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Considerazioni sulla distinzione tra guerriglia e terrorismo

Latinoamerica segnala questo articolo apparso nel dicembre
2003 sulla rivista edita da generali dell'Esercito Italiano ISTRID -
Istituto Studi Ricerche Informazioni Difesa, riguardo della recente, urlata polemica sull'assoluzione dall'accusa di "terrorismo" di un gruppo di reclutatori per la guerra agli Usa in Iraq.
La fonte non è certamente comunista, né pacifista, è verosimilmente "più a
destra" dell'attuale vicepresidente del Consiglio, ed è uscita in tempi
non sospetti. Contribuisce ad aggiungere un tassello interessante per una più chiara comprensione dei fatti che stiamo vivendo ultimamente.
4 febbraio 2005
Antonio Venier
Fonte: ISTRID - Istituto Studi Ricerche Informazioni Difesa

Il terrorismo

Ormai da tempo il termine “terrorismo” è ampiamente utilizzato, a
proposito e più spesso a sproposito, applicandolo come etichetta di uso
generale a eventi tra loro molto diversi.

Osserviamo che almeno due di queste etichette sono entrate nell’uso comune
dei mezzi di informazione destinati al grande pubblico.

Infatti sono chiamate “terrorismo palestinese” tutte le azioni contro
l’occupazione israeliana dei territori di Cisgiordania e Gaza (i quali
notoriamente non fanno parte dello Stato d’Israele).

Da alcuni mesi sono anche definite “terrorismo” tutte le azioni armate di
ogni genere, rivolte contro le forze militari che occupano il territorio
dell’Irak.

Poiché sembra opportuno utilizzare le parole secondo il loro significato,
vogliamo esporre alcune semplici considerazioni sull’argomento.

Lasciamo da parte richiami storici sul terrorismo della rivoluzione
francese, e sui terroristi anarchici e nichilisti dell’800, e consideriamo
qui soltanto il “terrorismo” riguardante il nostro tempo, presente e
recente passato.

Per tentare di definire cosa si debba considerare come “terrorismo”, o
meglio azione terroristica, sarà necessario ricercarne le caratteristiche
specifiche, diverse da quelle di altre azioni violente, sia di eversione
interna sia di guerra o guerriglia. Caratteristiche specifiche devono
riguardare sia gli obiettivi (nel senso di “bersagli”) sia gli scopi
politici dell’azione terroristica. Invece non sono da considerare
importanti le modalità e gli strumenti di esecuzione di tale azione
violenta.

Possiamo trovare numerose definizioni del “terrorismo”, più o meno
concordanti ed esaurienti. Tuttavia vi è una convergenza generale nel
considerarlo come una forma di azione violenta, tale da mettere in
pericolo la popolazione civile, e quindi indurre una condizione di
“terrore” diffuso così da ottenere alcuni risultati di tipo politico (per
es. cambiamento di governo, sottomissione a potere esterno, separazione e
autonomia regionale, ecc.). Il terrorismo è quindi una forma d’azione
violenta “indiretta”, cioè non rivolta contro un obbiettivo specifico
definito, a esempio le forze armate, ma verso bersagli indeterminati e
indifesi (in certo modo assimilabile alle pratiche di ricatto della
delinquenza comune).
Alcune definizioni del terrorismo di origine diciamo più “professionale”, provenienti da organismi di governo, nella fattispecie degli Usa (citate
dal “Guardian” del 03/04/2003), sono certamente utili per la comprensione
dell’argomento. Secondo queste definizioni: il terrorismo è “violenza
premeditata e politicamente motivata contro obbiettivi (targets) non
combattenti... allo scopo di influenzare una opinione pubblica (audience)
così da conseguire obbiettivi politici, militari o ideologici”. La sua
caratteristica specifica è quella di “mirare a bersagli civili e non
militari o truppe pronte al combattimento”. Sostanzialmente concordante è
anche la definizione di “atto (o azione) terroristico” contenuto nella
convenzione del 10/01/2000, fra gli Stati membri dell’Unione europea, per
reprimere il finanziamento del “terrorismo”. E’ considerato come
terroristico ogni atto destinato a uccidere o ferire un civile, o
qualsiasi altra persona che non partecipa direttamente alle ostilità in
una situazione di conflitto armato, quando questo atto mira a intimidire
una popolazione o costringere un governo... a eseguire una qualsiasi
azione.
Ne risulterebbe che qualsivoglia azione contro forze militari in condizioni conflittuali non possa per definizione essere considerata
terrorismo ma azione di guerra o guerriglia. Queste azioni possono
tuttavia essere più o meno in accordo con il diritto internazionale in
condizioni di conflitto aramato, come esposto nelle convenzioni e
protocolli di Ginevra, sottoscritti e riconosciuti da numerose nazioni,
anche se spesso osservati molto blandamente dagli stessi sottoscrittori.
Conviene comunque ricordare che questi convenzioni e protocolli non vincolano allo stesso modo le parti in lotta, distinguendo per es. tra forza occupante e popolazione sotto occupazione, tra aggressore e aggredito, etc.

Per quanto sopra esposto, risulterebbe improprio paralare genericamente di
terrorismo e di azioni terroristiche (come fatto da organi di informazione
e da personaggi di ogni sorta), con riferimento alle condizioni di
conflitto armato ora esistenti (fine anno 2003) in Palestina, Irak,
Cecenia, ma anche regione basca e Kurdistan.

Il conflitto irakeno è inoltre del tutto diverso per es. da quello ceceno,
o da quello curdo. Il conflitto israelo-palestinese presenta poi
caratteristiche del tutto particolari e anche per altre situazioni
conflittuali, diciamo “minori”, risulterebbe poco appropriato applicare la
stessa etichetta generica.

Una precisazione

Conviene mettere bene in chiaro due punti fondamentali.

Il terrorismo non esiste come dottrina o programma politico, ma soltanto
come un “modo di azione violenta” utilizzato da singoli, da gruppi
organizzati e talora anche da forze armate.

Questo tipo di azione violenta avente come caratteristica specifica di
colpire civili estranei al conflitto è sempre da considerare come atto
criminale, indipendentemente dallo status dei suoi operatori. E questo
vale ovviamente anche per le operazioni terroristiche eseguite da una
forza armata “regolare”, contro la popolazione civile di un territorio
occupato in seguito ad azione bellica o di uno Stato nemico.

Abbiamo indicato come caratteristica specifica del “terrorismo”, o meglio
dell’atto terroristico, il bersaglio prescelto, che non sempre peraltro
coincide con quello effettivamente colpito.

Non rilevante invece deve essere considerato il tipo di arma utilizzato
per le azioni terroristiche, arma che può praticamente variare dalla bomba
artigianale all’elicottero d’attacco, dal fucile all’aeroplano da
bombardamento, etc. L’azione terroristica può essere messa in atto nei
modi piì svariati, in accordo con le caratteristiche del “bersaglio”
prescelto, delle armi e del personale operativo disponibile. Come esempio
di queste tanto varie “modalità di applicazione” del terrorismo, possiamo
citare fatti recenti e meno recenti: il fuoco su passanti scelti a caso
con fucili a lunga portata (tipico dell’ex Iugoslavia); la bomba collocata
in locali pubblici (Israele, Africa, ecc.); la uccisione di civili a posti
di blocco casuali (Cisgiordania, Irak); la distruzione di abitazioni e
proprietà private (tipica in aree occupate da Israele); i dirottamenti di
aeromobili; il rapimento e l’uccisione di ostaggi.

Possiamo considerare come “terroristiche” anche alcune operazioni,
compiute nel corso di repressione di ribellioni contro governi legittimi,
e durante condizioni di guerra tra eserciti regolari. Il primo caso è bene
esemplificato dalle azioni repressive in Cecenia e Kurdistan. Il secondo,
dalle azioni contro popolazioni civili ritenute, più o meno
giustificatamente, collaboratrici dell’esercito nemico. Sono ben noti
feroci episodi della guerra 1939-1945 (anche in Francia e Italia, non solo
sul fronte russo). Ancora piì numerosi sono stati i massacri di civili
durante le guerre di Corea (1950-53) e del Vietnam. Di recente e molto
maggiore notorietà (per motivi contingenti più che per il numero delle
vittime) sono state le azioni contro civili curdi nel corso della guerra
fra Irak e Iran (1980-1988).

In un passato non troppo lontano si colloca del resto anche la dottrina
del bombardamento aereo deliberatamente terroristico (e pubblicamente
dichiarato tale) delle popolazioni civili. Criterio di azione bellica
teorizzato e ampiamente applicato nel 1939-1945 da Gran Bretagna e Stati
Uniti, fino all’utilizzo delle armi nucleari.

Il richiamo al “grande terrorismo aereo” del 1939-1945 indurrebbe a una
considerazione sulla efficacia delle azioni terroristiche di ogni genere.

Il discorso sarebbe certamente lungo e richiederebbe ampia documentazione;
tuttavia possiamo affermare che tutta l’esperienza del passato mostra
senza possibilità di dubbio la modestissima efficacia dell’azione
terroristica di ogni tipo (anche di quella con numero enorme di vittime),
poiché nessuna di queste azioni è riuscita a raggiungere l’obbiettivo
politico desiderato (non quello del kill ratio rapporto di uccisioni caro
a certi teorici).

Si deve tuttavia tenere presente come in alcuni casi (peraltro difficili
da elencare, per svariati motivi) il risultato ricercato non fosse quello
a prima vista apparente.

Il quadro attuale

Conviene dedicare qualche considerazione alle più importanti condizioni di
conflitto armato in corso, alle quali il termine “terrorismo da
eliminare”, si applica in riferimento ai fatti reali. Per il caso Irak, la
situazione è ben nota, si tratta di un paese sotto occupazione nel quale
né dal governo né dalle forze armate irakene è stato finora sottoscritto
un documento di armistizio o di capitolazione o di resa, e dove pertanto,
anche se la cosa può sembrare paradossale, esiste tuttora una condizione
di conflitto armato.

Trattandosi di condizione di conflitto in corso, nessuna delle azioni
armate in territorio irakeno rivolta contro le forze armate occupanti
(Uk-Usa) o di paesi collaboratori può considerarsi terroristica, ma di
guerriglia anche se eseguita in modo criminale. Sembrano semmai da
classificare come terroristiche (almeno secondo le definizioni anche Usa
prima ricordate) le azioni compiute dagli occupanti contro la popolazione
civile se colpiscono la vita e le proprietà di civili (uccisioni a posti
di blocco, bombardamenti, distruzioni, saccheggi, sequestro di persone,
ecc.).

Paradossalmente, per taluni aspetti, la condizione attuale dell’Irak può
considerarsi simile a quella della Polonia sotto occupazione tedesca
(1939-1944).

Infatti il governo polacco non sottoscrisse resa o capitolazione, e la
lotta armata fu continuata come guerriglia sia all’interno sia all’esterno
del territorio. Ai combattenti polacchi venne riconosciuto lo “status” di
belligeranti, e non di banditi. Anche nella eroica “rivolta di Varsavia”
del 1944 (più nota come “rivolta del ghetto”), eseguita dalle forze
guerrigliere dell’interno al comando del gen. Bor-Komorowski. Il Generale,
dopo la cattura, venne considerato “prigioniero” e non venne segregato,
“interrogato” con pressioni fisiche più o meno moderate, etc., né
ovviamente “processato”, (morì nel 1966).

Altre situazioni di “terrorismo” sono quelle di Palestina e di Cecenia.
Infatti in entrambe queste azioni l’opposizione armata contro la forza
occupante comprende azioni di guerriglia e azioni terroristiche. Ma in
senso proprio queste ultime sono soltanto quelle dirette, nel primo caso,
contro civili nello Stato di Israele (nei “territori occupati” non
esistono “civili israeliani”, ma solo elementi armati ed esercito), nel
secondo contro obbiettivi civili in Cecenia e nella Federazione Russa.

In conclusione si potrebbe affermare che il “terrorismo” è una azione violenta, sia contro persone che cose, caratterizzata essenzialmente
dall’obbiettivo prescelto, e non dai mezzi utilizzati (tipo di arma) e
neppure dagli “operatori”, cioè da chi compie l’azione in questione.
Infatti sia il presente che il passato forniscono abbondanti esempi di
azioni evidentemente terroristiche eseguite da personale militare, e per
contro di operazioni militari (essenzialmente di guerriglia) eseguite da
civili volontari, milizie, etc. Le azioni terroristiche sono comunque
sempre da considerare atti criminali, e quindi da punire (anche se è pura
fantasia pensare all’applicazione del principio verso potenze come gli
Stati Uniti o Israele). Le operazioni di guerriglia sono da considerare
illecite, cioè contro le convenzioni internazionali, solo in casi
particolari. Tanto più che è principio quasi universalmente accettato il
diritto di usare armi e la forza per resistervi da parte di una
popolazione sotto occupazione straniera. Ovviamente per popolazione non si
intende elementi infiltrati da organizzazioni dichiaratamente
terroristiche.
L’argomento della guerriglia e più in generale della resistenza a una forza di occupazione straniera meriterebbe, ovviamente, una trattazione a parte e molto ampia poiché l’argomento (a differenza del “terrorismo”) è oggetto di studio e riflessione almeno dall’inizio dell’800. Qui ci siamo limitati a tentare una definizione di cosa è, e soprattutto cosa non è il terrorismo, di cui tanto si sente parlare a proposito e a sproposito.

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