri a valle; e in dodici ore, un'onda alta 8,56 metri colpirebbe Bulanshahar, a 286 chilometri di distanza.

Le lezioni dello tsunami sulla necessità di prepararci ai disastri devono riguardare tutti i disastri che possono verificarsi in conseguenza di modelli di sviluppo che ignorano i costi ecologici e la vulnerabilità, a favore della crescita a breve termine.
Essere veramente preparati ai disastri significa ridurre la vulnerabilità ambientale e aumentare la resistenza ecologica, invece che aumentare la vulnerabilità ambientale e i rischi esternalizzando i costi ambientali dal calcolo della crescita economica. Il bene pubblico e la responsabilità sociale dei governi non possono essere sacrificati per il profitto privato e l'avidità delle corporations. Cibo, acqua e medicine sono i bisogni più urgenti dei sopravvissuti allo tsunami. Mentre i sistemi pubblici devono mobilitarsi per distribuire questi beni essenziali, la globalizzazione delle corporations sta facendo una corsa in avanti con le corporatizzazioni e le privatizzazioni. Mentre l'India e altri paesi necessitano di farmaci generici a basso costo per affrontare l'emergenza di sanità pubblica che lo tsunami ha lasciato dietro di sé, il governo ha emesso un decreto sui brevetti che impedirà la produzione di medicine a basso costo dal 1° gennaio 2005.

Ironicamente, lo tsunami ha fatto emergere l'incongruità tra il mondo della globalizzazione delle corporations e il pianeta delle persone. Il decreto indiano sui brevetti è stato approvato lo stesso giorno in cui il disastro colpiva le nostre coste, dimostrando che la globalizzazione delle corporations è guidata da forze incapaci di dare una risposta a ciò che accade alle persone e alle loro vite. Lo tsunami è un campanello d'allarme per l'umanità: non possiamo continuare a dormire a occhi aperti, nella folle corsa alla privatizzazione dei beni pubblici. Se tutto il cibo e tutta l'acqua saranno ridotti a merci controllate e soggette al libero mercato dalle corporations globali a fini di profitto, come farà la società a nutrire gli affamati, come farà a dare l'acqua agli assetati?

La vulnerabilità di milioni di persone richiede che robusti sistemi pubblici forniscano cibo e acqua, assistenza sanitaria e medicine. Le esigenze di beni e servizi pubblici per l'assistenza e la riabilitazione ci portano in una direzione completamente diversa dalle pretese di privatizzazione del Wto e della Banca mondiale. Lo tsunami ci ricorda che non siamo meri consumatori in un mercato che tende al profitto. Siamo esseri fragili e interconnessi, e abitiamo un pianeta fragile. Questo è un richiamo alla responsabilità e al dovere nei confronti della terra e di tutte le persone. Lo tsunami ci ricorda che sulla terra siamo tutti interconnessi. La compassione, e non il denaro, è la valuta del nostro essere uniti. Soprattutto, esso ci richiama all'umiltà, ci ricorda che davanti alla furia della natura siamo impotenti.

Lo tsunami ci invita ad abbandonare l'arroganza e a riconoscere la nostra fragilità. Con lo tsunami, non solo le onde del mare sono entrate in collisione con la costa. Sono entrate in collisione due visioni del mondo: quella del libero mercato e della globalizzazione delle corporations, impotente e inutile per affrontare i disastri ambientali a cui ha contribuito; e quella di una democrazia della terra in cui le persone di mondi diversi si incontrano a formare una sola umanità, per ricostruire la propria vita e prepararsi per un futuro incerto vivendo nella piena consapevolezza delle nostre vulnerabilità. Mentre facciamo tutto il possibile per aiutare le vittime del disastro, il più importante contributo a lungo termine che possiamo offrire è ridurre l'impronta ecologica sul nostro fragile pianeta e ridurre le nostre vulnerabilità ecologiche. La resilienza ecologica, e non la crescita ecologica, saranno la vera misura della capacità umana di sopravvivenza in questi tempi incerti.

Note: Copyright Ips/il manifesto(Traduzione Marina Impallomeni)

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