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Giuliana e noi: rapiti come lei

Il rapimento di Giuliana Sgrena ci interroga. Siamo tutti ostaggi della violenza.
7 febbraio 2005

Sono passati tre giorni da diverse ore. Non abbiamo ancora notizie di Giuliana Sgrena, la giornalista del Manifesto rapita venerdì. Solo alcuni deliranti e dubbi comunicati sul web. E con il passare delle ore l'angoscia aumenta. Non intendo ripetere qui quello che di Giuliana è già stato ampiamente detto e scritto. Ma il rapimento di Giuliana, a pochi giorni dal voto iracheno, inchioda ed impone una riflessione. Al di là di qualunque considerazione socio-politica un dato delle elezioni irachene colpisce: molti di coloro che sono andati a votare lo hanno fatto per speranza. Speranza che l'occupazione finisca, speranza che la violenza dilagante possa un giorno finire. Sfiniti da una situazione di guerra che da 25 anni prosegue ininterrotta(guerra Iraq-Iran, prima guerra del golfo, embargo e poi l'ultima guerra) gli iracheni si sentono schiacciati. E si aggrappano a qualsiasi cosa possa aiutarli, qualunque cosa possa rappresentare uno spiraglio di luce. La campagna elettorale non c'è mai stata, le manipolazioni sono praticamente certe, ma questo non ha convinto moltissimi iracheni a restare a casa. Hanno preferito invece andare a votare. Segno che vogliono rialzare la testa, vogliono riappropriarsi del proprio futuro. Dicendo no alla violenza. Quella violenza che purtroppo imprigiona tutti. La violenza, che sia terrorismo o guerra non importa, colpisce prima di tutto le menti e il pensiero. Prima ancora che la prima bomba esplode vuole imporre il proprio pensiero unico. Vuole costringere a fare una scelta di campo, a schierarsi. E' la logica del "con noi o contro di noi". E' sempre stato così. Oltre dieci anni fa è stato così nei Balcani, durante la prima sanguinosa guerra. Lo è stato durante la guerra del 1999, dove l'unica scelta proposta è stata tra Milosevic e le bombe della Nato. Lo è stato in Afghanistan dopo l'11 settembre. E infine in Iraq. Ma ogni volta le carte in tavola sono state scompaginate. La forza della Pace ha scardinato il pensiero unico, schierandosi dall'unica parte possibile. Quella delle vittime. Del terrore o della guerra, di qualunque violenza. Dieci anni fa sui ponti di Bosnia aveva il volto di Gabriele Maria Locatelli, in Afghanistan o in Iraq quello dei cooperanti di Emergency o di Un Ponte Per ... Giuliana è un grande esempio. Come Enzo Baldoni, Tiziano Terzani e tanti altri ha saputo sviluppare la capacità di abitare il conflitto, di andare oltre il pensiero unico. Andando oltre la propaganda e la violenza intellettuale ha saputo guardare in faccia la realtà. E' l'idealismo in realtà più "realista del Re". Nel momento in cui gli apparati in guerra imponevano una scelta di campo, ha voluto guardare in faccia la realtà. E ne ha visto l'unica che contrassegna la violenza della guerra. Le vittime civili. Nei conflitti attuali ormai il 93% delle vittime sono civili, il 34% bambini. Sono cifre spaventose, l'unica realtà della guerra. Negli interstizi della realpolitik Giuliana ha saputo parlare di questa realtà. La violenza è unica, in guerra l'unico realismo possibile è stare dalla parte delle vittime. Negli ultimi mesi molte tra le vittime dei sequestri avevano fatto questa scelta. Enzo Baldoni, Florence Aubenais, Simona Pari, Simona Torretta, l'hanno fatta tutti. E oggi Giuliana Sgrena. Non è, non può essere casuale. Lo spazio per la Vita, per la Pace, si sta assottigliando. Ma un filo di speranza, c'è lo ricordano gli iracheni col loro voto, rimane. Tutti noi speriamo, vogliamo credere, che Giuliana presto sarà libera. Per proseguire la strada insieme. In questo momento siamo tutti ostaggi della violenza, della guerra e del terrorismo. Ma possiamo liberarci, così come Giuliana.

"Sono loro quelli che riparano ciò che gli eserciti frantumano (corpi e cose) e lasciano dietro di sé in pezzi. I politici di professione, gli «statisti» - quelli che dominano sulle prime pagine dei giornali e che decidono l'impiego degli eserciti - li guardano con un sorriso di commiserazione, come si guardano le anime belle. Ma sono loro l'unico embrione, fragile, esposto, di uno spazio pubblico non avvelenato o devastato nella città planetaria.
Non sono ancora il presente. Sono tutt'al più un vago presagio di futuro. Di una possibile, inedita, politica del futuro."

La politica del futuro, Marco Revelli.

A PRESTO GIULIANA!!

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